La nostra Costituzione federale deve essere superiore al diritto internazionale? Risponderemo a questa domanda il prossimo 25 novembre, quando andremo alle urne per pronunciarci sull’iniziativa popolare federale dell’UDC: «Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (Iniziativa per l’autodeterminazione)». Depositata il 12 agosto 2016, l’iniziativa chiede che il diritto svizzero prevalga sul diritto internazionale. Di conseguenza, tutti i trattati che la Svizzera ha firmato e che contraddicono la Costituzione federale devono essere rinegoziati e, se necessario, anche denunciati. L’obbligo si applica a tutti gli accordi internazionali vigenti e, ovviamente, anche a quelli futuri. Non si applica, invece, soltanto in due casi: nei confronti dei trattati che sono stati sottoposti al referendum popolare, e nei confronti dello «Jus cogens», ossia di quelle disposizioni che sono generalmente accettate dalla comunità internazionale, come il divieto di genocidio, il divieto della schiavitù e della tratta degli schiavi, o la rinuncia alla tortura.
Mancano più di due mesi al voto popolare, ma il dibattito pubblico è già in corso. Molti sono gli aspetti che quest’iniziativa solleva, dalla sicurezza giuridica all’interno della Svizzera, all’immagine internazionale del nostro paese ed alle possibili ripercussioni sull’economia nazionale. L’aspetto più centrale riguarda il rispetto dei diritti umani e merita una particolare attenzione sia sulla situazione vigente che sui cambiamenti che potrebbero intervenire qualora il progetto dell’UDC venisse approvato dal popolo e dai cantoni.
A livello internazionale, il perno della protezione dei diritti umani è costituito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, da due convenzioni approvate dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1966, la prima relativa ai diritti economici, sociali e culturali, la seconda centrata sui diritti civili e politici, nonché da un buon numero di accordi internazionali. A livello europeo, il massimo organo deputato alla tutela dei diritti umani è il Consiglio d’Europa, creato nel 1949 da un primo gruppo di 12 stati che, con il trascorrere degli anni, si è poi allargato. Oggi, gli Stati membri sono 47, con una popolazione complessiva di 800 milioni di persone. Vi partecipano praticamente tutti i paesi del continente europeo, ad eccezione della Bielorussia. Il Consiglio d’Europa ha sede a Strasburgo. Nel 1950, il Consiglio approvò la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, un testo entrato in vigore tre anni dopo e che proprio negli ultimi giorni ha ricordato i suoi sessantacinque anni di esistenza. La Convenzione comprende una lunga lista di diritti umani che gli Stati membri del Consiglio d’Europa devono rispettare, come per esempio il diritto alla vita, la libertà di coscienza, la libertà di espressione e di riunione, il diritto ad avere un equo processo, il diritto al rispetto della vita privata e famigliare. Per garantire l’applicazione della Convenzione da parte dei paesi firmatari, il Consiglio d’Europa, nel 1959, creò la Corte europea dei diritti dell’uomo, un tribunale che oggi è composto di 47 giudici, uno per ciascuno degli Stati membri. È un’istanza giudiziaria permanente molto sollecitata. Ogni anno rilascia un alto numero di sentenze. Le sue decisioni sono vincolanti per tutti i paesi membri del Consiglio d’Europa.
La Svizzera entrò a far parte del Consiglio d’Europa soltanto nel 1963, ossia quattordici anni dopo la creazione del Consiglio. Due sono le ragioni invocate per questo ritardo: la neutralità che impediva di aderire ad un’organizzazione che allora veniva ritenuta politica e l’obbligo d’introdurre il diritto di voto e di eleggibilità delle donne, che nel nostro paese divenne realtà soltanto nel 1971. La ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo avvenne nel 1974. Il Consiglio federale agì autonomamente, senza offrire al popolo la possibilità di esprimersi con un referendum. Dopo il 1974, la Svizzera è stata condannata circa cento volte. Un numero apparentemente alto, ma considerato basso rispetto alle numerose sentenze che hanno colpito tanti altri paesi. La maggior parte dei ricorsi concerneva questioni legate all’equità delle procedure e alle infrazioni del diritto al rispetto della vita familiare, con l’espulsione od il rinvio di un membro della famiglia.
Due sono i principali vantaggi che la Svizzera trae dalla sua partecipazione alla Convenzione europea dei diritti umani. In primo luogo, consente al singolo cittadino di ricorrere al tribunale di Strasburgo ogni volta che si sente leso dalle autorità giudiziarie elvetiche in uno dei diritti fondamentali elencati nella Convenzione. Il diritto di ricorso è esteso anche alle persone giuridiche, come le aziende o le associazioni. Non mancano gli esempi di persone che hanno ottenuto dalla Corte di Strasburgo quello che era stato loro negato in Svizzera dai tribunali chiamati a pronunciarsi sulle loro situazioni. È stato così con la revoca del divieto di trasmissione di un film documentario sul ruolo della Svizzera nel secondo conflitto mondiale, con il riconoscimento alle vittime dell’amianto del diritto di avere un equo processo, anche se i termini di prescrizione non lo consentivano, con la condanna di pratiche lesive della libertà personale, legate a decisioni dell’autorità tutoria, con l’annullamento di decisioni contrarie al principio della parità di trattamento. Il secondo vantaggio risiede nell’evoluzione del diritto elvetico. La Convenzione europea e le sentenze della Corte hanno consentito un’evoluzione che ha portato a colmare alcune lacune legislative, a correggere errori nella giurisprudenza e, in fin dei conti, ad avere una migliore protezione dei diritti umani, che rappresentano la base dello stato di diritto e della democrazia.
L’accettazione da parte del popolo e dei cantoni dell’iniziativa per l’autodeterminazione avrebbe sicuramente conseguenze sui rapporti tra la Svizzera ed il Consiglio d’Europa da cui dipendono la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Corte europea dei diritti dell’uomo. È noto che l’iniziativa mira i giudici stranieri, come sta scritto nel suo titolo, e in primo luogo i giudici della Corte di Strasburgo, accusati di prendere decisioni contrarie alla legislazione elvetica. L’accettazione del testo in votazione non porterebbe automaticamente alla revoca da parte di Berna della Convenzione europea. Un simile passo non è previsto esplicitamente dall’iniziativa. Aprirebbe, però, la porta a conflitti dall’esito incerto. Basandosi sul primato del diritto interno, la Svizzera potrebbe adottare leggi o prendere iniziative contrarie ai diritti umani elencati nella Convenzione ed alla giurisprudenza della Corte e, quindi, ritrovarsi in una situazione che non le consenta più di soddisfare gli standard richiesti a livello europeo in materia di tutela dei diritti umani. In una simile ipotesi, il conflitto potrebbe sbocciare o nella revoca della Convenzione da parte della Svizzera o nell’espulsione del nostro paese dal Consiglio d’Europa. Nei due casi, il cittadino elvetico perderebbe un importante diritto di ricorso di cui dispone oggi, e la credibilità della Svizzera, per quanto concerne la difesa dei diritti umani, nonché la sua immagine internazionale nei confronti degli altri paesi europei, ne uscirebbero fortemente intaccate.