In queste settimane la campagna elettorale è entrata nella sua fase decisiva. La data delle elezioni, il 22 ottobre, è ormai vicina. I partiti hanno lanciato la volata finale. È il momento di battere forte le grancasse per mobilitare l’elettorato. Infatti, pochi punti percentuali potrebbero fare la differenza tra vittoria o sconfitta, dato che lo scarto tra i partiti è minimo. Sicuramente non vivremo più un’elezione come quella del 2019, quando la domenica del voto ci aveva consegnato un’Assemblea federale più giovane, più femminile e soprattutto più ecologista. I Verdi erano passati dal 7,1 al 13,2%, mentre le donne avevano conquistato il 42% dei seggi in Consiglio nazionale.
Quattro anni più tardi, cosa rimane di quel voto storico, dopo almeno tre crisi: la pandemia, la guerra in Ucraina, l’acquisizione del Credit Suisse da parte di UBS? Nel 2019 ci si chiedeva quali conseguenze avrebbero avuto l’onda verde e viola sulla politica svizzera. Oggi sappiamo che a quelle due ondate ne sono seguite altre, quelle pandemiche, che hanno avuto un impatto devastante sulla vita del Paese. Il Covid-19 ha paralizzato tutto, inclusa l’attività politica a Berna. Entrambe le Camere sono state prese in contropiede. In marzo, durante la prima sessione post-elezione, i membri del Consiglio nazionale e degli Stati sono stati mandati a casa poco dopo essersi riuniti per la prima volta, e prima che le neoelette e i neoeletti potessero ambientarsi, allacciare nuovi contatti e stringere alleanze. Sono seguite sessioni difficili, tenute fuori da Palazzo federale, dietro mascherine e plexiglas. Tali condizioni non sono certo state ideali per soddisfare le attese di chi aveva votato le candidate donne e i partiti ecologisti.
A distanza di quattro anni possiamo affermare che l’ondata viola si è appiattita e ha avuto un impatto limitato. Come sottolinea Isabel Stadelmann, politologa presso l’Università di Berna, in politica il partito è più importante del genere. Lo abbiamo visto, ad esempio, quando il Parlamento ha dovuto decidere sull’innalzamento dell’età pensionabile per le donne. In Consiglio nazionale le rappresentanti femminili hanno votato come i colleghi di partito. Non c’è stata quindi una spaccatura tra i due generi, come invece è avvenuto nella votazione popolare dove solo il 38% delle donne ha approvato la revisione dell’AVS.
In altre occasioni, soprattutto quando in Parlamento si è dibattuto su tematiche sociali, l’alleanza interpartitica tra donne ha fatto sentire la sua voce. È solo grazie a un voto che ha oltrepassato gli steccati partitici se la revisione del diritto penale in materia sessuale e una nuova definizione di stupro hanno fatto un passo avanti. Le parlamentari hanno promosso anche altri progressi in materia di parità di genere e di diritti, come la creazione di una rete di consulenza per le vittime di violenza o l’approvazione della legge sugli asili nido. Per raggiungere questi risultati, nel corso della legislatura le donne hanno dato vita a varie piattaforme volte a rafforzare il legame tra di loro: hanno fondato la squadra di calcio femminile FC Helvetia, hanno organizzato dopo trent’anni una sessione femminile e le Consigliere agli Stati cenano spesso insieme.
In sintesi si può dire che l’onda viola non ha forse soddisfatto tutte le aspettative, ma ha di certo aumentato la visibilità delle questioni di genere, contribuito a cambiare la cultura parlamentare rendendola meno maschilista e più inclusiva, arricchito il dibattito con un ventaglio più ampio di opinioni, punti di vista e ha allargato l’agenda politica con nuove tematiche, trascurate in precedenza dagli uomini. E che cosa si può dire dell’onda verde? Chi si aspettava progressi significativi in materia di politica climatica e ambientale è rimasto probabilmente deluso. Dopo i festeggiamenti per un successo storico, le forze ecologiste hanno dovuto fare i conti con alcune cocenti sconfitte. Ad esempio, nel giugno 2021, la revisione totale della legge sul CO2 è stata respinta di stretta misura alle urne, nonostante fosse sostenuta da quasi tutti i partiti. Lo stesso destino è toccato alle due iniziative agricole contro i pesticidi e per l’acqua pulita, affossate da una mobilitazione senza precedenti della popolazione rurale. Inoltre, con il loro forcing a favore dei due oggetti in votazione, le associazioni ambientaliste hanno fatto arrabbiare la lobby agricola che ha chiesto la sospensione della Politica agricola 22+, che prevedeva una maggiore salvaguardia ambientale. Inoltre, l’Unione svizzera dei contadini si è alleata con il mondo economico in vista delle elezioni federali.
Privi di un rappresentante in Governo e con il quinto gruppo parlamentare in termini di grandezza, per i Verdi non è certo stato facile influenzare l’agenda politica nell’ultima legislatura. Secondo l’alleanza ambientale, composta dalle organizzazioni BirdLife Svizzera, Greenpeace, Pro natura e WWF Svizzera, la responsabilità dei mancati progressi in ambito ecologico ricade sul Consiglio degli Stati, reo di aver bocciato varie misure a favore dell’ambiente promosse dal Consiglio nazionale: l’ultima in termini di tempo, l’obbligo di installare pannelli solari sugli edifici esistenti. Ad addolcire i vari bocconi amari ci ha pensato, in parte, l’adozione da parte dell’elettorato della nuova Legge sul clima con cui vengono promosse misure volte a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Rispetto a quattro anni fa, quando la crisi ambientale fece scendere in piazza migliaia di persone, attualmente altre tematiche dettano la campagna elettorale, come la migrazione, il gender, l’inflazione, l’aumento del costo della vita, la previdenza per la vecchiaia, l’approvvigionamento energetico. Nonostante un’estate torrida e piogge torrenziali, nonostante il cambiamento climatico continui a essere una delle principali preoccupazioni delle svizzere e degli svizzeri, i Verdi non hanno quindi più il vento in poppa. Stando al barometro elettorale di luglio della SSR, i Verdi perderebbero 3 punti percentuali, scendendo al 10,2%. Un calo di consensi che affosserebbe anche le ambizioni del partito ecologista di ottenere un seggio in Governo.
E le donne sapranno bissare il successo di quattro anni fa? Un traguardo raggiunto grazie anche a una mobilitazione senza precedenti con lo sciopero del giugno 2019. L’obiettivo del movimento «Helvetia chiama!» è la conquista del 50% dei seggi in Parlamento. Per raggiungere questo traguardo, il movimento ha scommesso con i presidenti di partito affinché aumentassero la presenza di donne sulle liste elettorali. E sembra che «Helvetia chiama!» stia vincendo questa scommessa, visto che quasi tutte le compagini politiche l’hanno rispettata. Ma sarà il voto del 22 ottobre a dirci se vivremo di nuovo un voto storico o se sarà la destra conservatrice a vincere.