«Negli ultimi anni osserviamo un aumento della polarizzazione e dei conflitti. È un’evoluzione che ci preoccupa perché il nostro sistema si fonda sulla concordanza, sulla cooperazione e sulla ricerca del compromesso», sostiene Adrian Vatter. Il politologo e professore ordinario all’Università di Berna ha curato la pubblicazione del libro Das Parlament in der Schweiz. L’opera raggruppa vari studi svolti all’interno dell’Istituto di scienze politiche dell’Università di Berna, di cui Vatter è il direttore, e indaga com’è cambiata l’attività parlamentare. «Le analisi evidenziano un’accentuata contrapposizione tra governo e Assemblea federale e tra le due Camere federali. Rispetto al passato, il parlamento boccia con più frequenza i progetti presentati dal governo oppure il Consiglio nazionale e quello degli Stati trovano un accordo su un atto legislativo solo dopo una procedura di appianamento o una conferenza di conciliazione».
L’UDC è sempre più isolata. È un’evoluzione evidenziata anche dal voto sull’iniziativa per l’autodeterminazione, combattuta da tutti gli altri partiti. È una costellazione che si nota anche nell’Assemblea federale?
Sì, è un’evoluzione che osserviamo anche in parlamento. L’analisi delle votazioni in Consiglio nazionale, registrate tramite il sistema di voto elettronico, e l’esame delle prese di posizione delle frazioni evidenziano che la costellazione UDC contro le altre forze politiche si è andata vie più cristallizzando negli ultimi 20-25 anni. Rispetto al passato la linea di frattura classica tra il blocco borghese e i partiti rosso-verdi è meno netta. Naturalmente è sui temi che ci si scontra e questa spaccatura è particolarmente ampia sulle questioni relative ai rapporti con l’Unione europea e alla politica migratoria.
Lo ha appena ricordato: le alleanze sono cambiate negli ultimi decenni in parlamento.
Le coalizioni tra i partiti continuano a cambiare nel nostro sistema politico. In passato però il blocco borghese era più compatto, per esempio, in materia di politica estera. Ora non è più così, poiché l’UDC è sempre più isolata in parlamento.
L’UDC ha quindi preso il posto del Partito socialista, che un tempo lottava da solo contro gli altri schieramenti politici?
Sì, in parte è così. Negli anni Settanta-Ottanta i partiti borghesi si schieravano spesso contro il PS. Oggi, la linea di frattura, che attraversa il blocco borghese e che è più o meno netta a seconda dell’oggetto dibattuto, dà continuamente vita a nuove alleanze. È un fenomeno che favorisce soprattutto il Partito socialista e i Verdi.
Ciò significa che nonostante sia la maggiore forza politica in Svizzera, l’UDC ha quasi sempre partita persa sotto la Cupola federale?
Da una parte abbiamo una UDC che dagli anni Novanta continua a guadagnare consensi alle elezioni federali, dall’altra è però un partito sempre più solo in parlamento. L’UDC non trasforma le vittorie elettorali in successi in Consiglio nazionale. È un’evoluzione contraddittoria. Il Partito popolare democratico (PPD) vive invece un’erosione costante di voti, ma in parlamento è il partito che, con il PLR e il PBD, vince più votazioni. Il PPD è il partito della concordanza: il suo ruolo è fondamentale per il funzionamento del nostro sistema parlamentare.
È strano che le sorti di molte decisioni in parlamento dipendano da uno dei partiti più in difficoltà in Svizzera.
Sì, è piuttosto paradossale. Il PPD ha perso consensi, di riflesso anche seggi e si è quindi indebolito. Tuttavia va ricordato che gli equilibri sono diversi nelle due Camere federali. Nel Consiglio degli Stati il PPD ha un ruolo fondamentale: ha il compito di tessere maggioranze; un compito diventato addirittura più importante negli ultimi anni.
Che cosa sbaglia l’UDC, perché non riesce a influenzare maggiormente il processo legislativo?
È una scelta consapevole, quella dell’UDC. Il partito segue coerentemente la sua linea politica anche in parlamento, senza scendere a compromessi e pagando lo scotto di ritrovarsi spesso in minoranza. In questo modo però mantiene un netto profilo e occupa una chiara posizione nel panorama politico elvetico. Preferisce vincere alle elezioni federali che sotto la cupola di Palazzo. Se vuole avere più successo in parlamento, l’UDC deve essere disposta al compromesso, rischiando così di perdere l’appoggio della base poiché non si identificherebbe più nel partito. L’UDC punta piuttosto sulle vittorie elettorali, cedendo così parte del suo influsso politico in parlamento; un influsso che cerca di riprendersi lanciando iniziative e referendum popolari.
Nel nostro sistema bicamerale, il Consiglio nazionale e quello degli Stati dovrebbero avere lo stesso peso. Le analisi presentate nel libro Das Parlament in der Schweiz, di cui lei ha curato l’edizione, indicano però che è soprattutto il Consiglio degli Stati a disegnare i contorni di una nuova legge.
Anche questo è un fenomeno interessante. Il Consiglio degli Stati è in effetti la Camera più influente in parlamento. Questo parziale squilibrio è causato da vari fattori. Per esempio sono spesso i senatori a deliberare per primi su un atto legislativo e sono quindi loro a definire la rotta. Ai deputati spetta poi il compito di definire i dettagli o apportare piccole modifiche. Qual è il motivo di questa situazione? Il Consiglio degli Stati è più piccolo ed omogeneo rispetto al Consiglio nazionale. È in grado quindi di lavorare in maniera più spedita ed efficiente, sbrigando più in fretta i suoi compiti. È libero così di occuparsi di nuovi temi. Inoltre, il Consiglio degli Stati si presenta spesso compatto durante una procedura di appianamento delle divergenze o una conferenza di conciliazione e ciò gli permette di avere la meglio sul Consiglio nazionale.
Dalla fondazione dello Stato federale, il rapporto tra l’esecutivo e il legislativo è cambiato. Lei ha individuato quattro periodi. In quale fase ci troviamo oggi?
Siamo nella fase iniziata negli anni Sessanta con l’affare dei Mirage. Nel 1961, l’Assemblea federale aveva approvato l’acquisto di 100 aerei da combattimento per quasi 900 milioni di franchi. Tre anni più tardi, il Consiglio federale chiese un credito addizionale di 576 milioni, suscitando grande sorpresa nell’opinione pubblica. Nel 1964 si istituì la prima commissione d’inchiesta parlamentare. Per evitare il ripetersi di situazioni analoghe, si rafforzò il controllo sul governo; una funzione che l’Assemblea federale ha costantemente consolidato. Rispetto agli anni Settanta e Ottanta, le due Camere modificano più spesso i progetti di legge del Consiglio federale oppure ne presentano di propri, come l’intesa tra riforma fiscale e finanziamento dell’AVS.
Per controllare il governo e favorire l’elaborazione di nuove leggi, i deputati e i senatori dispongono di vari strumenti. Si nota anche qui un cambiamento nell’impiego di questi strumenti parlamentari?
Nel confronto internazionale osserviamo che l’Assemblea federale ha a disposizione tanti strumenti per influenzare il processo legislativo: interpellanza, ora delle domande, mozione, postulato, iniziativa parlamentare. Negli ultimi anni si nota che il controllo sull’esecutivo da parte dell’Assemblea federale è aumentato, per esempio, con il rafforzamento del controllo federale delle finanze, il controllo parlamentare dell’amministrazione, le delegazioni delle commissioni della gestione e delle finanze. E così oggi non viene quasi più impiegato lo strumento più potente; la commissione parlamentare d’inchiesta.
E tra tutti questi strumenti, ce n’è uno che i deputati e i senatori prediligono?
È la mozione. Non tutti i partiti la usano con altrettanta frequenza. Il gruppo parlamentare del PS presenta spesso delle mozioni durante le sessioni, mentre in altri partiti sono piuttosto i singoli deputati e senatori a servirsi di questo strumento. In generale osserviamo che la mozione o il postulato sono utilizzati soprattutto dai partiti che si trovano alle due estremità dello spettro partitico, quindi maggiormente da parte del PS e dell’UDC e meno del PPD e del PLR.
Avete individuato dei motivi che hanno portato a un uso più frequente di questi strumenti?
Da una parte il loro impiego è stato semplificato, dall’altra i parlamentari e i Partiti vogliono catturare l’attenzione dell’opinione pubblica durante le sessioni. È una conseguenza del fenomeno della mediatizzazione. Questi strumenti vengono sfruttati anche per fare campagna elettorale, per esempio mediante il postulato, che tuttavia viene usato meno di quanto avevamo ipotizzato alla fine della legislatura, nell’anno elettorale.
Il sistema di milizia è uno degli elementi identitari più importanti della nostra Assemblea federale. Ma si può ancora parlare di un parlamento di milizia?
No, non si può più parlare di un sistema di milizia; il nostro è piuttosto un parlamento formato da politici quasi professionisti. Infatti, la maggior parte dei deputati e quasi tutti i senatori dedicano metà del loro tempo, se non di più, al loro mandato di parlamentari. Infatti, negli ultimi venti anni la mole di lavoro è triplicata e gli oggetti sono sempre più complessi. A livello istituzionale, le strutture sono rimaste però quelle di un Assemblea federale di milizia, per esempio i consiglieri nazionali e degli Stati si ritrovano solo durante le sessioni, i servizi parlamentari sono piuttosto deboli, solo pochi parlamentari vengono assistiti da collaboratori personali.
L’Assemblea federale ha appena eletto due nuovi membri del Consiglio federale. Qual è la sua analisi dell’elezione?
La mattinata di mercoledì 5 dicembre è stata storica perché sono state elette contemporaneamente due donne in Consiglio federale; 170 anni dopo l’elezione del primo governo elvetico e a 25 anni dalla non-elezione di Christiane Brunner. Inoltre è stata evidenziata ancora una volta la grande difficoltà dei candidati che non siedono in parlamento federale di farsi eleggere dall’Assemblea federale. Infatti, Karin Keller-Sutter e Viola Amherd non sono solo donne, ma anche due parlamentari. È emerso anche un altro dato: per i cantoni primitivi non è ancora giunto il momento di festeggiare un loro rappresentante in Consiglio federale dopo Ludwig von Moos, che ha lasciato il governo nel 1971. E per finire è stata confermata la formula magica e quindi la concordanza. Il PPD è riuscito a mantenere il suo seggio, garantendosi anche in futuro un posto in Consiglio federale, pure in caso di sconfitta alle elezioni federali del prossimo anno. I Verdi dovranno quindi armarsi ancora di pazienza.
Una regola non scritta stabilisce di votare uno dei candidati proposti dai partiti. È sempre stato così?
Nel XIX secolo le elezioni del governo avvenivano in un clima di grande tensione e contrasti. Da quando tutti i maggiori partiti sono rappresentati in governo, soprattutto nel periodo di massimo splendore della concordanza tra il 1959 e il 2003, il parlamento ha quasi sempre seguito le proposte dei partiti. Di recente non è più stato così, soprattutto durante la fase in cui non era ben chiaro a chi spettassero uno o due seggi nell’esecutivo. Da quando abbiamo una nuova formula magica, con la presenza in governo di due consiglieri federali UDC e uno solo per il PPD, le elezioni si svolgono senza grandi colpi di scena.
Bibliografia
Das Parlament der Schweiz. Macht und Ohnmacht der Volksvertretung a cura di Adrian Vatter, NZZ Libero 2018.