Uno sciopero dei camionisti, ai quali si sta sommando quello dei lavoratori delle piattaforme petrolifere, sta bloccando i rifornimenti di viveri, medicine e combustibile in tutto il Brasile. La protesta, iniziata il 20 maggio con la richiesta di una diminuzione drastica del prezzo del gas, minaccia di catalizzare la rabbia diffusa per la crisi politica, economica e sociale. Inflazione, disoccupazione e un clima politico avvelenato, con le elezioni presidenziali di ottobre alle porte, rendono la situazione tesissima.
Nelle strade bloccate si ascolta l’urlo «Fora Temer!». Il già debole governo del presidente di estrema destra Michel Temer, con un consenso popolare intorno al 3%, ha accettato di abbassare un poco il prezzo del gas e di mantenere questo prezzo per sei mesi. I camionisti in sciopero hanno risposto che non vogliono bluff e, senza muoversi dalle barricate, hanno chiesto un ribasso ulteriore e permanente. La risposta del presidente è stata la mobilitazione delle forze armate per riaprire le strade. All’inizio della seconda settimana della protesta i report dai vari punti caldi delle vie di comunicazione dell’immenso Brasile disegnano una mappa di 900 blocchi stradali in 22 dei 27 Stati brasiliani (il Brasile ha una struttura federale).
Nello Stato di São Paulo, centro economico del Paese, grande da solo più che l’intera Gran Bretagna, i camion bloccano l’accesso alle strade principali, incluse quelle del porto di Santos, il più importante porto dell’America Latina. A São Paulo circola solo il 40 per cento degli autobus.
Anche la capitale, Brasilia, è stata paralizzata. Operazione facilitata dalla posizione geografica della città, costruita in un vasto altopiano al quale si accede da quattro grandi arterie federali. Bloccando quelle, i camionisti sono riusciti a isolare la città. Sospese le lezioni nelle scuole pubbliche. I dirigenti dell’aeroporto internazionale Juscelino Kubitschek dicono di non avere più riserve di carburante per gli aerei in arrivo. Gli ospedali stanno finendo le medicine. I produttori di carne hanno avvertito che un miliardo di polli e due milioni di maiali potrebbero morire per la mancanza di cibo. Nelle zone più remote del Paese, già normalmente complicate da raggiungere, la situazione è più grave. In sei città dello Stato di Rondônia, alla frontiera con la Bolivia, ad esempio, la mancanza di carburante ha già provocato lunghi blackout e relativi problemi di pubblica sicurezza.
L’identità politica degli animatori della protesta è molto eterogenea. Alla rivendicazione iniziale dei camionisti (l’abbassamento del prezzo del gas: una rivendicazione di categoria che però poi finisce per riguardare tutti i cittadini) si è aggiunto il malcontento generale per il livello di vita medio precipitato rispetto alle illusioni di ricchezza dei primi anni Duemila, quando l’aumento delle entrate statali e la ridistribuzione parziale della ricchezza avute durante il primo governo Lula avevano convinto la maggioranza del Paese della possibilità di un grande balzo collettivo verso un maggior benessere diffuso. La grande crisi di credibilità delle istituzioni politiche, travolte da ondate di scandali giudiziari per corruzione proprio nel bel mezzo della crisi, rende ora ancor più incandescente la situazione.
Tra i camionisti si ascoltano slogan spesso contrapposti. C’è chi chiede l’intervento dei militari contro il governo, chi invoca «un uomo forte in divisa che ripulisca il Paese». È anche per questo che il sindacato dei lavoratori del petrolio – con una dirigenza politica di sinistra, molto vicina tradizionalmente all’ex presidente Lula da Silva, condannato per corruzione e per questo non candidabile alle elezioni di ottobre alle quali era dato per favorito – ha deciso di entrare in sciopero. Non vuole, il robusto sindacato del petrolio, regalare alla destra estrema la leadership di una protesta che potrebbe crescere come una valanga, vista l’aria che tira nel Paese.
Petrobras intanto, il gigante pubblico del greggio che è anche la più grande impresa pubblica dell’America latina, ha avuto pesanti tonfi in Borsa.
Anche a destra molti stanno mollando Temer, ritenuto incapace di reggere la presidenza, e si pentono di non averne preteso le dimissioni quando l’anno scorso scoppiò lo scandalo dell’audio che ne rivelò incontrovertibilmente i loschi traffici. Il 17 maggio di un anno fa «O Globo», principale gruppo mediatico brasiliano, diffuse un file audio in cui Temer sembrava raccomandare a Joesley Batista, proprietario dell’impresa di export di carne più grande del mondo, la Jsb, di continuare a pagare un mensile all’ex presidente della Camera, Eduardo Cunha, detenuto per corruzione.
Nell’audio si ascolta il re della carne vantarsi col presidente della Repubblica, apparentemente silente, di aver comprato la complicità di un procuratore e di due giudici. La conversazione è stata registrata con un microfono nascosto da Batista che, in cambio della sua collaborazione con gli inquirenti e del pagamento di una multa di 34 milioni di dollari in dieci anni, non è stato denunciato.