Secondo il parlamentare e presidente dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM) Fabio Regazzi la normativa è ottima nella misura in cui «contribuisce a tutelare i consumatori e favorisce una concorrenza leale» e ovviamente «l’indicazione di provenienza può essere utilizzata solo nella misura in cui vengano soddisfatti alcuni criteri legali».
A grandi linee, per stabilire la provenienza svizzera di un prodotto industriale sono determinanti due criteri: almeno il 60 per cento dei costi di produzione deve essere stato realizzato in Svizzera e la fase di produzione più significativa deve essersi svolta in Svizzera. Nel caso delle derrate alimentari e dei prodotti naturali, i criteri variano in base al tipo di prodotto.
Erich Rava, Responsabile della comunicazione IPI, l’istituto che si occupa della proprietà intellettuale in Svizzera, informa che non vi sono cifre esatte riguardanti i casi di abuso sanzionati, ciò che risulta sul territorio nazionale sono «in media, 3-4 sentenze all’anno pronunciate negli ultimi quattro anni» che riguardano «l’uso improprio dello stemma svizzero».
Come evidenzia l’avvocato Luca Trisconi «il soggetto che dà indicazioni inesatte sulla propria ditta può essere punito» laddove «intenzionalmente avesse usato l’indicazione di provenienza non pertinente e/o avesse usato una designazione che può essere confusa con un’indicazione di provenienza non pertinente».
Per le aziende operative sul territorio elvetico che lavorano materiali provenienti dall’estero e, negli stessi stabilimenti, realizzano prodotti interamente svizzeri, o perlomeno che rispettano i parametri sopraccitati, si apre il classico pentolone. La normativa si applica al prodotto o alla azienda che realizza quel prodotto?
Secondo Luca Trisconi «bisogna analizzare caso per caso» e tentare di comprendere se c’è o no l’intenzione, da parte di un’impresa, di danneggiare i concorrenti definendosi elvetica, anche laddove una parte della produzione non corrisponda alla normativa in oggetto. Laddove un’azienda si senta danneggiata dall’agire del suo concorrente, oppure un consumatore avesse dubbi sensati sulla provenienza del prodotto acquistato, avrebbe il diritto di rivolgersi alla giustizia per esporre la propria ipotesi di reato.
I mercati oggi sono davvero complessi e quindi prima di denunciare è bene tenere conto di una serie di fattori. Intanto la normativa si applica ai «prodotti» che vengono commercializzati sul mercato tra aziende (B2B) e sul mercato dei consumatori finali (B2C).
Molte imprese svizzere non vendono i loro prodotti direttamente ai consumatori, si limitano a produrre, affidando la vendita a intermediari. Tali intermediari devono essere correttamente informati dalle imprese elvetiche circa la provenienza dei prodotti che in seguito commercializzeranno. Nel 99% dei casi l’informazione avviene tramite «schede descrittive di prodotto» che contemplano tutta una serie di contenuti, tra i quali la loro provenienza.
Escluderemmo l’evenienza in cui, un soggetto estero acquisti prodotti Swiss made per poi rivenderli senza l’intenzione di esporne la provenienza. Il brand Svizzera è tanto potente da essere a volte un fattore vincente nella competizione commerciale. Altro discorso è quello del «furbo» che potrebbe acquistare prodotti che svizzeri non sono da un fornitore svizzero e li potrebbe distribuire sul mercato indicando una provenienza elvetica a questo punto mendace. In quel caso quel distributore avrà violato la normativa e quel produttore, che male avrà informato il distributore, pure. Nel caso in cui la controparte svizzera abbia correttamente informato il distributore tramite corrette schede prodotto, in linea di principio, non dovrebbe temere sanzioni: la scorrettezza in quel caso sarebbe solo del distributore.
In questa prima fase di applicazione della normativa, l’IPI non ha presentato né una denuncia penale né una causa civile; «le aziende ammonite dall’IPI sono state collaborative e hanno rimosso le false indicazioni svizzere di provenienza», conclude Rava. Negli ultimi 4 anni L’IPI ha trattato 312 casi in Svizzera. Gli abusi all’estero, invece, sono più numerosi, L’IPI è intervenuto 855 volte.
La normativa Swissness ha innescato dinamiche positive sull’economia elvetica. Studi condotti da istituti indipendenti di consulenza e ricerca economica mostrano che la legislazione Swissness ha avuto un effetto moderatamente positivo sull’economia svizzera. In termini assoluti ciò corrisponde a circa 1,4 miliardi di franchi all’anno o 163 franchi pro capite.
Switzerland global enterprise pubblica, sul suo sito (s-ge.com), un lungo elenco di classifiche in cui la Svizzera ha conquistato la prima posizione e tra queste «Paese più innovativo al mondo» e «Paese più attrattivo per talenti globali». Alla domanda, come va il marchio Svizzera? Ovviamente le risposta è: benissimo.
Tutto quanto riportato sopra ha ricevuto supporto da un nuovo alleato, si tratta dell’associazione Swissness enforcement, un’iniziativa mista tra settore privato e pubblico che ha l’obiettivo di combattere efficacemente l’abuso delle indicazioni di provenienza svizzere all’estero.