I rapporti tra la Svizzera e l’Unione europea sono entrati in una fase che potrebbe risultare decisiva. Due sono i momenti forti che abbiamo vissuto negli ultimi giorni.
Il primo è stata la decisione del Consiglio federale sul discusso accordo istituzionale con l’UE. Una decisione sofferta, arrivata dopo mesi di consultazioni ed un continuo accavallarsi di esitazioni. Il governo ha deciso di non firmare subito l’accordo, ma di farlo in futuro, dopo aver ottenuto dall’UE chiarimenti su tre questioni scottanti: la protezione dei salari con le misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone, la direttiva comunitaria sulla cittadinanza e gli aiuti statali. Sono questioni che provocano numerose apprensioni in Svizzera e che, a seconda delle soluzioni che verranno applicate, potrebbero avere conseguenze negative per il nostro paese. Nel primo caso, quello della protezione dei salari, le misure di accompagnamento in vigore potrebbero venir diluite al punto da rendere inefficace la lotta contro il dumping salariale, creando così una situazione inaccettabile per i sindacati. Nel secondo caso, quello della direttiva sulla cittadinanza, la Svizzera potrebbe ritrovarsi costretta ad assumerla, il che renderebbe più agevole l’accesso all’aiuto sociale per i cittadini europei residenti in Svizzera e più difficile la loro espulsione dal territorio elvetico. I costi sociali per la Svizzera potrebbero aumentare in modo non trascurabile. Nell’ultimo caso, si tratta di verificare la portata del divieto europeo degli aiuti statali, introdotto per impedire la distorsione della concorrenza, e le sue possibili conseguenze su determinate situazioni elvetiche, come per esempio quella che prevede le garanzie di Stato per le banche cantonali.
Il secondo momento forte è stata la rapida risposta del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, alla presa di posizione del governo elvetico. Juncker ha subito escluso la possibilità di riaprire il negoziato bilaterale per modificare l’accordo e si è dichiarato aperto a discussioni complementari tese a dissipare i dubbi ed a raggiungere un’intesa sotto forma di dichiarazioni congiunte sui chiarimenti richiesti. Sempre secondo Juncker questa chiarificazione dovrebbe però avvenire in tempi brevi, praticamente in una settimana. Il 18 giugno, scrive l’ex premier lussemburghese, la Commissione europea intende fare una valutazione globale delle relazioni tra la Svizzera e l’UE.
Le reazioni a queste due prese di posizione sono state numerose. Il Consiglio federale ha raccolto un plauso quasi generale. Partiti politici e partner sociali si sono espressi positivamente ed hanno sottolineato la volontà del governo di difendere la via bilaterale e di mantenere aperto il dialogo con l’Unione europea. Perfino l’UDC ha parlato di un parziale successo, perché l’accordo non è stato firmato. Le voci critiche più autorevoli si sono focalizzate sulla scelta di chiedere dei chiarimenti. Michael Ambühl, ex segretario di Stato per gli affari esteri, e Pierre-Yves Maillard, presidente dell’Unione sindacale svizzera, hanno dichiarato che non bisognerebbe accontentarsi di chiarimenti e che occorrerebbe riaprire il negoziato con la Commissione europea.
Molto critiche, invece, sono state le reazioni all’atteggiamento del presidente della Commissione europea. Pur sottolineando l’offerta di riprendere il dialogo ed i toni cordiali usati da Juncker, tutti i partiti politici si sono dimostrati scettici sulla possibilità di giungere ad una soluzione in così poco tempo. In alcune reazioni non è mancato anche un po’ d’umorismo, come in quella del presidente dell’Unione sindacale svizzera, Pierre-Yves Maillard, secondo il quale in cinque giorni non si arriverebbe nemmeno a modificare gli statuti di una società calcistica. I punti sui quali sono stati richiesti chiarimenti sono complessi e, per di più, in Svizzera si è già aperta la campagna elettorale in vista delle elezioni di ottobre. Un periodo che, come è noto, non è favorevole per la conclusione di accordi internazionali.
Che cosa potrà succedere ora? La partita si svolge su due fronti: in Europa e nella politica interna svizzera. Sul fronte europeo, è immaginabile che le due parti trovino rapidamente un’intesa sui due chiarimenti richiesti riguardanti la direttiva comunitaria e gli aiuti statali. Resta da vedere in che modo le rivendicazioni elvetiche verranno accolte e se saranno riconosciute, per esempio in protocolli aggiuntivi allegati all’accordo. Il fattore tempo spinge Jean-Claude Juncker ad agire in fretta e, anche se in misura meno importante si riflette anche sulla diplomazia elvetica. Juncker è diventato presidente della Commissione europea il 1. novembre 2014 e in quell’anno è iniziato il negoziato sull’accordo istituzionale con l’UE. Sono cinque anni, dunque, che si sta negoziando ed è evidente che Juncker vorrebbe concludere prima della sua uscita di scena il prossimo 31 ottobre. Dal canto suo, senza un accordo, la Svizzera deve tener conto anche della possibilità di essere confrontata in futuro con una commissione più ostile di quella attuale.
Sul fronte interno, il nodo centrale è la protezione del mercato del lavoro, con le misure di accompagnamento, che prevedono norme restrittive per le aziende estere come l’obbligo di notifica ed il versamento di cauzioni. È ancora vivo il ricordo della rottura, avvenuta l’anno scorso, tra Paul Rechsteiner, l’ex presidente dell’Unione sindacale svizzera, e Johann Schneider Ammann, l’allora capo del dipartimento dell’economia, proprio sulle misure contro il dumping sociale e salariale. Karin Keller-Sutter, capo del Dipartimento federale di giustizia e polizia, è riuscita a ristabilire il dialogo con i sindacati e ad associare alla trattativa con l’Europa, oltre ai Cantoni, anche i partner sociali. La nuova consigliera federale sembra essere la figura emergente nella trattativa con l’Europa. È apparsa così durante la conferenza stampa di presentazione della decisione del Consiglio federale e per il modo deciso con il quale ha difeso la posizione del Consiglio federale contro l’iniziativa dell’UDC «Per un’immigrazione moderata», sulla quale saremo chiamati a votare l’anno prossimo. L’iniziativa vuole abolire la libera circolazione delle persone. Karin Keller-Sutter sa che un accordo tra i partner sociali sulle misure di accompagnamento è indispensabile sia per poter trattare con Bruxelles che per superare lo scoglio finale della votazione popolare.
Un primo segnale su quello che potrà succedere adesso nei nostri rapporti con l’Europa, l’avremo presto. Il 30 giugno scade l’equivalenza della regolamentazione borsistica svizzera che l’UE aveva prolungato di sei mesi lo scorso 1. gennaio. Il rinnovo dell’equivalenza potrebbe essere un punto di partenza positivo. Il non rinnovo potrebbe indicare che nuove difficoltà si stanno profilando all’orizzonte. La posta in gioco è alta per la Svizzera. Si tratta di difendere la via bilaterale per garantire il benessere che offre l’attuale situazione economica e di sottoporre all’approvazione del popolo un accordo convincente, che non sia lesivo della nostra indipendenza e sovranità e che sia l’elemento portante di una strategia articolata e condivisibile.