Un blocco orientale in difesa della tradizione

Dopo l’Ungheria e la Turchia adesso anche la Polonia pensa di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e intanto lavora a un trattato alternativo imperniato su valori più conservatori
/ 05.04.2021
di Luisa Betti Dakli

Anche la Polonia potrebbe lasciare la Convenzione del Consiglio d’Europa contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, redatta a Istanbul nel 2011. Come già la Turchia e l’Ungheria, da poco uscite dall’accordo, il Governo polacco guidato da Diritto e giustizia (Pis), un partito conservatore di destra, si muove in questa direzione fin dalla ratifica nel 2015, sotto l’egida dell’Esecutivo europeista PO/PSL. Questa volontà si sta concretizzando: settimana scorsa il Sejm, la Camera bassa del Parlamento, si è espressa favorevolmente sulla proposta di legge «Sì alla famiglia, no al gender» relativa all’opposizione alla Convenzione di Istanbul e all’impegno del Governo polacco a iniziare i lavori per la nuova «Convenzione internazionale sui diritti della famiglia». La discussione ora prosegue all’interno delle Commissioni parlamentari.

Al posto della Convenzione di Istanbul firmata da 45 Paesi, insomma, la Polonia vuole una legge in cui siano chiari i diritti di coniugi, genitori, bambini e «misure per contrastare la violenza lesiva della vita familiare». Una legge che mette sullo stesso piano violenza su donne, uomini, bambini, anziani, disabili e cancella la nozione alla base della Convenzione di Istanbul per cui la violenza maschile sulle donne sia un fenomeno strutturale, endemico nel mondo, derivante dalla disparità tra i sessi all’interno della società e perpetuato da una cultura che tollera e giustifica la violenza di genere. Un cambio di prospettiva che non trova corrispondenza nella realtà dato che, anche in Polonia, le vittime di violenza sono soprattutto donne, il 74 per cento.

Ma quali sono le critiche mosse alla Convenzione di Istanbul? Per il viceministro alla Giustizia polacco Marcin Romanowski l’accordo lede il diritto dei genitori di allevare i figli, anche se in realtà vieta solo di «picchiare, umiliare, molestare». Inoltre sarebbe in contraddizione con la Costituzione del Paese che, all’articolo 18, afferma come il matrimonio e la genitorialità siano sotto la protezione della Repubblica. Ma è la nozione di genere a sollevare il polverone più grosso, perché «il termine genere indica che la femminilità e la mascolinità sono costrutti sociali» e non biologici. Critiche condivise dall’Episcopato polacco, in quanto la Convenzione attaccherebbe la religione malgrado affermi solo che quest’ultima non può essere invocata per giustificare abusi e molestie.

In estate il ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro ha presentato al Ministero per la famiglia la richiesta per un procedimento sul ritiro dalla Convenzione, denunciata anche al Tribunale costituzionale dal primo ministro Morawiecki, che ha deciso di mandare una lettera a Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Croazia per la stesura di un «trattato alternativo» fondato sui diritti delle famiglia. Lettera che introduce concetti di «delitto contro la famiglia», diritto del bambino al concepimento, protezione del matrimonio tra donne e uomini. Iniziativa che ha suscitato l’interesse di Ungheria, Slovacchia, Bulgaria, Lettonia, Lituania e che potrebbe creare un’alleanza nell’Europa centro-orientale, bloccando l’espansione dei diritti.

Il comitato d’iniziativa per la legge «Sì alla famiglia, no al gender», che ha raccolto 150 mila firme, è composto dal Congresso sociale cristiano e dall’Istituto giuridico ultraconservatore Ordo iuris, con Life and family foundation e St. Benedict co-organizzatori. Ma sono gli avvocati di Ordo iuris ad aver redatto il disegno di legge, come già avevano steso la proposta del 2016 che introduceva di fatto il divieto totale di interruzione di gravidanza (respinta dal Parlamento) e le argomentazioni giuridiche presentate al Tribunale costituzionale che tempo fa ha vietato l’aborto anche in caso di malformazione del feto. Ordo iuris lavora anche alla «Convenzione dei diritti della famiglia», in cui si indica l’indebolimento della famiglia tradizionale come causa della violenza domestica che può essere risolta riducendo l’interferenza dello Stato nella vita familiare, dando ai genitori un maggior controllo sui figli, rifiutando relazioni omosessuali e aborto. Le cause della violenza, secondo il documento sono da ricercare in deviazioni come pornografia, alcool, droghe e sessualizzazione delle donne nei media.

Ordo iuris ha ramificazioni in Estonia, Slovacchia, Croazia e altri Paesi europei ed è legato a Tradition, family and property: una rete transnazionale di ultraconservatori fondata in Brasile nel 1960 da Plinio Corrêa de Oliveira, che riunisce 40 organizzazioni cattoliche e che da anni collabora con l’estrema destra, a partire dai regimi dell’America Latina. Nato nel 2012 in Polonia, Ordo iuris è strettamente legato al partito di Governo (PiS) ed è in grado di sviluppare pacchetti legislativi complessi infiltrandosi in contesti di potere. Anche se il disegno è molto più ampio e prevede il «Restoring the natural order», un patto del 2013 tra attivisti statunitensi ed europei per portare al rifiuto di alcuni diritti da parte di una rete chiamata Agenda Europa, impegnata nel «ripristino dell’ordine naturale» che riunisce organizzazioni di 30 Paesi i cui scopi sono: cancellare il divorzio, l’accesso ai contraccettivi, la riproduzione assistita, l’aborto e i diritti della comunità lesbica, gay, bisessuale, transessuale e intersessuale (Lgbti).