Trump non frena la Svizzera

Con un’ampia maggioranza, le Camere federali hanno ratificato l’accordo di Parigi sul clima, nonostante il ritiro degli Stati Uniti – L’obiettivo è di ridurre le emissioni di CO2 del 50 per cento entro il 2030 rispetto al 1990
/ 19.06.2017
di Marzio Rigonalli

La decisione del presidente americano Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima non ha avuto nessuna ripercussione sul processo di ratifica dell’accordo in Svizzera. Pochi giorni dopo la clamorosa decisione dell’inquilino della Casa Bianca, quando l’onda di reazioni indignate e di proteste, che si era manifestata un po’ ovunque nel mondo, si stava esaurendo, il Consiglio degli Stati ha approvato l’accordo a larghissima maggioranza, con 39 voti favorevoli, 3 contrari e 2 astenuti. Il Consiglio nazionale si era già espresso favorevolmente all’inizio di marzo, nella seduta primaverile, con 123 voti favorevoli, 62 contrari e 8 astenuti. La ratifica è dunque stata approvata dal parlamento federale e mette in vigore in Svizzera l’accordo di Parigi. I numeri rivelano che nelle due Camere c’è stata un’ampia convergenza sugli obiettivi dell’accordo. L’opposizione è emersa soltanto dai banchi dell’UDC. I democentristi hanno tentato, senza successo, di bloccare l’entrata in materia e, in via subordinata, di ridimensionare gli obiettivi che il Consiglio federale intende raggiungere, applicando l’accordo. Per l’UDC la ratifica non era necessaria, perché la Svizzera può decidere autonomamente misure a protezione del clima e perché l’applicazione dell’accordo di Parigi avrebbe probabilmente come conseguenza una serie di tasse e di regolamentazioni, dannose sia per l’economia che per le famiglie. Il chiaro voto favorevole espresso dalla maggior parte delle forze politiche e la sconfitta subita lo scorso 21 maggio con il referendum lanciato contro la Strategia energetica 2050, hanno però indotto l’UDC ad accettare il verdetto delle Camere federali ed a non contestarlo con il lancio di un referendum, che avrebbe potuto avere lo stesso esito negativo di quello sulla Strategia energetica.

Quali sono gli impegni che la Svizzera ha assunto con la ratifica dell’accordo di Parigi? Conviene innanzitutto ricordare che l’accordo sul clima, approvato nella capitale francese nel dicembre del 2015, è stato firmato da 195 paesi e ratificato da quasi 150. Due paesi soltanto, la Siria ed il Nicaragua, non l’hanno firmato. A loro due si sono aggiunti adesso gli Stati Uniti che, però, potranno disdire l’accordo soltanto nel novembre 2020. L’intesa è il risultato di una trattativa durata molti anni e sfociata in un largo consenso internazionale nell’affrontare le sfide che pongono i cambiamenti climatici per il periodo dopo il 2020. Il suo principale obiettivo è di limitare al di sotto dei 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale. In realtà punta ad un aumento massimo della temperatura pari a 1,5 gradi Celsius. L’accordo non è giuridicamente vincolante ma impegna ogni paese che l’ha ratificato a presentare, ogni cinque anni, un obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni di gas serra. L’obiettivo, ovviamente, deve essere accompagnato da una serie di misure nazionali che consentano di attuarlo. Inoltre, a partire dal 2020, è stato previsto che, ogni anno, i paesi industrializzati aiutino i paesi in via di sviluppo nei loro sforzi di riduzione delle emissioni e di adattamento, con un fondo di 100 miliardi di dollari, provenienti sia dal settore pubblico che da quello privato.

Per il periodo dopo il 2020, la Svizzera ha deciso di ridurre almeno del 50 per cento, rispetto al 1990, le proprie emissioni di gas serra. Per raggiungere questo obiettivo, che dovrà essere attuato entro il 2030, potranno essere utilizzati, per lo meno in parte, anche certificati di riduzione delle emissioni estere. È un traguardo molto ambizioso, perché implica la riduzione di metà delle emissioni che sono state registrate nel 1990. Per lo stesso periodo, l’Unione europea si è fissata come obiettivo la riduzione del 40 per cento delle sue emissioni. Durante il dibattito parlamentare, l’UDC soprattutto, ma anche il PLR al Consiglio nazionale, hanno tentato di ridimensionare l’obiettivo, abbassando l’asta delle emissioni dal 50 al 40 per cento, o addirittura al 30 per cento. Il tentativo, però, non ha convinto la maggioranza dei parlamentari.

Per gli anni che ci separano dal 2020, la Svizzera si è impegnata a ridurre del 20 per cento le sue emissioni di gas serra sempre rispetto al 1990. Nel 2015 è riuscita a ridurre le sue emissioni del 10 per cento, ottenendo così la metà della riduzione, cui vuole arrivare nel 2020. Ci sono settori, come quelli dell’industria e degli edifici, che sono sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo del 2020. Altri settori, invece, incontrano più difficoltà, come per esempio quello dei trasporti, un settore che è alle prese sia con l’aumento della popolazione che con una mobilità sempre più sostenuta.

Nella sua veste di ricco paese industriale, la Svizzera può rappresentare un esempio nella comunità internazionale, anche se è responsabile soltanto di una piccola parte delle emissioni di gas serra. Un esempio che può tradursi in un’incitazione ad agire per tanti altri paesi, forse meno sensibili ai cambiamenti climatici. La Confederazione ha un grande interesse a vedere la comunità mondiale impegnata sul fronte del clima sia per ragioni economiche che per la posizione che occupa sul continente europeo. La lotta ai cambiamenti climatici favorisce l’avvento di nuove tecnologie ed il rinnovo dell’economia, processi dai quali l’economia svizzera può trarre vantaggio. Per di più, la Svizzera è un paese situato al centro delle Alpi, che presenta segnali che denotano una certa sua fragilità. I ghiacciai si riducono ogni anno e sono destinati a scomparire. Il limite della neve si sta alzando ed ha già importanti conseguenze sul turismo invernale. Eventi radicali, come le forti precipitazioni, la canicola e la siccità stanno diventando sempre più frequenti. In altre parole fa più caldo, ci sono più giorni di canicola e più notti tropicali, quando la temperatura non scende sotto i 20 gradi, e d’inverno il periodo con la presenza della neve si fa più corto. Dal 1864, anno in cui cominciarono i rilevamenti, al 2016, la temperatura media svizzera è aumentata di circa 1,8 gradi Celsius, corrispondente più o meno al doppio dell’aumento globale. È facile immaginare quello che potrebbe succedere nei prossimi anni e decenni se la temperatura continuerà ad aumentare.

Per implementare l’accordo di Parigi e, quindi, per ottenere la riduzione del 50 per cento delle emissioni entro il 2030, la ratifica parlamentare non basta. Occorre anche definire ed approvare un certo numero di misure concrete. Ciò avverrà attraverso la revisione della legge federale sul CO2. L’attuale legge è in vigore dal 1. gennaio 2013 e mira soprattutto all’obiettivo che si vuol raggiungere nel 2020. Il Consiglio federale ha già messo in consultazione la revisione della legge ed entro la fine dell’anno dovrebbe presentare alle Camere il suo messaggio. Con ogni probabilità, il dibattito parlamentare al quale assisteremo sarà molto acceso e lo scontro tra l’UDC e la maggior parte degli altri partiti sarà ancor più forte di quello avvenuto per la ratifica dell’accordo. La posta in gioco è alta per l’economia ed un po’ per tutti. Alla fine, se verrà lanciato il referendum, la decisione finale sulle misure concrete spetterà al popolo.