«Il prossimo consigliere federale deve essere originario della Svizzera orientale». La rivendicazione non viene da un partito politico, o da un leader politico alla ricerca di consensi in vista di un’elezione, bensì dai sette governi della regione. Riuniti a San Gallo, quando è stata inaugurata l’Olma, la tradizionale fiera dell’agricoltura e dell’alimentazione, i rappresentanti degli esecutivi sciaffusano, turgoviese, sangallese, appenzellese, grigionese e glaronese, hanno ribadito una rivendicazione che avevano già espresso pubblicamente in primavera. La Svizzera orientale non è più rappresentata in Consiglio federale da poco meno di un anno, da quando Eveline Widmer-Schlumpf rassegnò le dimissioni. I governi cantonali della regione sembrano vivere male questa nuova situazione e vogliono porvi fine al più presto, possibilmente già quando verrà eletto un nuovo consigliere federale.
La richiesta uscita dall’incontro di San Gallo non è nuova. In passato ce ne sono già state tante altre, simili, provenienti da regioni, da singoli cantoni e dalla minoranza linguistica italiana. Questa volta conviene soffermarsi su due considerazioni. La prima riguarda una questione che potrebbe divenire presto d’attualità, ossia le dimissioni di un membro del Consiglio federale.
Negli ultimi mesi, più voci hanno annunciato la partenza del ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann. L’attuale presidente della Confederazione è in governo dal 2010, compirà 65 anni l’anno prossimo e nella sua attività quotidiana alcuni osservatori intravvedono una certa stanchezza legata all’onere della funzione. È possibile che queste voci abbiano suscitato attenzione e reazioni nei governi della Svizzera orientale. La seconda considerazione tocca l’equa rappresentanza delle varie parti del paese in seno al Consiglio federale, una questione che si trascina ormai da decenni e che non ha ancora trovato una soluzione veramente soddisfacente.
Qual è la situazione attuale? L’articolo 175 della Costituzione federale, dedicato alla composizione e all’elezione del Consiglio federale, all’alinea 4 prevede che «Le diverse regioni e le componenti linguistiche del Paese devono essere equamente rappresentate». È un principio sacrosanto, necessario per impedire il sorgere di scontenti e di rivalità troppo forti tra le regioni, e in definitiva per proteggere la coesione e l’integrità del paese. È stato introdotto nel 1999, in sostituzione del criterio che prevedeva al massimo un consigliere federale per cantone e che mirava ad impedire il predominio dei grandi cantoni.
Nell’attuale composizione del governo, però, è ben difficile vedere un’equa rappresentanza delle regioni. Ben quattro consiglieri federali (Johann Schneider Ammann, Simonetta Sommaruga, Alain Berset e Didier Burkhalter) provengono da una regione circoscritta, estesa su tre cantoni, Berna, Friburgo e Neuchâtel. Gli altri tre membri del governo (Guy Parmelin, Doris Leuthard e Ueli Maurer) provengono dai cantoni Vaud, Argovia e Zurigo. Vi sono regioni che non sono rappresentate e anche da molto tempo. Basilea, per esempio, non ha più avuto un suo rappresentante dopo Hans-Peter Tschudi (1960-1973), la Svizzera centrale ha avuto come ultimo consigliere federale Kaspar Villiger (1989-2003), e vi sono cantoni come Sciaffusa, Svitto, Uri, Nidvaldo e Giura che non hanno mai avuto un consigliere federale.
Se prendiamo in considerazione le «componenti linguistiche del Paese», la situazione non è certo migliore, anzi lascia molto a desiderare, per lo meno per quanto concerne la presenza italofona. Fin ora il canton Ticino ha avuto sette consiglieri federali: Stefano Franscini, Giovan Battista Pioda, Giuseppe Motta, Enrico Celio, Giuseppe Lepori, Nello Celio e Flavio Cotti. Numerosi sono stati gli anni durante i quali non ci fu una voce italofona in seno al governo, per esempio dal 1864 al 1912, dal 1959 al 1967, o dal 1973 al 1987. Più grave ancora è l’assenza di questa voce dal 1999 ad oggi, ossia dalle dimissioni di Flavio Cotti e dall’anno in cui è entrato in vigore l’articolo 175 della Costituzione federale. Sono ormai 17 anni che la Svizzera italiana non riesce a far eleggere un suo rappresentante nel governo centrale. La Svizzera tedesca ha sempre avuto la maggioranza in seno all’esecutivo federale. La Svizzera romanda è stata sempre presente con almeno un suo rappresentante e oggi può vantare ben tre suoi rappresentanti.
I tentativi per ottenere una migliore rappresentanza delle minoranze ed un maggiore equilibrio regionale non sono mancati a livello parlamentare. Ricordiamo un postulato inoltrato dall’attuale presidente del Consiglio degli Stati, Raphaël Comte, nel 2011 e, più vicina nel tempo, un’iniziativa parlamentare discussa dal Consiglio nazionale lo scorso mese di settembre. Il postulato chiedeva al Consiglio federale di valutare la possibilità di garantire alla minoranza italofona il diritto di avere un seggio in Consiglio federale, nonché di assicurare un’equilibrata rappresentanza delle regioni.
L’iniziativa parlamentare, proposta dalla commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale, proponeva di portare il numero dei consiglieri federali da sette a nove, per poter garantire un’equa rappresentanza delle diverse regioni del paese e delle regioni linguistiche, nonché una migliore ripartizione dell’onere di lavoro del governo. Il postulato non è stato preso in considerazione dal governo che, pur riconoscendo l’utilità di avere nel suo seno una voce italofona, ha temuto di limitare la libertà di scelta dei membri del governo di cui dispone l’Assemblea federale. L’iniziativa parlamentare è stata respinta dalla Camera del popolo con 97 voti contro 88. Un risultato combattuto, che tradisce la presenza di due schieramenti opposti e che induce a pensare che la questione tornerà sul tavolo probabilmente in un futuro non troppo lontano.
I criteri che determinano la composizione del Consiglio federale sono tanti. Bisogna garantire una rappresentanza dei partiti politici conforme alla loro forza elettorale, una buona presenza femminile, una forte presa in considerazione delle regioni e delle lingue nazionali. Il rispetto dei criteri è importante e forse anche determinante per assicurare la coesione nazionale.
Purtroppo, però, questi criteri sono troppi per un governo che comprende soltanto sette ministri, e rischiano di limitare in maniera considerevole la libertà di scelta dell’organo che elegge il governo, ossia l’Assemblea federale. Rischiano anche di far slittare in secondo piano la principale condizione che dovrebbe essere richiesta a chi vuol diventare consigliere federale, ossia quella di essere una forte personalità, di avere la competenza necessaria e di vantare un profilo, politico e umano, nazionale e non soltanto regionale. Le forti personalità che hanno operato nell’interesse di tutto il paese e non soltanto del loro cantone o del loro partito, sono state ben accolte ovunque, indipendentemente dalla loro origine. Personalità minori, scelte soprattutto nel rispetto di questo o di quel criterio, non hanno lasciato nessun segno nella storia del nostro paese.