La crescita cinese rallenta bruscamente: cosa c’è dietro questa frenata, e quali possono esserne le conseguenze mondiali? Il dato del terzo trimestre segna +4,9% di aumento del Pil, e sarebbe ragguardevole nelle economie sviluppate dell’Occidente, ma è una delusione ed è inferiore alle aspettative per Pechino. Tra l’altro siamo «noi» a salvare la Cina da una frenata molto peggiore, perché abbiamo aumentato le nostre importazioni di prodotti made in China. L’attivo commerciale di Pechino verso il resto del mondo sale al livello record di 182 miliardi di dollari in un solo trimestre e rappresenta il 4% del Pil. Sia l’America che l’Europa hanno accresciuto la propria dipendenza dai prodotti cinesi e così facendo hanno sospinto la crescita della Repubblica popolare. La debolezza cinese quindi è tutta interna, in particolare è in ritirata la domanda domestica fatta di consumi e investimenti. Xi Jinping è ancora troppo dipendente dal traino delle esportazioni, malgrado il suo obiettivo proclamato di una «circolazione duale» cioè un’economia che abbia due motori, le vendite all’estero e i consumi interni.
Ancor più dell’Europa, la Cina è vulnerabile allo shock energetico in corso. In parte lo ha scatenato lei, con la ripresa di attività post-lockdown. Il boom di consumi elettrici necessari per far funzionare «la fabbrica del pianeta» si è riverberato su tutte le fonti di energia e in particolare quelle fossili: carbone, petrolio e gas naturale hanno subito forti rincari proprio per effetto della domanda cinese. Poiché la Repubblica popolare non è autosufficiente in materie prime energetiche, la tensione sui prezzi è mondiale. Quando l’alleanza tra Opec e Russia gongola perché i prezzi degli idrocarburi risalgono, i primi a soffrire sono proprio i cinesi, ancora dipendenti da un «capitalismo carbonico». Xi Jinping è ancora a metà del guado nella sua transizione energetica: da un lato punta a dominare le auto elettriche, le batterie, il solare e l’eolico; d’altra parte nell’immediato paga una bolletta energetica colossale il cui rincaro frena la crescita. Alcune fabbriche sono state costrette a razionare la produzione per non incorrere in blackout elettrici e questo ha contribuito al dato deludente sul Pil da luglio a settembre. Xi deve prendere atto che la transizione verso la sostenibilità richiede delle tappe intermedie, tra cui un riequilibrio in favore del gas naturale e a scapito di carbone e gasolio per il riscaldamento urbano. Ma la riconversione del riscaldamento urbano nelle metropoli costiere più ricche, da Tianjin a Pechino, da Shanghai a Guangzhou e Shenzhen, aggiunge annualmente 15 milioni di abitazioni all’utenza mondiale del gas naturale, cioè l’equivalente di Olanda più Belgio ogni anno. L’irruzione di questa domanda è una delle ragioni per cui si abbatte un rincaro poderoso sulle bollette della luce di tanti utenti europei.
Un’altra frenata alla crescita cinese l’ha imposta lo stesso Xi Jinping. Il presidente, nonché segretario generale del Partito comunista, ha deciso di purgare la seconda economia mondiale dalle bolle speculative. La più grossa e pericolosa si trova nel mercato immobiliare. La bancarotta strisciante del colosso Evergrande è uno dei tanti episodi provocati dalle nuove restrizioni di Pechino, che tentano di porre fine a decenni di finanza allegra, cattedrali nel deserto, piramidi debitorie, catene di Sant’Antonio e illeciti di vario tipo. Ma questo settore immobiliare artificiosamente gonfiato dalla speculazione ha contribuito per il 30% alla crescita del passato e sgonfiarlo non è un’operazione indolore. Molti investitori tifano per un ritorno al passato, sperano cioè che Xi si ricreda e torni ad agire a sostegno della crescita con robuste manovre di spesa pubblica. Il leader è sicuramente combattuto, tirato per la manica da diverse lobby interne.
Nell’opacità del suo sistema finanziario, Pechino ha allevato tanti mostri simili a Lehman Brothers o alla montagna di mutui subprime che fecero crollare Wall Street nel 2008. Finora ha tenuto duro nel voler risanare quel marciume, ma il prezzo che rischia di pagare è grande. La crescita elevata dell’ultimo trentennio ha garantito alla nomenclatura comunista un vero consenso sociale, sia pure «aiutato» dalla censura del dissenso e dai metodi autoritari contro le lotte operaie. L’ultima volta in cui Pechino fu investita da gravi turbolenze economiche e da una fortissima inflazione che provocarono diffuso malcontento e proteste, fu all’epoca dell’occupazione di Piazza Tienanmen nel 1989. La crisi successiva, «l’asiatica» del 1997, fu curata con un mix di spese pubbliche faraoniche, rigidi controlli sui movimenti di capitali ed espansione sui mercati globali. Oggi i margini di manovra su tutti quei fronti si sono ridotti.
La coincidenza tra questa frenata della crescita, le provocazioni militari sui cieli di Taiwan, e il lancio di un missile ipersonico in grado di colpire gli Usa con testate nucleari, fa temere un nuovo tipo di scenario: una Cina che esporta la sua crisi con la valvola di sfogo della tensione militare. Per quanto riguarda il missile ipersonico il test è avvenuto ad agosto, anche se la fuga di notizie sui media occidentali si è verificata con due mesi di ritardo. La natura di questo vettore è tale da rendere di colpo meno solide tutte le difese anti-missili che proteggono il territorio degli Usa. È come se di colpo l’Oceano Pacifico fosse diventato più stretto. Il segnale che Pechino ha mandato a Washington con questo test si collega anche al futuro di Taiwan. Se la Repubblica popolare dovesse lanciare un’invasione militare, e se gli Stati uniti decidessero di venire in soccorso a Taiwan, la risposta cinese potrebbe non risparmiare lo stesso territorio americano. La dottrina ufficiale di Pechino dice dal 1949 che Taiwan è una provincia ribelle destinata a tornare nell’alveo della madrepatria. La differenza è che oggi i rapporti di forze militari sono favorevoli ad un atto di forza di Pechino. L’unica «democrazia cinese» del pianeta rischierebbe di fare la fine di Hong Kong.
Tra frenate della crescita e provocazioni militari
La debolezza di Pechino è interna: dalla contrazione della domanda allo shock energetico, passando per la bancarotta strisciante di Evergrande. Mentre sullo sfondo appare un missile ipersonico e si intensificano le minacce rivolte a Taiwan
/ 25.10.2021
di Federico Rampini
di Federico Rampini