Tra pressione demografica e carenze alimentari

L’umanità conta otto miliardi di persone distribuiti in modo tutt’altro che regolare sulla superficie della Terra
/ 12.12.2022
di Alfredo Venturi

Non c’è dubbio, questo pianeta comincia ad andarci stretto. Poiché le terre emerse misurano 149 milioni di chilometri quadrati, il 29 per cento della superficie del globo, il fatto che l’umanità conti ormai otto miliardi di persone significa che abbiamo mediamente a disposizione un chilometro quadrato per ogni 54 abitanti. Una densità che sembrerebbe accettabile, se non fosse per due dettagli: da un lato buona parte della Terra aritmeticamente disponibile è più o meno se non del tutto inospitale (deserti, montagne, foreste pluviali). Inoltre la popolazione è distribuita in modo tutt’altro che regolare: si va da aree completamente spopolate a certe massicce concentrazioni urbane, ad esempio le formicolanti megalopoli asiatiche. Come tutte le medie, anche quella dei 54 abitanti per chilometro quadrato è un dato matematicamente ineccepibile ma praticamente ingannevole. Per esempio il Bangladesh, il più popoloso fra i grandi Paesi del mondo, deve fare i conti con una densità ventidue volte più alta: oltre milleduecento abitanti per chilometro quadrato.

La verità è che la Terra abitabile, «l’aiuola che ci fa tanto feroci», non soltanto è relativamente poca, ma è anche impoverita dall’uso dissennato che ne facciamo riducendone le capacità vitali. Fra l’altro il boom demografico ha conosciuto negli ultimi decenni un’impetuosa accelerazione. Per aggiungere al dato complessivo l’ultimo miliardo di esseri umani sono bastati undici anni: infatti nel 2011 eravamo «solo» sette miliardi. Ma fino a quando il dato continuerà ad aumentare? Qualche tempo fa si temeva che questa tendenza fosse destinata a sopraffare prima o poi ogni possibilità di sostentamento. Secondo le valutazioni più recenti l’aumento è invece destinato a culminare in un picco, oltre il quale comincerà una fase calante. Gli esperti delle Nazioni Unite ritengono che negli anni Ottanta di questo secolo sarà superata la soglia dei dieci miliardi e che a questo punto l’umanità smetterà di crescere e anzi avvierà una lenta parabola discendente.

In confronto al vertiginoso aumento registrato nel ventesimo secolo e nei primi decenni del ventunesimo, i due miliardi supplementari dei prossimi sessant’anni corrispondono dunque a un drastico ridimensionamento del fenomeno. Nel 2020 per la prima volta da decenni l’aumento annuale della popolazione mondiale si è mantenuto al di sotto dell’un per cento. Siamo comunque di fronte a valori ben superiori a quelli dei secoli passati. Infatti eravamo non più di un centinaio di milioni ai tempi dell’impero romano, mentre a metà del Trecento gli europei decimati dalla peste nera si ridussero in una manciata di anni da 450 a 350 milioni. Quattro secoli più tardi, con la rivoluzione industriale, le migliori condizioni di vita provocarono un deciso aumento della vita media e un parallelo aumento della natalità. In soli due secoli la popolazione mondiale raddoppiò, ma si dovette aspettare metà Ottocento perché superasse la fatidica soglia del miliardo di esseri umani.

Poi la crescita si fece vertiginosa: oltre un miliardo e mezzo nel 1900, due miliardi nel 1940, sei nel 2000, fino ad arrivare agli otto miliardi di oggi. Nel secolo scorso l’impetuosa accelerazione portò alcuni Paesi a tentare con misure d’intervento sociale e con il ricorso alla contraccezione l’abbassamento del tasso di natalità. Ma poiché nel frattempo il fenomeno aveva conosciuto una netta divaricazione, da una parte la bomba demografica in quello che allora si chiamava Terzo mondo, dall’altra la denatalità nell’Occidente industrializzato, in alcuni Paesi europei si cercò e si cerca, al contrario, di incoraggiare le nascite con politiche di tutela sociale e di sostegno economico. Nonostante questi interventi alle lunghe, prevedono le stime delle Nazioni Unite, la tendenza globale sarà invertita.

Di particolare interesse l’andamento demografico nei due Paesi, Cina e India, che da soli ospitano un terzo degli abitanti della Terra. Vivono in «Cindia» attualmente poco più di 2,8 miliardi di persone quasi equamente divise fra i due Paesi, con una leggera prevalenza della Repubblica Popolare Cinese, che resta sovrappopolata nonostante i lunghi anni della cosiddetta politica del figlio unico. Ma, secondo le proiezioni, entro la fine dell’anno prossimo la Cina cederà all’India il primato di Paese più popoloso del mondo, mentre a metà di questo secolo gli indiani saranno 1,7 miliardi e i cinesi si ridurranno a 1,3. Nonostante il ridimensionamento della popolazione nella Repubblica Popolare, i due Paesi asiatici continueranno dunque a contenere un terzo dell’umanità.

La forte densità demografica e i problemi che pone, a cominciare dal crescente fabbisogno di cibo in un pianeta già afflitto da gravi carenze alimentari, hanno contribuito a nutrire e diffondere inquietanti teorie secondo le quali certi «poteri forti» intenderebbero ridurre drasticamente gli abitanti della Terra. Puntando sul controllo delle nascite? Ma no, avvalendosi di tecniche che vanno dalla creazione di pandemie, come quella recente del coronavirus, fino alla diffusione su larga scala di sostanze tossiche e farmaci letali. A parte queste divagazioni, la conseguenza più ovvia della sovrappopolazione, o per meglio dire della sua distribuzione squilibrata fra le varie parti del mondo, è sotto gli occhi di tutti. Si tratta del fenomeno migratorio, della propensione di milioni di esseri umani oppressi da nere prospettive di vita a trasferirsi verso aree che a torto o a ragione considerano più tranquille e vivibili.

Proprio su questo aspetto la comunità internazionale è chiamata una buona volta a orientare le sue scelte, liberandosi dai vincoli imposti da quel reticolato di frontiere chiuse che la rendono prigioniera di vecchi schemi isolazionisti e nazionalistici. Si tratta di ripristinare l’equilibrio, così spesso alterato, fra pressione demografica e disponibilità alimentari. Ma andrebbe soddisfatta in primo luogo una condizione necessaria anche se non sufficiente: quella pace universale che si sogna da secoli e che ancora oggi è confinata oltre l’orizzonte spaziale e temporale.