Trentasette capi d’imputazione: Donald Trump (nella foto) è stato incriminato per altrettante ipotesi di reato. L’accusa è di aver trafugato dagli archivi presidenziali dei documenti top secret, poi di averne rifiutato la restituzione quando l’Amministrazione Biden glielo ha chiesto. La legge in base alla quale potrà essere condannato è lo Espionage Act che tutela la sicurezza nazionale contro atti di spionaggio. È la prima volta nella storia che un ex presidente degli USA viene incriminato dalla giustizia federale del suo Paese. L’ultimo atto – per ora – della saga giudiziaria di Trump è senza dubbio il più serio, ben più grave rispetto all’incriminazione da parte del procuratore di New York per il pagamento a una pornostar.
La reazione all’ultimo episodio è avvenuta secondo un copione collaudato e prevedibile, riflesso di una Nazione spaccata, dove la fiducia nelle istituzioni è ai minimi. La maggior parte dei dirigenti repubblicani difendono Trump, compresi molti che si oppongono a lui nella gara per la nomination presidenziale del 2024. Denunciano un processo politicizzato e illegittimo. Sinceri o meno, si sentono costretti ad allinearsi con la base del partito repubblicano: anche tra gli elettori di destra una maggioranza pensa che la giustizia federale è di parte, manovrata da Biden; pensa che Trump dovrebbe tornare a fare il presidente perfino nell’ipotesi in cui fosse condannato in tribunale. Sul fronte opposto la maggioranza dei democratici considerano Trump colpevole a priori, ancor prima che il processo si svolga. È un atteggiamento che si era visto già all’epoca dei due procedimenti di impeachment contro Trump presidente, ambedue falliti. Nel merito, si sa che lo Espionage Act è una legge controversa; la sua interpretazione è elastica; altri presidenti o vicepresidenti o alte cariche dello Stato hanno violato la segretezza degli archivi top secret. Il ministro della Giustizia che ha avviato il procedimento contro Trump, e il procuratore speciale da lui nominato, sono consapevoli di questo. Perciò hanno tentato di costruire un’istruttoria molto solida, che possa reggere a tutte le obiezioni sia della difesa legale che dell’opinione pubblica (repubblicana). Trump è il peggior nemico di sé stesso, ha agevolato il lavoro dell’accusa nel momento in cui si è rifiutato di restituire i documenti che aveva portato con sé nel trasloco dalla Casa Bianca alla tenuta di Mar-a-Lago.
Attenzione alla tempistica. Con ogni probabilità il processo avrà inizio solo quando saranno finite le primarie del 2024. Quindi il processo sarà una spada di Damocle sospesa sulle primarie e con il potere di condizionarle; il suo esito invece non lo sapremo fino alla sfida finale per la Casa Bianca. O forse perfino dopo? L’impatto è mondiale. L’America – grazie agli errori di Vladimir Putin – ha rafforzato la sua influenza geopolitica e la sua leadership sugli alleati, ma la sua democrazia è afflitta da tali problemi che rischiano di ripercuotersi sulla credibilità esterna. Governi amici, nemici o neutrali, tutti devono porsi domande sulla linea di marcia delle politica estera USA, e prepararsi opzioni alternative nel caso di brusche sterzate.
Vista da altre parti del mondo questa America può assomigliare a una Repubblica delle banane? Se vinci le elezioni ti prendi tutto il potere esecutivo compreso quello giudiziario. Se le perdi, prima o poi il tuo avversario farà in modo da cacciarti in galera; soprattutto se ha ragione di pensare che tu cercherai una rivincita. Di solito questo meccanismo descrive Paesi del Centroamerica o qualche instabile Nazione africana. C’è un quotidiano che è diventato l’organo militante della sinistra americana, è quel «New York Times» dove durante la presidenza Trump molte redattrici e redattori teorizzavano il «giornalismo resistenziale». La linea del quotidiano è anti-trumpiana ad oltranza, nonché giustizialista. Eppure ogni tanto perfino su quelle colonne si affaccia un dubbio tremendo.
Cito da un editoriale firmato da Damon Linker: «L’ex presidente si trova nuovamente ad affrontare un’incriminazione, stavolta davanti a un tribunale federale, dopo un’indagine sul modo in cui ha gestito dei documenti segreti dopo la sua partenza dalla Casa Bianca. La prospettiva di processare Trump per dei reati seri e di mandarlo in carcere dà a molti americani un senso di ebbrezza: finalmente può essere fatta giustizia. Sono reazioni comprensibili, ma il rischio giudiziario che corre Trump non deve accecarci sul rischio politico che affronta il Paese. Altre Nazioni hanno messo sotto processo, condannato e incarcerato degli ex presidenti, ma gli USA non lo hanno mai fatto. È una fortuna che non sia mai accaduto. Le procedure giudiziarie costruiscono e mantengono la loro legittimità quando mostrano imparzialità. Ma quando un personaggio politico di un partito è messo sotto inchiesta da chi appartiene a un altro partito, è impossibile mostrare imparzialità. È particolarmente vero se il personaggio in questione è un populista abile nel mettere a nudo gli interessi meschini e di parte che si nascondono dietro la retorica virtuosa sullo Stato di diritto. Questa dinamica corrosiva è perfino più acuta quando la personalità pubblica non è solo un ex leader ma potenzialmente un futuro leader. Trump è candidato alla presidenza contro Biden, il cui ministro della Giustizia ha nominato il procuratore speciale per questa indagine. Sembra uno scenario fatto su misura per confermare la tesi di Trump secondo cui lui è vittima di una caccia alle streghe dalla motivazione politica».
I democratici non capiscono su quale china scivolosa stanno spingendo l’America? Forse lo capiscono benissimo. Lo stesso Linker nella sua analisi arriva a una conclusione. I democratici hanno visto che i processi rafforzano Trump a scapito di altri candidati del suo partito, come Ron DeSantis. Più Trump può giocare la parte della vittima di una persecuzione giudiziaria più sale nei sondaggi e distacca quei rivali che potrebbero strappargli la nomination repubblicana. Siccome i democratici sono convinti che Trump sia il candidato più facile da battere, il sospetto che si accaniscano non per farlo fuori, bensì per aiutarlo e rafforzarlo, è fondato. In ogni caso per ora questo gioco funziona. A fine marzo il vantaggio di Trump nei sondaggi sul governatore della Florida Ron DeSantis era di soli 15 punti, un margine esiguo alla luce della notorietà molto maggiore di Trump, e del fatto che DeSantis non si era ancora ufficialmente candidato. Due mesi dopo lo scarto a favore di Trump era raddoppiato. Cosa era successo in mezzo? La prima incriminazione giudiziaria, ad opera del procuratore di New York, Alvin Bragg, magistrato eletto nelle liste del partito democratico. I sospetti di un gioco truccato sono rinforzati dal fatto che lo stesso Biden ha trafugato documenti top secret dalla Casa Bianca quando era vicepresidente e se li è tenuti nel garage di casa. Hillary Clinton commise delle illegalità di tipo analogo contro i segreti di Stato, violando le regole sull’uso di canali riservati per le email quando era segretaria di Stato.
Trump incriminato e sempre più forte
Quando l’ex presidente degli USA può giocare la parte della vittima di una persecuzione giudiziaria sale nei sondaggi
/ 19.06.2023
di Federico Rampini
di Federico Rampini