Tempi bui per il Pakistan

Nel Paese cresce il fondamentalismo islamico mentre il premier Khan mostra il suo volto anti-democratico. Le leggi sulla blasfemia sono un’arma contro chi osa criticare il Governo, gli integralisti oppure l’esercito
/ 03.05.2021
di Francesca Marino

«Vi assicuro che gli obiettivi del Tehreek-e-Labaik Pakistan (o Tlp, un partito fondamentalista religioso) sono anche quelli del mio Governo. Soltanto i nostri mezzi differiscono». Così ha detto Imran Khan, primo ministro del Pakistan, ex-campione di cricket, ex-membro del «jet set» londinese per aver sposato una Goldsmith (che lo ha in seguito mollato per Hugh Grant) ed ex-playboy internazionale. Le precisazioni al limite del gossip sono in questo caso assolutamente pertinenti perché inquadrano Khan il quale, in un discorso televisivo a reti unificate, giustificava ideologicamente le violente proteste di piazza degli integralisti islamici che hanno causato un buon numero di morti, hanno visto una trentina di poliziotti presi in ostaggio dai dimostranti e in seguito rilasciati dopo trattative e hanno bloccato l’accesso alle maggiori città del Paese mettendo a ferro e fuoco proprietà private e tutto ciò che capitava sotto tiro ai dimostranti.

Materia del contendere il mancato mantenimento delle promesse fatte dal Governo dello stesso Khan qualche mese fa dopo analoghi episodi di violenza, doverosamente conditi da falò alimentati da bandiere francesi e da fantocci con l’effige del presidente Emmanuel Macron. Il Tehreek-e-Labaik Pakistan chiedeva l’interruzione di ogni rapporto diplomatico con la Francia, l’espulsione dell’ambasciatore francese in Pakistan e la cessazione dei rapporti commerciali con il Paese «colpevole» di aver consentito la pubblicazione e la ri-pubblicazione delle famose vignette su Maometto apparse sul giornale satirico «Charlie Hebdo». I membri e l’allora presidente del partito Khadim Hussain Rizvi, morto qualche tempo dopo, chiedevano anche via social media la decapitazione di Macron e di tutti gli occidentali blasfemi, ma queste, per il Governo pakistano, sono bazzecole. Così come sono quisquilie le centinaia di poliziotti feriti, quelli uccisi o quelli praticamente torturati dai dimostranti. Tanto è vero che, dopo aver ufficialmente dichiarato fuorilegge il partito, Khan e i suoi si sono affrettati ad aprire una trattativa con coloro che avevano appena dichiarato fuorilegge, accogliendo le richieste dei manifestanti.

Il Parlamento, che si era impegnato a discutere l’espulsione dell’ambasciatore francese e le altre richieste degli ormai fuorilegge membri del Tlp, non ha dato uno spettacolo migliore: la seduta è stata sciolta e rimandata a data da destinarsi perché tra i banchi dei legislatori si è scatenato un altro putiferio a base di slogan anti-francesi e cartelli di protesta. Parigi intanto, dopo aver mesi fa sospeso al Pakistan l’upgrade dei Mirage da combattimento che gli aveva venduto qualche anno fa, esorta tutti i suoi cittadini a lasciare il Paese. Perché la storia non è certo finita qui. Il Tlp è l’ennesimo mostro, difatti, creato e nutrito dall’esercito e dai governanti pakistani, Imran Khan in testa, che si rivolta a mordere la mano che lo ha nutrito, forte dell’influenza che esercita sulla popolazione. Un’influenza ampliata dal silenziamento dei media liberali e dalla sempre crescente islamizzazione del Paese, in cui ormai la situazione delle minoranze religiose ed etniche preoccupa anche i più indifferenti.

Il Tlp, tanto per capirci, è il partito che anni fa difese, facendo piovere petali di rosa a ogni sua uscita pubblica dalla galera al Tribunale, l’assassino dell’ex-governatore del Punjab Salman Taseer, ammazzato per aver parlato contro le leggi anti-blasfemia. Che sono ormai adoperate, è bene ricordarlo, come pistola puntata alla tempia di chiunque provi anche soltanto lontanamente a criticare il Governo, gli integralisti o l’esercito. E le cose sono destinate a peggiorare. Quei pochi sprovveduti che vedevano nell’ex-campione di cricket educato a Oxford (per meriti sportivi, è bene precisare) una figura destinata a cambiare l’immagine del Paese a livello internazionale, si sono dovuti ricredere. Khan, il premier scelto dall’esercito e dagli integralisti, sta facendo fare passi da gigante al Paese, è vero: nel riportarlo al Medioevo però.

All’Occidente e ai suoi costumi corrotti viene attribuita la responsabilità di tutto ciò che non va, incluso l’impressionante numero di stupri e di violenze contro le donne. Che l’ineffabile Khan, in un altro discorso pubblico, ha attribuito all’adozione di modi, abbigliamento e stile di vita occidentali. Come dire: se andate in giro di notte o all’università guidando da sole e senza nemmeno coprirvi la faccia, ve la siete andata a cercare. Bambini e bambine di pochi anni stuprati nei convitti islamici ringraziano, mentre il Paese continua nella sua deriva illiberale, non democratica e antisemita. Perché l’ultima trovata di Khan (o meglio dei suoi accoliti) è accusare l’Occidente di usare due pesi e due misure con gli ebrei e con i musulmani. In pratica, vorrebbe cercare di costringere le Nazioni europee ad adottare nei confronti della blasfemia verso Maometto gli stessi provvedimenti presi contro chi nega l’Olocausto. A nulla vale cercare di spiegare la differenza tra politica e religione. D’altronde, se per Imran Khan la Germania confina con il Giappone (altra perla tratta da un suo discorso in Iran), l’Olocausto e i crimini nazisti sono per forza uguali a una vignetta satirica. Pubblicata, peraltro, in un Paese in cui la laicità è uno dei pilastri dello Stato e in una entità politica, l’Europa, in cui la libertà di espressione è un diritto irrinunciabile.

Il Khan-pensiero segue delle linee guida ben precise: l’Occidente è «islamofobico», visto che si rifiuta di vivere seguendo le leggi pakistane sulla blasfemia. E chi insulta il profeta, così come le signore che guidano da sole per le vie pakistane, non può lamentarsi per essere stato assassinato o assalito: se l’è andata a cercare. La cosa non vale, ovviamente, per i fratelli uiguri: musulmani di serie B o C, a quanto pare, visto che nessuno ha mai sentito una parola da Islamabad che protesti o chieda conto alla Cina per il trattamento riservato alla popolazione musulmana dello Xinjiang. Alla domanda di una giornalista, Imran Khan ha testualmente risposto: «Non ne so molto, non se ne legge sui giornali». Su quelli pakistani, strangolati dalle minacce dell’esercito, certo che no. E gli altri non contano. Conta soltanto tenere il Paese sotto il Terrore (anche quello francese) mentre la Cina si appropria, con la connivenza di generali e politici, di porti, isole, strade e città. Se la gente è impegnata a difendere l’onore del profeta e a biasimare l’Occidente, non troverà il tempo per protestare contro l’occupazione cinese.