Un colpo al cerchio e uno alla botte

L’Unione europea strizza l’occhio a Joe Biden sanzionando la Cina per le violazioni dei diritti umani ma non intende scontentare troppo il «Babbo Natale degli investitori»
/ 29.03.2021
di Francesca Marino

Molto rumore per nulla, direbbe Shakespeare. Le reazioni cinesi, che a molti sono parse assolutamente sproporzionate alle calibratissime e prudenti sanzioni comminate dall’Ue alla Cina per le violazioni dei diritti umani nei confronti degli uiguri, sono state subitanee e violente. Sconfinando da subito, in perfetto stile Beijing, nelle minacce. La dichiarazione rilasciata dal portavoce degli Esteri cinese Zhao Lijian suonava difatti così: «L’Unione europea il 22 marzo ha imposto sanzioni unilaterali a persone ed entità cinesi di rilievo, citando il cosiddetto problema dei diritti umani nello Xinjiang. Questa mossa, basata su bugie e disinformazione, ignora e distorce i fatti, interferisce grossolanamente negli affari interni della Cina, viola in modo flagrante il diritto internazionale e le norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali e mina gravemente le relazioni Cina-Ue. La Cina esorta la Ue a riflettere su se stessa, ad affrontare la gravità del suo errore e a rimediare. Deve smetterla di dare lezioni ad altri sui diritti umani e di interferire nei loro affari interni. (...) Altrimenti la Cina farà risolutamente ulteriori passi».

Le contro-sanzioni cinesi emanate nei confronti di una serie di organizzazioni e membri dell’Ue rischiano difatti, secondo alcuni analisti, di far naufragare il trattato sugli investimenti, fortemente voluto da Angela Merkel ed Emmanuel Macron, che Ue e Cina avevano firmato lo scorso dicembre. Trattato che aspetta di essere ratificato da molti membri del Parlamento europeo, che minacciano adesso di negare il loro assenso. La politica del «lupo-guerriero» inaugurata non molto tempo fa da Xi Jinping ha segnato un autogoal? Non proprio. I cinesi difatti sanno perfettamente che l’Ue non avrà mai il fegato di mandare all’aria il trattato di cui sopra, che serve più agli investitori europei in Cina che ai cinesi in Europa. Si tratta, molto più probabilmente, di un messaggio. Un messaggio diretto a Joe Biden e alla sua Amministrazione, che hanno inaugurato un nuovo e durissimo confronto con Beijing. Le sanzioni europee per le violazioni dei diritti umani compiute nello Xinjiang dalla Cina sono difatti, ahimé, largamente simboliche e non toccano alcuna sfera strategica o vitale.

Si tratta del classico «troppo poco, troppo tardi» e arrivano, soprattutto, dopo uno scandalo scoppiato lo scorso gennaio. Quando l’avvocata Emma Reilly, che ha lavorato nell’Alto commissariato Onu per i diritti umani, denunciava la connivenza tra funzionari dell’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr) e rappresentanti della locale ambasciata cinese. In pratica Reilly, producendo documenti ed email, ha accusato l’ufficio dell’Unhcr di passare all’ambasciata cinese nomi e indirizzi di dissidenti, uiguri e non solo, che si sarebbero recati a testimoniare davanti alla Commissione per i diritti umani. I dissidenti e le loro famiglie sarebbero stati quindi intimiditi, arrestati e in alcuni casi torturati.

Secondo Reilly questo «trattamento di favore» da parte dei funzionari della Commissione era riservato soltanto alla Cina. Resta però il fatto che, dietro pressioni cinesi, anche molti dissidenti o richiedenti l’asilo beluci si sono visti ritirare il permesso di testimoniare o negare l’asilo politico. E che da almeno 15 anni gli uiguri, sia a Bruxelles che a Ginevra, testimoniano del trattamento loro riservato (campi di «rieducazione», sterilizzazioni forzate, omicidi). Ciò che hanno ottenuto finora è ciò che hanno ottenuto i beluci, i saharawi o altri rappresentanti dei cosiddetti «popoli senza rappresentanza»: è diventato sempre più difficile, per loro, l’accesso agli organismi internazionali. Proprio per via dello «strano» modo che hanno le ambasciate in loco di sapere chi, dove e quando testimonierà emanando, di conseguenza, note di intelligence che accusano i suddetti dissidenti di terrorismo.

Le cosiddette sanzioni contro Pechino sembrano quindi, più che una seria presa di posizione contro la Cina, il classico modo per dare un colpo al cerchio e uno alla botte: allinearsi timidamente con Biden e allo stesso tempo non scontentare troppo il «Babbo Natale degli investitori». I diritti umani, si sa, sono una coperta buona per tutte le stagioni. Non siamo andati in Afghanistan, in fondo, per liberare le donne dal burqa?