Un federalismo in movimento

Uno studio internazionale tenta di misurare le tendenze alla centralizzazione in Svizzera, che è evidente a livello legislativo, ma non esecutivo. Determinante per il futuro la collaborazione fra Berna e i Cantoni
/ 04.09.2017
di Ignazio Bonoli

Anche in Svizzera, paese federalista fin dalla sua nascita, il processo di centralizzazione avanza a grandi passi. Il ruolo del Comune, cellula costitutiva di tutto l’ordinamento federalista, sta sempre più cedendo il posto ai grandi agglomerati. Questo movimento significa una notevole perdita di potere a livello locale, potere che viene trasferito a un organismo centrale, che cambia radicalmente il modo di operare a favore della comunità, privilegiando il concetto globale e dimenticando spesso e volentieri le particolarità locali.

Questo nuovo indirizzo non dimentica i Cantoni. Entità che se, formalmente, conservano l’indipendenza propria e costitutiva della Confederazione, in pratica devolvono sempre più il processo legislativo a quest’ultima, diventando così gli esecutori di leggi e direttive, alla cui formulazione possono partecipare solo in parte, condizionati dalle regole dello stesso metodo democratico di governo.

La discussione politica su questi temi sta prendendo tre direzioni principali. Da un lato vi sono coloro che vorrebbero distanziarsi dalla centralizzazione in atto a livello federale, che riduce i Cantoni a meri esecutori di ordini superiori. Per costoro soltanto una ulteriore decentralizzazione, oppure una migliore suddivisione dei compiti, sul modello della compensazione finanziaria intercantonale, potrebbe migliorare la situazione. Su un piano diverso si muovono invece coloro che vorrebbero una diversa impostazione del territorio nazionale. Secondo questi riformatori gli attuali confini cantonali non rispecchiano più la situazione reale odierna. Molti Cantoni sono troppo piccoli per potersi governare in modo autonomo, troppo poveri per praticare l’autarchia e taluni perfino troppo dispersivi o frammentati per poter godere della necessaria legittimazione politica. Per risolvere il problema vengono oggi proposte soluzioni come quella delle fusioni intercantonali che farebbero della Svizzera una Confederazione di dodici Cantoni.

Tra queste due posizioni estreme troviamo idee più pragmatiche, pronte ad assimilare le migliori suggestioni, ma volte a migliorare la collaborazione intercantonale, quale unica via d’uscita da una situazione di stallo che si sta prospettando. Un difetto insito in questa proposta viene però subito visto nel fatto che le trattative vengono condotte dai governi cantonali, con il pericolo di aggirare il controllo democratico da parte del parlamento e del popolo. Già oggi la collaborazione intercantonale funziona attraverso 800 concordati e oltre 50 conferenze, che costituiscono un quarto livello nei rapporti tra Cantoni e Confederazione. Inoltre la più recente Conferenza dei governi cantonali dovrebbe fungere da freno a una più forte centralizzazione a livello federale.

Del tema si è occupato a fondo un progetto di ricerca internazionale, condotto a livello svizzero da Sean Müller, dell’Istituto di scienze politiche dell’Università di Berna e Paolo Dardanelli dell’Università del Kent e capo del progetto. Dapprima si è valutata l’evoluzione storica dal 1850 al 2010, constatando che in questi anni la concentrazione a livello federale – sulla base di 22 criteri politici utilizzati – si è intensificata a favore della Confederazione e non dei Cantoni (che significherebbe una decentralizzazione). Nel confronto internazionale, però, la Svizzera resta uno Stato molto decentralizzato.

Questa centralizzazione avviene soprattutto a livello di leggi emanate a livello federale. Lo è meno per la loro applicazione a livello cantonale e ancor meno se si considera la distribuzione delle risorse finanziarie. Il che significa che, in Svizzera, Cantoni e Comuni conservano una certa autonomia gestionale. Tuttavia il divario fra legislazione e applicazione (o esecuzione) resta sempre aperto, confermando il fatto che i Cantoni restano spesso meri esecutori di leggi federali. Questo perché la Confederazione rinuncia a vincoli stretti di esecuzione e i Cantoni, con le leggi d’applicazione, conservano un certo margine discrezionale, per cui rinunciano a legiferare in modo autonomo.

Lo studio dimostra che una formale, ma profonda, suddivisione dei compiti resta ancora da fare. Ma questo dipende dal fatto che i Cantoni sono interessati (consultazioni) fin dall’inizio al processo legislativo, che spesso passa anche attraverso la volontà popolare. Questo offre al potere locale buone possibilità di partecipare all’attività legislativa federale. Tutta la discussione dovrebbe tener conto del vero spirito federalistico e non ridursi a un rapporto costi – benefici e alla dimensione ottimale del Cantone. Si tratta in sostanza di rinforzare i Cantoni, non in concorrenza, ma in accordo con la Confederazione. Come avviene del resto – concludono gli autori – da oltre 170 anni.