La sensazione è simile a quella di un capogiro, se si volge lo sguardo ai colloqui con cui Svizzera e Unione Europea cercano di dare un nuovo slancio alle proprie relazioni bilaterali. Il capogiro è dovuto al fatto che non si sa più da che parte guardare, lì in mezzo ad un crocicchio in cui il nostro Paese marcia sul posto da una dozzina d’anni, con il pomello della retromarcia sempre a portata di mano. Ne è un’ulteriore conferma l’esito dell’ultimo incontro esplorativo, la settimana scorsa, tra la segretaria di Stato per gli affari esteri ed europei Livia Leu e il suo collega di Bruxelles Juraj Nociar, uomo ai servizi del vice-presidente della Commissione europea, Maros Sefcovic. Era il decimo incontro di questo tipo, si tratta di riunioni in cui di volta in volta si cerca di trovare dei punti di intesa sui temi ancora contesi, come ad esempio il ruolo della Corte europea di giustizia, gli aiuti pubblici o la riammissione della Svizzera ai programmi di ricerca dell’UE.
Riassunto all’osso l’esito dell’incontro della scorsa settimana è stato questo: la dinamica è positiva ma la Svizzera ha bisogno ancora di tempo, fino al prossimo mese di novembre, per capire se ci siano davvero le basi per aprire un negoziato vero e proprio, a livello politico, con cui definire quelli che potremmo chiamare i «Bilaterali 3», dopo il fallimento, su decisione elvetica, delle trattative sul cosiddetto Accordo quadro. Era il 26 maggio del 2021, giorno in cui i nostri rapporti con l’Unione sono finiti in ipotermia. Ora, a tre anni di distanza e dopo dieci incontri esplorativi, qualche schiarita si intravvede anche se Berna adesso ha chiesto questo posticipo. Salta così, o viene declassato, l’appuntamento previsto a fine giugno, quando il Consiglio federale avrebbe dovuto soppesare l’intero dossier e definire un nuovo mandato negoziale. Tutto rimandato a novembre, dunque, anche perché in questo modo si toglie, almeno in parte, il tema «Europa» dalla graticola della campagna politica in vista delle elezioni federali di ottobre. Una mossa tattica o forse una necessità reale, difficile dirlo, sta di fatto che si tratta di una decisione in contrasto con quanto emerso negli scorsi mesi, quando si erano visti segnali di distensione perlomeno in due occasioni.
In marzo è arrivato in Svizzera il vice-presidente della Commissione europea, Maros Sefcovic, portando con sé un messaggio di ottimismo. Nei suoi diversi incontri il commissario slovacco ha fatto ad esempio capire che l’UE è pronta ad accordare al nostro Paese la possibilità di mantenere le attuali misure di accompagnamento per proteggere il proprio mercato del lavoro. Un segnale positivo, in particolare nei confronti dei sindacati, che si sono sempre opposti a qualsiasi allentamento. Un altro indizio era giunto, sempre in marzo, dai Cantoni svizzeri. La Conferenza dei Governi cantonali ha ribadito di essere favorevole ad una ripresa dinamica del diritto europeo, nei settori che riguardano l’accesso al mercato unico comunitario. «Eine Dynamisierung», avevano scritto nero su bianco i Cantoni, è «inevitabile». Nel rispetto comunque delle regole istituzionali del nostro Paese, a cominciare dalla democrazia diretta. In altri termini le normative europee potranno essere riprese, a meno che in votazione popolare non si decida altrimenti. I Cantoni a determinate condizioni hanno anche difeso il ruolo della Corte di giustizia europea, nell’interpretazione del diritto comunitario in caso di contenzioso con il nostro Paese. Una presa di posizione di peso, su un tema estremamente delicato, quello dei rapporti istituzionali con l’Unione Europea. Da 30 anni, dalla bocciatura popolare dello Spazio Economico Europeo, questo è il cavallo di battaglia numero uno dell’UDC nell’opporsi a qualsiasi avvicinamento politico all’Unione Europea.
La posizione dei Governi cantonali e gli esiti positivi della visita di Sefcovic hanno di certo portato una brezza di ottimismo verso Palazzo federale, e ciò ha spinto il Governo a «constatare una dinamica positiva nei colloqui con l’UE sul piano tecnico, diplomatico e politico», come scritto in un comunicato del 29 marzo. Giorno in cui il Consiglio federale, con un’accelerazione che aveva sorpreso un po’ tutti, aveva fatto sapere che entro la fine di questo mese di giugno avrebbe analizzato «gli elementi chiave» di un nuovo mandato negoziale con l’UE, incaricando il ministro degli esteri Ignazio Cassis di elaborare questo documento, che costituisce la base di una ripartenza delle trattative politiche con l’UE. Ora si sa che il Governo definirà questo mandato a inizio novembre. A Berna ci si prende del tempo ma in questo modo si restringe quella che viene chiamata, anche dalla controparte europea, una «finestra di opportunità» che ha come limite ultimo le elezioni europee, in agenda il 9 giugno del 2024. Ciò significa che non ci sarà più un anno di tempo per portare a termine eventuali negoziati ma, se tutto andrà bene, soltanto sei o sette mesi. Insomma Ignazio Cassis dovrà andare di corsa nel trattare con Bruxelles, ma con lui lo dovrà fare anche il nuovo segretario di Stato per le questioni europee, visto che un mese fa Livia Leu ha annunciato le sue dimissioni per la fine di agosto. C’è dunque da trovare il nuovo o la nuova responsabile dei negoziati. Un ruolo estremamente delicato, anche dal punto di vista politico, non per nulla negli ultimi dieci anni ben cinque segretari di Stato hanno per un motivo o per l’altro dovuto gettare la spugna. In ogni caso per il capo della nostra diplomazia questa «finestra di opportunità» rappresenta una sfida in cui si gioca se non tutto perlomeno molto della sua credibilità politica. In sostanza Ignazio Cassis questa volta deve riuscire a portare a casa un nuovo accordo con l’Unione Europea che dia forma, sostanza e continuità ai bilaterali del futuro.
L’opzione contraria rappresenterebbe un fallimento per lui e, questo va detto, anche per tutto il Consiglio federale, confrontato con il secondo passo falso di fila dopo quello del 2021. Questo sul fronte esterno, nei confronti del nostro partner politico e commerciale più importante. In casa poi si tratterà di vincere la sfida forse più difficile, quella del voto popolare. Per arrivare in fondo a questa corsa ad ostacoli serve di certo una forte volontà politica da parte di tutto il Governo, che deve dimostrare di volere davvero un nuovo accordo con l’UE. Ed è ad oggi forse questo il punto più claudicante, da qui la sensazione di capogiro che si può percepire guardando a questo grande cantiere tra Svizzera e Europa.
Svizzera-UE: una corsa ad ostacoli
La dinamica è positiva ma Berna ha bisogno ancora di tempo per capire se ci siano davvero le basi per riaprire il negoziato
/ 05.06.2023
di Roberto Porta
di Roberto Porta