Un accordo buttato via

Strategia militare - Stati Uniti e Russia riaccendono un faccia a faccia intimidatorio in cui, accusandosi a vicenda di aver infranto il trattato Inf, danno il via a un braccio di ferro nucleare che fa paura all’Europa
/ 11.02.2019
di Anna Zafesova

La corsa agli armamenti è ufficialmente ripartita. Il 1. febbraio il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dal Trattato sul bando dei missili a corto e medio raggio (Inf), con un periodo di sei mesi prima della sua cancellazione immediata nel corso del quale la Russia avrebbe dovuto tornare a rispettarlo. Il giorno dopo però Vladimir Putin ha a sua volta annunciato la sospensione del trattato, dando ordine al ministro della Difesa Serghey Shoigu di iniziare i lavori sui nuovi missili nucleari, l’ipersonico Zirkon a medio raggio e la versione nucleare del già esistente Kalibr, e al ministro degli Esteri Serghey Lavrov di non lanciare iniziative diplomatiche di disarmo nucleare: «Aspettiamo che siano i nostri partner a maturare fino a avviare con noi un dialogo equo su questo argomento importante per tutto il mondo», ha detto il presidente russo. Quindi, allo scadere dei 180 giorni dell’ultima proroga formale dell’Inf concessi a Mosca dalla Casa Bianca la situazione di parità strategica sarà ormai irreversibilmente compromessa al punto di non ritorno.

È il ritorno degli «euromissili» che tanto avevano spaventato l’Europa nella «prima» guerra fredda, un incubo interrotto da Mikhail Gorbaciov e Ronald Reagan che nel 1988 hanno firmato l’Inf, che proibisce a russi e americani di possedere missili nucleari basati in terra con una gittata di 500-5500 km. Allora sembrava l’inizio di una nuova epoca di pace, oggi entrambe le parti si accusano a vicenda di aver provocato la rottura del trattato. Donald Trump – che si è espresso contro l’Inf ancora in campagna elettorale – sostiene che i russi hanno violato l’accordo collaudando il missile 9M729, potenzialmente armabile con testate nucleari e posizionato nell’enclave europea di Kaliningrad, sul Baltico, a distanza di tiro da Polonia e Germania.

Vladimir Putin – i cui generali da anni sostengono che firmando l’Inf Gorbaciov ha «tradito» gli interessi russi accettando di distruggere un arsenale che superava quasi del doppio quello analogo di Washington – sospetta che gli americani avessero violato l’accordo con i droni, e con la costruzione del sistema di difesa antimissilistica Aegis Shore in Europa dell’Est, potenzialmente attrezzabile con i Tomahawk con testata atomica. Tutte preoccupazioni che, secondo il generale Vladimir Dvorkin, uno degli autori delle strategie nucleari dell’Unione Sovietica, «hanno un carattere tecnico e formale e avrebbero potuto essere risolte con un negoziato, in presenza di relazioni bilaterali normali».

Le relazioni russo-americane si trovano però «nel punto più basso della loro storia», come ammettono sia Mosca che Washington, e il ministero della Difesa russo sostiene che il Pentagono già da qualche anno stava preparando i finanziamenti, la ricerca e la base industriale per uscire dall’Inf, cosa che evidentemente ha fatto anche la Russia. Il «Wall Street Journal» riferisce, citando fonti dell’intelligence americana, che i russi hanno creato una quarta divisione di missili 9M729, portando il loro arsenale a 100 unità. La Russia ha di nuovo incentrato la sua difesa e la sua diplomazia sull’avversario storico, gli Usa e la Nato, e la retorica militarista è diventata una delle componenti principali dell’ultimo quinquennio putiniano.

All’inizio del 2018 il presidente russo ha dedicato metà del suo principale discorso elettorale all’illustrazione dei nuovi tipi di missili che nei filmati proiettati venivano lanciati contro la Florida, e alla fine dell’anno ha annunciato «il miglior regalo ai russi per l’anno nuovo», il progetto del nuovo missile ipersonico che la difesa americana non sarebbe in grado di intercettare. Per Trump il discorso è più complesso: mentre parte dell’establishment militare e diplomatico americano non vuole la rottura del trattato, altri suoi componenti vorrebbero archiviarlo per avere le mani libere su un fronte ormai più importante per Washington, la Cina. Due terzi dell’arsenale nucleare di Pechino, non vincolata dall’Inf, sono composti proprio da missili a corto e medio raggio, e Trump ha anche ventilato a Putin l’ipotesi di un nuovo trattato, da stipulare stavolta a tre, senza però trovare responso né in Russia, né in Cina.

I più preoccupati da questi nuovi sviluppi sono naturalmente gli europei: l’Inf di fatto proibiva missili che avrebbero potuto trasformare il Vecchio Continente in un teatro di guerra tra le due superpotenze nucleari. Il capo della diplomazia tedesca Heiko Maas – la Germania sarebbe la prima a trovarsi nel mirino dei missili nucleari a corto e medio raggio russi – ha chiesto a Lavrov di rispettare il trattato e eliminare i missili 9M729 – una versione degli esistenti Iskander con elementi dei missili da crociera Kalibr – «che sono in evidente violazione dell’Inf». Lavrov ha risposto che i missili sono solo un pretesto usato dagli americani, e pochi giorni dopo i militari russi hanno condotto una «presentazione» dell’arma incriminata nella quale hanno sostenuto che non viola il trattato in quanto la sua gittata massima è di 476 km, 24 km in meno del limite posto dal divieto.

Intanto a Washington negano di voler collocare di nuovo missili nucleari a medio raggio in Europa, e Putin ha già promesso che punterà le sue testate contro qualunque Paese europeo che vorrà ospitarli. Negli anni Ottanta la manovra analoga, invece di dividere gli alleati della Nato, finì per compattarli, ma anche nell’Europa dei partiti populisti, spesso apertamente filorussi, la prospettiva di un conflitto nucleare potrebbe sortire alla fine lo stesso effetto.

Tensioni che minacciano di far ripiombare il mondo in uno dei periodi più tesi del Novecento, se non fosse che gli stessi esperti militari russi esprimono svariate perplessità sulle nuove armi nucleari annunciate dal Cremlino. L’ingegnere militare Andrey Gorbachevsky ha spiegato alla «Novaya Gazeta» che il nuovo missile «non intercettabile» Avangard per ora non è in produzione, alla fine del 2019 potrebbe esistere in due esemplari (rimodernando i vecchi razzi UR-100 del 1967) per arrivare a una dozzina nel 2023. Inoltre, manovrando per evitare i radar americani, diventerebbe inevitabilmente più lento, e quindi meno efficace e preciso, e andando a velocità ipersoniche diventerebbe talmente incandescente da venire facilmente individuato con gli infrarossi.

L’esperto Mark Solonin va ancora oltre, mettendo in dubbio l’esistenza stessa del progetto Avandard: un missile «ipersonico», secondo lui, non può fare manovra, e i primi progetti di armi simili risalgono agli anni Sessanta, ma non sono mai stati realizzati proprio perché impossibili o inefficienti. In altre parole, l’annuncio di Mosca sarebbe «un bluff per costringere l’avversario a enormi spese, come le “guerre stellari” lanciate dagli americani contro i russi negli anni 80». La Russia possiede già adesso tutto l’arsenale necessario a distruggere l’America, e viceversa, e nessun sistema di difesa riuscirebbe a impedirlo. In compenso, mentre «al Pentagono piangono di gioia per la prospettiva di nuovi budget enormi», come dice Gorbacevsky, la già fragile economia russa – come 30 anni fa quella sovietica – potrebbe affondare sotto il peso dei costi dei nuovi missili.