Tutelare meglio lo spazio Schengen

Il prossimo 15 maggio dovremo pronunciarci sul contributo svizzero al potenziamento di Frontex
/ 09.05.2022
di Alessandro Carli

Il 15 maggio dovremo pronunciarci sul contributo svizzero al potenziamento della rete di sicurezza dello spazio Schengen, del quale il nostro paese fa ufficialmente parte dal 12 dicembre 2008. La sorveglianza delle frontiere esterne e la sicurezza dello spazio Schengen, nel quale le persone possono circolare liberamente, sono di competenza dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), con cui la Svizzera collabora da oltre 10 anni. Nell’interesse della Confederazione, Consiglio federale e Parlamento hanno deciso che la Svizzera parteciperà al potenziamento di Frontex. Contro questa decisione è stato lanciato il referendum.

Proprio nel momento in cui la guerra sta divampando in Europa, una chiara maggioranza di cittadini non sembra voler mettere in discussione la sicurezza e la politica migratoria europea. Coloro che sono contrari a Frontex ritengono invece che sia impensabile continuare a sostenere con più soldi e mezzi un’autorità alla quale si rimproverano disfunzioni e violazioni dei diritti umani. Frontex avrebbe assistito, e talvolta preso parte, a respingimenti illegali di migranti, con inchieste in corso e denunce alla Corte di giustizia dell’Ue. Il referendum è stato lanciato dalle organizzazioni che difendono i migranti, con il sostegno della sinistra, sia a causa del maggior contributo finanziario della Svizzera, sia per le citate violazioni dei diritti umani. Secondo loro, Frontex avrebbe partecipato a rinvii alla frontiera e lungo la via dei Balcani. Le organizzazioni non governative denunciano da anni le pratiche illegali delle guardie di frontiera di vari paesi europei come Grecia, Italia, Ungheria, Slovenia e Croazia.

Tuttavia, rifiutando di partecipare al potenziamento di Frontex, la Svizzera potrebbe essere esclusa dagli accordi di Schengen/Dublino, un rischio che – secondo i sondaggi – i cittadini non sembrano disposti a correre. La fine della cooperazione avrebbe infatti gravi conseguenze per la sicurezza, il settore dell’asilo, il traffico di confine, il turismo e l’intera economia. Secondo uno studio di Ecoplan del 2018, le perdite finanziarie potrebbero ammontare a svariati miliardi di franchi. Gli svizzeri, così come i turisti internazionali, sarebbero ostacolati nei loro viaggi. Si dovrebbero reintrodurre i controlli alle frontiere e i visti. Le relazioni con Bruxelles, dopo il fallimento dell’accordo quadro, potrebbero risultare un po’ più complicate.

È stata la crisi migratoria del 2015 ad aver indotto l’Ue a potenziare Frontex che, entro il 2027, disporrà di una riserva di 10’000 persone. Tutti gli Stati che cooperano strettamente in ambito di sicurezza sono corresponsabili per la protezione delle frontiere esterne dello spazio Schengen. Frontex li assiste a livello operativo, anche nel controllo della migrazione. La Svizzera partecipa ai voli congiunti dell’Ue – coordinati e finanziati da Frontex – per il rimpatrio di chi è oggetto di una decisione di allontanamento. Per questa più intensa cooperazione, tra cinque anni, la Svizzera dovrà sborsare 61 milioni di franchi, contro i 24 del 2021, e mettere a disposizione una quarantina di collaboratori, anche per verificare eventuali violazioni dei diritti fondamentali.

Per gli oppositori, concedere più soldi a Frontex significa favorire le violenze. Secondo loro la politica migratoria europea porta a una militarizzazione delle frontiere e a una criminalizzazione dei migranti. I fautori del referendum ricordano che gli eritrei e i somali che fuggono dal loro paese cercano semplicemente la sicurezza. Il loro diritto di depositare una domanda d’asilo – sostengono – è attualmente calpestato. Da qui, la richiesta dell’apertura di vie di migrazione sicure.

La sicurezza sta a cuore anche ai fautori di Frontex. Negare l’aumento del contributo finanziario – ha ammonito la ministra di giustizia Karin Keller-Sutter – significherebbe essere esclusi dallo spazio Schengen, con pesanti conseguenze. Berna non potrebbe più accedere a numerose banche dati europee, determinanti nella lotta contro la criminalità transfrontaliera. Polizia e guardie di confine «brancolerebbero nel buio». Le autorità svizzere dovrebbero riesaminare le domande d’asilo già respinte in un paese vicino, visto che verrebbe a cadere anche l’accordo di Dublino.

Pur ammettendo qualche lacuna nel funzionamento di Frontex, lo schieramento borghese è del parere che si debba continuare a partecipare al sistema per poterlo migliorare dall’interno. A tale scopo si prevede di mettere a disposizione una quarantina di osservatori, ma il loro reclutamento – sottolinea il comitato referendario – sta accumulando ritardi. Gli oppositori sono convinti che, in caso di bocciatura, ci siano poche possibilità che la Svizzera venga esclusa da Schengen. Secondo loro un nuovo accordo potrebbe essere concluso entro 90 giorni. Nel caso poco probabile di vittoria del referendum, i loro fautori chiedono che il nuovo progetto sia accompagnato da misure umanitarie. Propongono un’accoglienza più generosa dei rifugiati, come chiesto in occasione dei dibattiti parlamentari, il rafforzamento delle vie legali di fuga o ancora la possibilità di depositare richieste d’asilo nelle ambasciate.

Ma queste argomentazioni non sembrano raccogliere consensi, nemmeno tra le fila dei promotori del referendum. Infatti le organizzazioni di aiuto ai rifugiati non fanno quadrato. Amnesty International lascia libertà di voto, ritenendo che le disposizioni prese di mira non toccano le condizioni concrete dei migranti. La stessa posizione è stata recentemente condivisa dall’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati. La sinistra è divisa tra i suoi ideali di altruismo ed europeismo. I fautori del referendum potrebbero raccogliere voti sul fronte opposto dello scacchiere politico. Finora titubante, l’Udc ha raccomandato di sostenere Frontex. La base del partito, storicamente contraria a Schengen, potrebbe però non seguire i propri delegati, tanto più che i Giovani Udc sono decisi a condurre una loro campagna contro l’Agenzia europea in questione. Occorre sapere se l’alleanza contro natura tra la sinistra umanitaria e i conservatori euroscettici riuscirà a far pendere il piatto della bilancia. Ma sarà poco probabile: il popolo si è già pronunciato due volte a favore di uno sviluppo dell’accordo Schengen (introduzione del passaporto biometrico e divieto delle armi semiautomatiche). Ha sempre prevalso, sulle altre considerazioni, il timore di vedere una Svizzera indebolita e isolata.