Trump-Kim, «turisti» a Sentosa

12 giugno – Gli storici colloqui sul nucleare tra il presidente Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un avranno luogo in un resort di lusso su un’isola della città-stato di Singapore
/ 11.06.2018
di Giulia Pompili

Qualche giorno fa Kim Chang-son, il de facto capo dello staff del leader nordcoreano Kim Jong-un, era stato avvistato a Sentosa, una piccola isola artificiale di poco più di sei chilometri quadrati che fa parte della città-stato di Singapore. Kim Chang-son, circondato dai suoi protettori e attendenti, stava facendo in gran segreto uno degli ultimi sopralluoghi strategici al Capella Hotel, il luogo dello storico incontro tra il leader nordcoreano e il presidente americano Donald Trump. Subito dopo l’avvistamento, la Casa Bianca era stata costretta a confermare: da settimane i giornalisti erano alla ricerca di notizie sulla location della stretta di mano tra i due leader che per l’intero 2017 si sono fatti la guerra a suon di insulti e minacce, e ora compiono il più importante passo della storia contemporanea in Asia orientale. Ma non è tutto rose e fiori. 

A parte il prestigio e l’indotto economico, va da sé soprattutto mediatico, un vertice del genere è anche una grande responsabilità per il paese ospitante. Non è un caso se nelle ultime settimane, e a ogni occasione, i funzionari della Casa Bianca abbiano ringraziato Singapore e il suo governo. Il quale, probabilmente, sarà costretto perfino a sostenere le spese di alloggio della delegazione nordcoreana, che non può permettersi un budget così extra-lusso. 

Il Capella Hotel è uno dei resort più esclusivi e costosi del sud est asiatico. Centododici tra stanze, suite e villette, più un maniero presidenziale, immersi in quasi tredici ettari di vegetazione tropicale. Una rigidissima policy sulla privacy degli ospiti impedisce, anche in circostanze normali, addirittura di fotografare gli interni senza l’autorizzazione della direzione. L’intero resort è stato progettato dall’archistar inglese Norman Foster, e i lavori per la sua costruzione sono iniziati nel 2003 e sono stati completati soltanto sei anni dopo. Due edifici militari storici, risalenti alla fine dell’Ottocento, sono stati riqualificati e sono l’ossatura, il corpo centrale dell’edificio che visto dall’alto forma una specie di 8 in color terracotta – particolarità che gli è valsa pure il premio per miglior design ai South East Asia Property Awards.

Tutta l’area è di proprietà della Pontiac Land Group della famiglia Kwee, una delle più famose e più ricche di Singapore. Cinque fratelli che gestiscono 5,3 miliardi di dollari di patrimonio, investiti perlopiù in attività di hotel extralusso. La loro storia è un po’ il simbolo del riscatto sociale di Singapore: il padre, l’indonesiano Henry Kwee Hian Liong, nel 1958 aveva lasciato il Paese d’origine, si era trasferito nella città-stato ed era entrato nel settore immobiliare, fino alla fondazione della Pontiac Land a metà degli anni Sessanta.

Se il Capella Hotel non è un alloggio accessibile a tutti – dovete considerare almeno 500 euro per notte per una stanza normale, ma si arriva a duemila euro per una villetta con giardino – l’isoletta di Sentosa, che dista 500 metri dalla costa sud di Singapore, è invece una destinazione molto popolare non solo tra i turisti ma pure per i locali. C’è una funivia panoramica e il Sentosa express, una monorotaia inaugurata negli anni Ottanta per incentivare il traffico verso l’isoletta e che in un quarto d’ora raggiunge l’isola. Una media di venti milioni di visitatori l’anno arrivano qui, dove il fondatore della patria e leggendario primo ministro Lee Kwan Yew, all’inizio degli anni Settanta, decise di trasferire i malay e cinesi che abitavano la piccola isola per farne un parco di divertimenti a cielo aperto e puntare sul business del turismo.

Nello stesso periodo, il suo nome fu cambiato dal malay Pulau Blakang Mati, che vuol dire più o meno l’isola della morte, a Sentosa, che significa pace e serenità. Durante l’occupazione giapponese, subito dopo la Seconda guerra mondiale, quei sei chilometri quadrati erano stati usati dalle truppe nipponiche come campo di prigionia, teatro delle peggiori nefandezze dell’armata imperiale.

«Aumentare le misure di sicurezza è praticamente impossibile, se parliamo di Singapore. Ogni cittadino è talmente controllato che quando chiami un taxi non hai nemmeno bisogno di dirgli dove sei», ci dice un frequentatore della città-stato sin dai tempi di Lee Kwan Yew. Sotto la guida del leggendario politico, morto nel 2015, e poi di suo figlio Lee Hsien Loong, il governo di Singapore è riuscito nel giro di mezzo secolo a trasformare la città in una utopia neo-confuciana. Perché il modello Singapore è questo: economia di mercato e innovazione, cultura della ricchezza rappresentata dalle larghe strade pulite maniacalmente: per un solo mozzicone di sigaretta buttato a terra si rischiano multe da migliaia di euro, e si fuma soltanto in rarissime aree delimitate, anche all’aperto. E poi enormi grattacieli e resort tra i più belli del mondo, un sistema sanitario che è tra i cinque più efficienti secondo l’Organizzazione mondiale della sanità.

Ma c’è un prezzo, ed è il condizionamento e il controllo sociale. Le manifestazioni di piazza qui sono illegali, e l’unico luogo dove si può protestare liberamente è il famoso Speaker’s corner all’interno del parco Hong Lim. Altrove, un semplice assembramento di persone può far scattare i controlli. Quando, come possibile sede per il vertice tra Donald Trump e Kim Jong-un, è iniziata a circolare l’ipotesi di Ulan Bator, la capitale della Mongolia, molti analisti di affari asiatici sostenevano che lo sconfinato Paese dell’Asia centrale non sarebbe stato in grado di organizzare un summit di tale importanza nemmeno con un anno di preavviso. Singapore invece ha facilmente messo in piedi il sistema di sicurezza adatto: l’isola non è stata nemmeno chiusa al pubblico, e anzi ai giornalisti accreditati, qualche migliaio, è stato chiesto di mantenere un profilo basso e di non disturbare gli ospiti e i cittadini della citta-stato.

Uniche due forme di rafforzamento del controllo sono la chiusura dello spazio aereo sopra all’isola di Sentosa e il dispiegamento degli uomini della brigata Gurkha. Si tratta dell’élite della polizia singaporeana, un corpo d’armata che è un lascito del periodo coloniale inglese: all’inizio dell’Ottocento, Londra reclutava i cittadini del Nepal e li arruolava nell’Esercito della Compagnia Britannica delle Indie orientali. Ancora oggi i nepalesi possono entrare nell’esercito britannico oppure nei corpi speciali della polizia di Singapore. Considerati tra i reparti più efficaci del mondo, i Gurkha arrivano quando a Singapore succede qualcosa che necessita la massima sicurezza, per esempio durante l’annuale forum Shangri La Dialogue, o quando la città-stato, tradizionalmente neutrale, viene scelta per ospitare grandi eventi politici.

Per esempio il 7 novembre del 2015, quando l’allora presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou, e il presidente cinese Xi Jinping, si incontrarono all’hotel Shangri La. Era la prima volta che i leader delle due nazioni si sedevano a un tavolo di colloqui sin dal 1945. Gli chef del più famoso tra i cinque stelle della città-stato prepararono per i due leader una cena a base di gamberi, asparagi fritti e noodles, serviti nella sala più grande, con un tavolo adatto ad accogliere entrambe le delegazioni. Alla fine delle due ore di banchetto, Ma e Xi divisero a metà il conto. Nonostante l’incredibile confusione generata dai giornalisti e dalle telecamere di mezzo mondo arrivate a Singapore, la macchina della sicurezza funzionò alla perfezione e anche in quel caso non ci fu nemmeno bisogno di chiudere l’hotel agli ospiti. Un ottimo precedente, quanto a organizzazione, ma non proprio di buon auspicio visto come sono andate poi a finire le cose tra Cina e Taiwan.