La frontiera meridionale degli Stati uniti è tanto blindata contro chi tenta senza visto di entrare da sud, quanto porosa nei confronti del contrabbando di armi da nord verso sud. Tra il 2007 e il 2019 almeno 165 mila armi da fuoco, delle tante confiscate durante operazioni contro la criminalità organizzata in Messico, risultano comprate negli Stati uniti. Tutte sono di fabbricazione statunitense. Secondo i dati del Ministero degli esteri del Messico, più di 2 milioni e mezzo di armi hanno attraversato la frontiera sud degli Usa negli ultimi 10 anni. Le armi da fuoco che vengono inviate di contrabbando dagli Stati uniti al Messico (Paese nel quale soltanto nel 2020 sono stati denunciati 35 mila omicidi) sono destinate all’intera America latina.
Una gran parte di esse si ferma in Centro America. La facilità di fare attraversare alle armi statunitensi la frontiera risiede nel fatto che le leggi di controllo sulla vendita di armi da fuoco sono in molte parti degli Usa estremamente flessibili e, anche se in alcune aree (per esempio New York) le norme si stanno irrigidendo, la legislazione a macchia di leopardo consente ai trafficanti di aggirare quasi tutti gli ostacoli.
Il mercato nero di armi è ovviamente intrecciato al narcotraffico, dato risultato evidentissimo durante il processo a «el Chapo», uno dei principali trafficanti del mondo. Durante il processo a New York il magistrato Andrea Goldberg ha descritto minuziosamente come il capo del cartello avesse un traffico a doppio senso con gli Stati uniti: tonnellate di droghe varie – cocaina, metanfetamina ed eroina essenzialmente – attraverso la frontiera verso nord e camion di armi d’ogni genere verso sud. Una delle dichiarazioni del giudice è stata: «L’imputato si occupava dell’acquisto all’ingrosso di armi e della loro capillare distribuzione, le armi comprate negli Usa non servivano solo per uso personale, ma per rifornire i sicari. Nel suo cartello le armi sono quelle importate dal cartello stesso attraverso i canali di el Chapo negli Stati uniti».
Sembra assurdo, eppure non esiste una legge federale che proibisca espressamente il traffico di armi da fuoco negli Usa, quindi per i trafficanti è piuttosto semplice il business. Sguazzano nel vuoto legale che non regola la vendita privata grazie al quale chiunque può dirsi collezionista di armi e risultare così esente da verifiche. È così che si possono vendere fucili e pistole di ogni genere senza dover nemmeno fare prima un controllo dei precedenti penali dei propri acquirenti, né chiedere loro una identificazione.
Un esempio: in un solo anno, tra il 2009 e il 2010, un cittadino americano ha comprato legalmente 529 armi di vario tipo in negozi specializzati e le ha rivendute in Florida. Un’inchiesta condotta da investigatori statunitensi ha ricostruito come la gran parte di quelle armi sia arrivata a gruppi di trafficanti latinoamericani e come quelle stesse armi siano state usate in cinque grandi scontri armati in Colombia, Perù e Porto Rico. Il venditore si è dichiarato colpevole di aver distribuito armi senza nessun tipo di identificazione degli acquirenti ed è stato condannato a 30 mesi di prigione. Un rischio calcolato come conveniente dai narcos. Un metodo molto usato dai trafficanti per rastrellare armi è usare un acquirente fantasma o un prestanome senza precedenti penali il quale, se venisse fermato, sarebbe solo passibile di essere accusato di aver mentito. In ogni caso, anche se condannato, non finirebbe in carcere.
Il contrabbando può contare sugli effetti della sterzata pro armi alla Corte suprema iniziata già nel 2008 con il verdetto nel cosiddetto caso «Distretto di Columbia contro Heller». Allora vennero bocciate norme restrittive imposte dalla capitale Washington, attraverso l’assenso della maggioranza della Corte guidata dal conservatore italo-americano Anthony Scalia (scomparso nel 2016 e sostituito da un altro magistrato conservatore). Scalia nel 2008 sconfessò di fatto due secoli di giurisprudenza per spiegare come le scarne righe del secondo emendamento, che sancisce il generico diritto del popolo americano ad armarsi, conferissero un chiaro diritto costituzionale individuale al possesso di armi. Due anni dopo, nel 2010, in un caso denominato «McDonald v. City of Chicago», la sentenza Heller venne estesa su scala nazionale, ne fu asserita la validità per le legislazioni statali e non solo federali riguardo al possesso e uso di arsenali.
In questo momento è in corso un tentativo di persuadere il presidente statunitense Biden a lavorare per imporre almeno il controllo di eventuali antecedenti penali degli acquirenti di armi in modo da sanare il vuoto legale in materia. È stata da tempo approvata dalla Camera dei rappresentanti una legislazione bipartisan piuttosto ampia sul controllo delle armi però il Senato non l’ha ancora sottoposta a votazione. Avendo il Governo Biden la possibilità di tenere sotto controllo sia la Camera alta che bassa, l’opportunità di fare approvare le norme in sospeso ci sarebbe. Ovviamente la potente lobby dei produttori e venditori di armi è al lavoro per impedirlo.
Un fiume di armi che scorre verso sud
Negli Stati uniti non esiste una legge federale che ne proibisce espressamente il traffico e i criminali approfittano della situazione. Negli ultimi 10 anni ne sarebbero giunte in Messico oltre 2,5 milioni destinate all’America latina
/ 29.03.2021
di Angela Nocioni
di Angela Nocioni