Tra fughe, ricatti e tradimenti

Dall’antica Compagnia Bianca del Falco agli uomini di Prigozhin. Viaggio tra le truppe mercenarie: una variabile impossibile da controllare
/ 17.07.2023
di Alfredo Venturi

Le cronache dei nostri giorni ripropongono un’istituzione che si credeva sepolta negli abissi della storia, quella che un tempo si chiamava compagnia di ventura. Un reparto militare impegnato non da vincoli di natura anagrafica e giuridica dei singoli componenti, ma da contratti collettivi di servizio. Guerrieri di professione, estranei alle motivazioni del conflitto, pronti a combattere in cambio di denaro al servizio di chi offre di più. Come confermano una volta ancora i recenti sviluppi sul fronte russo-ucraino, non sempre i mercenari procedono di pari passo con le forze armate ufficiali. La loro mancata integrazione nei comandi li rende una variabile incontrollata, e questa non è l’ultima fra le cause della pessima fama di questi mestieranti della guerra.

Di tutt’altra natura il fenomeno di coloro che si prestano, dove il diritto lo consente, a prendere il posto di cittadini chiamati alla leva dietro pagamento. Non avendo voglia di andare in guerra, ma disponendo di denaro per evitarlo, costoro si fanno sostituire da chi cerca un’occupazione e non esita di fronte ai rischi della vita militare. A differenza dai mercenari veri e propri, vanno incontro al loro destino dopo essere stati inseriti nei reparti degli eserciti nazionali. Analogo il caso della Legione straniera, fatta di professionisti a contratto ma regolarmente inquadrata nell’armée francese. Anche i vari contractors, molto attivi nei conflitti mediorientali, sono sotto il controllo delle forze americane.

«O diluvio raccolto / di che deserti strani / per inondar i nostri dolci campi!». Così Francesco Petrarca lamentava la presenza delle truppe mercenarie, che imperversavano da un capo all’altro dell’Italia al servizio di questo o quel signore, nelle frequenti guerre e guerricciole scatenate dalle ambizioni dei potenti e da assetti politici perennemente instabili. Erano di varia provenienza, i loro contratti non di rado comprendevano il diritto di saccheggio. Proprio al saccheggio si dedicavano con entusiasmo, rifornendosi di cibo e vino nelle campagne e irrompendo come furie nelle città ogni volta che il successo sul campo di battaglia gliene apriva le porte.

Uno fra i più più celebri di questi reparti di guerrieri a pagamento fu la Compagnia Bianca del Falco. L’avevano fondata nel 1361 in Inghilterra due condottieri, il tedesco Albert Sterz e l’inglese John Hawkwood, dopo che il trattato di Brétigny ebbe interrotto con una lunga tregua la Guerra dei cent’anni. Questi specialisti del combattimento non amavano certo il concetto di tregua: bisognava correre ai ripari e così nacque la nuova formazione. La sua sola esistenza, la sua disponibilità a scendere in campo, non inducevano forse a tentare la soluzione bellica di ogni contrasto?

Dopo alcune scorrerie in terra di Francia la Compagnia Bianca scelse il Paese che ai guerrieri di professione offriva le migliori possibilità di guadagno, l’Italia dei micro Stati ricchi e rissosi. A questo punto Hawkwood, al vertice del reparto dopo essersi separato da Sterz, adottò una versione addomesticata del suo impronunciabile nome inglese e come Giovanni Acuto fu al servizio prima di Pisa, quindi di Firenze. Ci sapeva fare, e fece il diavolo a quattro in molti campi di battaglia dell’Italia centro-settentrionale. I fiorentini gli furono grati per le sue imprese, al punto di seppellirlo in Duomo, dove lo si può ammirare a cavallo nel monumentale ritratto dipinto da Paolo Uccello.

Nonostante questa notevole eccezione, l’invadenza di queste truppe fu sempre considerata una sciagura. Niccolò Machiavelli ne criticò aspramente l’uso nel suo Dell’arte della guerra. Lo fece non per le motivazioni morali che due secoli prima aveva evocato Petrarca, ma per ragioni di opportunità. «Se uno tiene lo Stato suo fondato in sulle armi mercenarie, non starà mai fermo né sicuro, perché le sono disunite, ambiziose, senza disciplina, infedeli. Non hanno altro amore né altra ragione che le tenga in campo che un poco di stipendio, il quale non è sufficiente che vogliano morire per te». Infatti la storia delle compagnie di ventura è fatta non solo di battaglie ma anche di fughe, ricatti, tradimenti, cambi di campo. Il Gruppo Wagner di Evgenij Prigozhin non manca certo di adeguati precedenti storici.

Pochi anni dopo che Machiavelli ebbe pubblicato le sue considerazioni l’immagine dei corpi mercenari ricevette un colpo durissimo dal Sacco di Roma. Era il 1527 e una folta formazione di Landsknechte, lanzichenecchi come li chiamavano in Italia, aveva valicato le Alpi sotto le insegne dell’imperatore Carlo V agli ordini di Georg von Frundsberg. La riforma luterana aveva sconvolto la geopolitica aggravando il contrasto fra impero e papato legato alla rivalità fra Carlo V e la Francia. L’imperatore aveva mandato un esercito, di cui facevano parte i temibili reparti di Frundsberg, per punire il pontefice e la sua politica filo-francese. Accanto a loro marciava verso Roma un’armata spagnola.

Un nuovo elemento, la rivalità religiosa, contrassegnava ormai l’Europa del Cinquecento. I lanzichenecchi erano ferventi luterani e detestavano il papa, all’epoca Clemente VII della stirpe dei Medici. Non a caso Frundsberg teneva nel suo bagaglio un capestro d’oro col quale intendeva impiccare il pontefice, e tanti lacci color porpora destinati a proporre lo stesso servizio ai cardinali. Non poté farlo, anche perché un malore lo costrinse a un precipitoso ritorno in Germania. Una volta arrivati a Roma i suoi soldati, che da tempo non ricevevano il salario, si ammutinarono e scrissero una delle pagine più turpi della storia. Sotto gli occhi del Papa, al sicuro nella fortezza di Castel Sant’Angelo con i fedeli mercenari svizzeri sopravvissuti alla battaglia, si abbandonarono per una interminabile settimana a un’orgia di assassinii, vandalismi, devastazioni, stupri. Per di più erano portatori di letali pestilenze: più di ventimila complessivamente i morti, quasi la metà della popolazione. All’indomani dell’apocalisse scatenata dai Landsknechte Roma era una città fantasma, ci vollero molti decenni perché potesse risollevarsi.