Che differenza c’è fra «bandi di gara» e «avvisi di manifestazione d’interesse»? Tanta differenza, se è vero che la sostituzione della seconda formula alla prima ha salvato il governo italiano da una crisi altrimenti ineluttabile. Bandi e avvisi si riferiscono alla TAV, il controverso progetto in parte già realizzato di una linea ferroviaria ad alta velocità fra Torino e Lione attraverso la Val di Susa, parte di un collegamento transnazionale europeo, sul quale la maggioranza giallo-verde era ed è platealmente divisa: favorevole la Lega, contrario il Movimento 5 Stelle. Antagonisti in primissimo piano i due vicepresidenti del consiglio, come al solito l’un contro l’altro armati: la TAV si farà, dice da sempre Matteo Salvini; il progetto va annullato, continua a replicare Luigi Di Maio. Secondo quest’ultimo il ripudio di questa iniziativa fa parte del contratto di governo a suo tempo concordato, mentre Salvini concede al massimo una revisione del progetto originario.
Una contesa al calor bianco, a ridosso di una scadenza fatale: per non perdere i fondi che l’Unione Europea mette a disposizione per la parte italiana del tracciato, trecento milioni di euro, bisognava pubblicare i bandi di gara entro lunedì 11 marzo. La politica romana vive alcuni giorni di nervosa inquietudine. Mentre la data si avvicina implacabile e il governo pare avere i giorni contati, tocca al presidente del consiglio Giuseppe Conte fare ricorso alla sua perizia di avvocato inventando quello che alcuni chiamano un indecente cavillo, altri un ingegnoso espediente. Fatto sta che Conte estrae dal cilindro il ritocco lessicale che salva il suo governo neutralizzando la scadenza. I bandi diventano avvisi, e almeno per ora la mina che era sul punto di esplodere è disinnescata.
A questo punto tutti cantano vittoria. Lo fanno gli eurocrati di Bruxelles, che da sempre considerano strategica l’esecuzione del collegamento ferroviario. E lo fanno entrambi i contendenti italiani. L’opera non si ferma, commenta Salvini. Abbiamo sospeso la procedura esecutiva, ribatte Di Maio, e abbiamo imposto la clausola di dissolvenza che potrà permetterci di bloccare l’opera. A ben vedere è proprio la posizione grillina a uscire ridimensionata, non a caso Salvini ha insolitamente attenuato i toni, per non infierire sull’alleato-avversario che da tempo i sondaggi segnalano in crisi di consensi. Gli avvisi di manifestazione d’interesse dovranno essere seguiti entro sei mesi dai bandi veri e propri. In pratica la questione è semplicemente rinviata: prima di settembre bisognerà decidere per il sì o per il no, e nonostante l’abilità professionale dell’avvocato-presidente del consiglio non saranno possibili nuove acrobazie formali.
I due alleati sono comunque riusciti a raggiungere un obiettivo di comune interesse, spostando la più spinosa fra le questioni che li dividono a dopo le elezioni europee di maggio. Anche se è prevedibile che proprio l’ambiguità della soluzione escogitata da Conte fornirà alle opposizioni, in particolare a un partito democratico tonificato dall’investitura a furor di popolo del nuovo segretario Nicola Zingaretti, efficaci argomenti polemici da usare in campagna elettorale. Si può facilmente prevedere che il tema TAV potrà ulteriormente appesantire le prospettive dei Cinquestelle: i sondaggi rivelano che quasi due terzi degli italiani, e persino un terzo dei grillini, sono favorevoli alla realizzazione della TAV. Questo spiega fra l’altro come mai il Movimento si oppone, cosa abbastanza singolare da parte di chi non perde occasione per invocare la democrazia diretta, al referendum proposto in materia dalla Lega.
La questione tiene banco ormai da un quarto di secolo. Fu infatti il Consiglio europeo di Essen del 1994 a inserire la tratta Torino-Lione fra i progetti strategici dell’Unione in materia di trasporti. È parte di una linea ferroviaria, il cosiddetto Corridoio 5, destinata a collegare il Portogallo all’Europa sud-orientale. Sempre quell’anno partirono gli studi preliminari, abbastanza complessi perché il percorso alpino implica la necessità di lunghe gallerie. Anche nella fase iniziale della realizzazione si trattava di scavare alcuni tunnel esplorativi, in un contesto geologico piuttosto problematico. Ma prima ancora che partissero i lavori, già dagli anni Novanta, contro il progetto si era manifestata un’opposizione che riuniva rappresentanti delle comunità locali, gruppi ecologisti, militanti di varia estrazione. Un movimento vasto e variegato che unito dalla sigla NO TAV contrastava l’iniziativa elencando una serie articolata di riserve.
Alcune delle ragioni del dissenso sono di natura economica e finanziaria. Per esempio la constatazione che sulla direttrice Torino-Lione il traffico ferroviario (sulla linea già esistente che oltrepassa il confine italo-francese col traforo del Frejus) e anche quello autostradale sono in diminuzione, e dunque l’altissimo costo dell’opera fa sì che questa non possa essere considerata un buon investimento. Quel costo è stimato in circa ventitré miliardi di euro: secondo un progetto alternativo e meno ambizioso potrebbe ridursi a otto miliardi e mezzo. In ogni caso, si chiedono i critici, non sarebbe meglio limitarsi a potenziare la vecchia linea del Frejus? Altri argomenti sono di carattere ecologico: per esempio c’è amianto e forse uranio nelle rocce della Val di Susa, dunque i lavori potrebbero liberare polveri pericolose per la salute, che i venti potrebbero trasportare fino a Torino. Altro problema ambientale il drenaggio della falda acquifera, con conseguente possibilità di dissesto idrico nella valle.
Non sempre il movimento NO TAV ha manifestato pacificamente. Frange di violenti si sono più volte inserite nei cortei dando luogo a episodi di guerriglia urbana. Attorno ai cantieri in stato d’assedio massicciamente presidiati dalla polizia ci sono stati tentativi di assalto, sfondamenti delle reti di protezione, scontri con tanto di molotov e lacrimogeni, feriti, arresti. Sul fronte opposto si è materializzato per reazione un movimento SÌ TAV: con tanto di affollate manifestazioni da parte di chi accusa gli oppositori di luddismo e misoneismo. Mentre si sviluppavano le iniziative a favore dell’esecuzione dell’opera, si andava profilando in materia una sorta di polarizzazione fra un Nord che considera positivamente l’impresa, capace di creare lavoro e occupazione, e un Sud ostile che rivendica le sue priorità infrastrutturali. Questa spaccatura non poteva che rispecchiarsi nelle due forze politiche di governo.
La Lega, che nonostante la sua evoluzione salviniana da partito nordista e secessionista a forza politica nazionale è particolarmente attenta alle esigenze produttive del Nord, vede con favore la TAV. Mentre i Cinquestelle, con la loro pulsione anti-sistema, sono tradizionalmente schierati sul fronte del no: non si tratta di una posizione ideologica, precisa uno dei loro esponenti, il presidente della Camera Roberto Fico, ma di una questione identitaria. Di qui l’ennesima prova di forza fra i rissosi alleati di governo, fino all’astuto escamotage del presidente Conte. Ma la soluzione di questo annoso problema è soltanto rinviata e nonostante la clausola di dissolvenza cui si aggrappa Di Maio è difficile immaginare che alla fine, dopo tutto il denaro già speso, possa imporsi il no. Salvini contro ogni sua abitudine misura le parole, ma sogghigna soddisfatto. Forse pensa a una battuta del fotografo Oliviero Toscani, secondo cui Di Maio è stato il primo napoletano a farsi mettere nel sacco da un milanese.