Un amaro congedo

Germania – Nel lungo periodo la Merkel sarà ricordata come la cancelliera che ha presieduto (non crediamo con particolare entusiasmo) al rientro graduale della Germania nella storia
/ 21.12.2020
di Lucio Caracciolo

Dopo sedici anni, l’autunno prossimo finirà, salvo sorprese, finirà, il cancellierato di Angela Merkel. E con ciò «das Mädchen», «la bambina», come la chiamava con disprezzo l’artefice dell’unità tedesca, Helmut Kohl, ha conquistato un posto nella storia. Un bilancio di questo periodo è necessariamente provvisorio. Proviamo a sintetizzarlo.

In questi anni la Germania ha rafforzato la sua collocazione al centro del sistema europeo. Per Bonn prima, per Berlino oggi, il blu giallostellato dell’Unione Europea è vestito necessario a difendere e avanzare i propri interessi. Nessun cancelliere tedesco vi rinuncerà spontaneamente. A differenza del suo secondo – in potenza – la Repubblica Francese, la Bundesrepublik unificata deve pagare ancora lo scotto della catastrofe hitleriana. Tre generazioni dopo il suicidio del dittatore nazista nel suo bunker berlinese, il passato non è ancora passato. Chi non vuole bene alla Germania, o semplicemente vuole profittare del suo tallone d’Achille, fa leva su questo stigma.

Comunque sufficientemente profondo in gran parte della classe dirigente germanica, specie la più avanti con gli anni, da provocare riflessi automatici di denegazione nazionale. Fino al clamoroso quanto rivelatore inciampo del capo dei Verdi e futuro possibile vicecancelliere in una coalizione con la famiglia CDU-CSU, Robert Habeck, arrivato a negare l’esistenza stessa di un popolo tedesco (le correzioni successive, ambigue, erano atto dovuto). Insomma l’europeismo di Merkel, indubbiamente sincero, molto deve anche all’impossibilità di definire una base condivisa per il culto della patria tedesca.

L’Unione Europea al tempo di Merkel ha avuto un tono molto germanico. A cominciare dal nucleo centrale, l’Eurozona. Sulla scia di Kohl e di Schröder, Merkel ha usato l’euro come prolungamento del marco. Non come sua negazione, tesi sviluppata dal germanofobo François Mitterrand, che intendeva punire con la cessione della Deutsche Mark, simbolo identitario prima che unità di conto, il vicino d’oltre Reno che aveva osato unificarsi e così consolidarsi potenza centrale in Europa.  

Si deve alla centralità economica, ad esempio, il formidabile surplus commerciale che la Germania vanta con il resto del mondo, inclusi i soci europei. Tale sbilancio, che viola le regole comunitarie, si è però spinto troppo oltre. Meccanismo che esporta merci e assorbe liquidità mentre sollecita il rigore (prima del virus), ha finito per drenare troppe risorse dal mercato europeo. Col doppio risultato di impoverire i clienti che i prodotti tedeschi dovrebbero acquistare e di costringere le istituzioni europee a decretare una moratoria a tempo indeterminato sulle regole di bilancio, ovvero di austerità, che la Germania battezzava dogma fino allo scorso inverno.

Sotto il profilo geopolitico, risse europee a parte, Merkel ha potuto sperimentare con mano l’inasprirsi delle relazioni con gli Stati Uniti, culminate nel clamoroso rifiuto di Trump di salutarla. Ma già prima, con l’amico Obama, le tensioni erano evidenti (Dieselgate, intercettazione del cellulare della cancelliera eccetera). Semplicemente, Washington non vuole che il suo principale satellite europeo coltivi grandiose idee di autonomia strategica, magari legandosi troppo a Russia (energia) e Cina (commercio e tecnologie).

Ma nel lungo periodo Merkel sarà ricordata come la cancelliera che ha presieduto, non crediamo con particolare entusiasmo, al rientro graduale della Germania nella storia. Al ritorno al ragionare geopolitico. Alla lingua (controllata, quindi talvolta stridula) della potenza. Il prezzo da pagare, sul fronte interno, non è da poco. Lo schema partitico dei primi sessanta e più anni di Bundesrepublik, basato sui tre pilastri CDU-CSU, SPD e FDP, è definitivamente saltato. Insieme ai Verdi, ormai seconda formazione politica, e alla Sinistra, ancora robusta all’Est, ha fatto irruzione sulla scena l’Alternativa per la Germania. Violando così la legge non scritta che non vuole nella democrazia tedesca una rappresentanza parlamentare a destra della CDU-CSU (e a sinistra della SPD). Il nazionalismo ha di nuovo un posto a tavola.

L’emergenza virale sta infliggendo, in questi ultimi mesi della gestione Merkel, seri danni umani e d’immagine alla Germania, che pure nella prima fase del Covid-19 aveva reagito meglio di molti altri. Con le conseguenze culturali e politiche che sono sotto i nostri occhi, tra cui il diffondersi di culture del complotto e di teorie negazioniste (del vaccino, non solo dell’Olocausto). Non era questa la Germania da cui Merkel avrebbe voluto congedarsi al termine del suo storico mandato.