La penuria di beni di prima necessità e l’inflazione galoppante, aggravate dalla crisi sanitaria, hanno scatenato una forte reazione la scorsa estate a Cuba. A metà luglio 2021 migliaia di persone sono infatti scese nelle strade di una cinquantina di centri urlando: «Abbiamo fame» e «Abbasso la dittatura!». Secondo diversi analisti, si tratta delle manifestazioni con maggiore partecipazione e carica emotiva sull’isola da decenni a questa parte. Proteste a cui è seguita una decisa repressione da parte del regime guidato dal presidente Miguel Díaz-Canel, il primo capo di Stato cubano a non portare il cognome Castro.
L’ultimo «processo di massa» collegato alle agitazioni dello scorso luglio – ricorda «Le Monde» (edizione del 6-7 febbraio 2022) – si è tenuto all’Avana dal 31 gennaio al 3 febbraio. «Durante quattro giorni 33 cubani sono stati giudicati per “sedizione” dal tribunale del quartiere 10 ottobre». Sono accusati di aver partecipato ad atti violenti, quali danneggiamenti di vetture della polizia, lanci di pietre e bottiglie. L’ufficio del procuratore ha chiesto per loro fino a 25 anni di carcere. «La settimana precedente gli accusati per “sedizione” erano 39; 57 a metà gennaio. Da dicembre 2021, a Cuba non è passata una settimana senza processi contro i dimostranti. (…) Il 25 gennaio, in un comunicato pubblicato su “Granma” (il giornale ufficiale del Comitato centrale del Partito comunista cubano, ndr.), la Procura generale ha ammesso che 790 cubani, tra cui 55 minorenni tra i 15 e i 18 anni, sono stati accusati di “atti di vandalismo”, “attentati all’autorità dello Stato” e “gravi alterazioni dell’ordine pubblico”». Per le Ong non ci sono dubbi, sottolinea «Le Monde»: il regime cubano si augura che i processi servano come esempio e impediscano nuove rivolte nel Paese. Ma la rabbia e la frustrazione dei cubani non si placano.
Quella rabbia e quella frustrazione che chi scrive avvertiva, anche se velate, negli incontri fatti sull’isola caraibica una quindicina di anni fa. Un luogo di contrasti. Un popolo orgoglioso – nei simboli ma non solo – della sua storia di ostinata resistenza ma decisamente curioso di quello che si muoveva, più libero, al di fuori dei confini nazionali. La dolcezza della frutta e la ricchezza della natura, di un verde rigoglioso, stridevano con i calcinacci nelle vie dell’Avana e la povertà della gente. Una povertà dignitosa che nulla aveva a che vedere con la fame. C’erano le «razioni di guerra» assicurate per tutti. Molte abitazioni ospitavano una decina di persone che dormivano dappertutto. Ed era evidente la grande difficoltà dei cubani a reperire medicine, sapone, assorbenti, scarpe, reggiseni ecc. Così alcuni di loro chiedevano questi articoli ai turisti. Turisti che oltretutto avevano in tasca tanti pesos cubani convertibili, la moneta forte dell’isola; i pesos cubani in confronto non valevano niente (dal primo gennaio 2021 le due valute sono state unificate).
Una delle attività più redditizie per i cubani – crollata a causa del Covid – era appunto quella turistica, svolta più o meno legalmente. In tantissimi si ingegnavano: offrivano alloggi e cibo (le «casas particulares»), percorsi guidati, giri in «cocotaxi» (taxi in stile risciò), lezioni di salsa… Non importa se nel cassetto avevano lauree in medicina o altro. Così si sbarcava il lunario. Ma curarsi restava un miraggio per molti. «Non ci mancano i medici ma i farmaci», ci raccontava con la voce intrisa di mestizia una signora col figlio malato che ci ospitava a Trinidad. Mestizia che permeava l’aria sull’isola anche se, in sottofondo, si sentiva il ritmo del ballo caraibico che piaceva da impazzire agli stranieri e alle straniere talvolta accompagnati da giovani locali, in quella situazione chi lo sa se per piacere o per bisogno. La libertà – come parecchie altre cose – mancava, e in tanti ce lo sussurravano, nelle pieghe dei discorsi. La libertà tratteggiata dai racconti dei forestieri, che si immaginavano meravigliosa. Ma la Patria, in pubblico, la si doveva difendere. Quella Patria e quel passato osannato dai graffiti sbiaditi sui muri e dai libri che si leggevano nelle scuole.