Ultimo tentativo a Parigi

Usa-Russia – Vertice riparatore nella capitale francese dopo la decisione di Trump di abbandonare il trattato Inf
/ 29.10.2018
di Anna Zafesova

Donald Trump e Vladimir Putin si vedranno l’11 novembre a Parigi, in un summit deciso all’ultimo momento dopo che le relazioni strategiche tra Russia e Usa sembravano essere giunte a un nuovo minimo dopo l’annuncio del leader americano di voler rompere il Trattato sul bando dei missili a corto e medio raggio (Inf). Putin aveva reagito con una battuta inquietante: «Se la Russia verrà attaccata con armi atomiche, replicherà lanciando i suoi missili, e allora noi, in quanto martiri, andremo in paradiso, gli americani creperanno e basta». Ma già il giorno dopo il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca John Bolton è volato a Mosca e, pur avendo premesso a Putin che «non portava il ramoscello di ulivo», ha discusso con il presidente russo gli aspetti più strategici dell’architettura della sicurezza globale: l’Inf e il trattato Start, che limitano gli arsenali delle due potenze nucleari.

Firmato nel 1987 da Mikhail Gorbachev e Ronald Reagan, fu il primo grande accordo sul disarmo che concluse la Guerra fredda e liberò l’Europa dall’incubo di diventare teatro di un’apocalisse atomica. Il Trattato proibisce a Russia e Usa di produrre, possedere e utilizzare missili con una gittata compresa tra i 500 e i 5000 km: in altre parole, di utilizzare per un eventuale conflitto atomico tra i due Paesi il territorio di nazioni terze.

Quello di Parigi sarà probabilmente un tentativo di Mosca e Washington di non tornare definitivamente nemici, dopo che nei tre mesi trascorsi dall’incontro precedente di Trump e Putin le accuse e le sanzioni reciproche sono solo cresciute di numero. Secondo il capo della Casa Bianca, infatti, gli Usa devono abbandonare l’Inf perché sarebbe proprio la Russia ad averlo già violato ripetutamente. 

Immediata la risposta del Cremlino: la Russia ha sempre rispettato i termini del trattato e ha intenzione di farlo. Ma il presidente americano già a maggio aveva dato incarico alla sua amministrazione di verificare le sospette violazioni del trattato da parte della Russia, soprattutto per il missile 9M729, una variazione dell’Iskander già puntato sulla Polonia dall’enclave baltica di Kaliningrad. Mosca a sua volta accusa Washington di violarlo di fatto con i droni e i componenti della difesa antimissile americana in Europa, facilmente riconvertibili in armi d’attacco nucleare. Cancellando l’Inf nella campagna per le elezioni del Midterm, il presidente americano dimostrerebbe di non farsi condizionare né dai russi, né dagli alleati.

Solo che questa volta non si tratta di una guerra commerciale, ma una guerra vera e propria, ed è significativo che sia il Cremlino a fare la parte del moderato, avvertendo che senza l’Inf «il mondo sarà meno sicuro», come ha ricordato il portavoce di Putin Dmitry Peskov. Il presidente russo dal canto suo aveva fatto sapere già tempo fa che la Russia sarebbe rimasta fedele al trattato solo fintanto che l’avrebbero fatto anche gli americani, e molti altolocati militari russi sono d’accordo con i colleghi del Pentagono che il trattato ormai ha fatto il suo tempo.

In effetti, l’Inf venne firmato in un’altra epoca, in cui la partita principale veniva giocata dalle due grandi superpotenze. I tempi sono cambiati, e non solo perché la partnership strategica russo-americana è naufragata ancora prima della Crimea e del Russiagate, né perché al Cremlino invece dell’idealista Gorby c’è un uomo che dice che, in caso di attacco nucleare, schiaccerebbe senza esitazione il bottone rosso perché «un mondo senza la Russia non deve esistere». Il trattato Inf vincola soltanto russi e americani, ma in 30 anni gli equilibri globali sono cambiati, il mondo non è più bipolare: gli arsenali missilistici dell’Iran e della Corea del Nord sono composti proprio dai missili di corto e medio raggio, e nei piani del Pentagono in caso di un’ -escalation con Pyongyang l’utilizzo di missili da 500-5000 km ha un ruolo chiave.

I teatri di guerra sono oggi regionali, e altri Paesi, non vincolati dall’Inf, vi stanno facendo ricorso. La Cina punta soprattutto sui missili a corto e medio raggio, e infatti Pechino ha reagito subito negativamente alle parole di Trump. Che peraltro, come è nel suo stile, ha lanciato la minaccia di uscire dall’Inf non solo per irritare i russi, ma anche per mandare un messaggio ai cinesi: gli Usa, ha detto il presidente americano, potrebbero anche rimanere nel trattato, ma solo a condizione di rinegoziarlo con Mosca e ora anche con Pechino: da un lato questa proposta riconosce un mondo ormai non più bipolare, ma tripartito, dall’altro vincolerebbe enormemente il dominio militare cinese nell’Asia.

In altre parole, sembra che la sopravvivenza dell’Inf non convenga più a nessuno, tranne ai Paesi europei. A differenza dei russi, il Pentagono ha tecnologie e risorse navali e aeree per colpire comunque dove e quando vuole (l’Inf bandisce solo missili basati a terra), quindi i generali di Putin non vedono il vantaggio di avere le mani legate. I russi, a loro volta, potrebbero tornare ad armarsi di missili di corto e medio raggio – i famigerati «euromissili» degli anni Ottanta – da puntare verso ovest, e non è un caso che il primo Paese europeo a condannare subito l’iniziativa di Trump sia stata la Germania. Per l’Europa si tratterebbe del ritorno di un incubo nucleare che sembrava sparito per sempre, mentre i tre big Russia, Usa e Cina avrebbero le mani slegate su tutta una serie di teatri, insieme ad attori minori come India, Pakistan, Iran e Corea. L’abolizione dell’Inf potrebbe servire anche a un altro obiettivo di Trump, quello di ricompattare la Nato, con gli alleati europei costretti di nuovo a nascondersi sotto l’ombrello nucleare offerto dagli Usa.