È stato compiuto un piccolo passo, ma la strada rimane lunga e insidiosa. L’incontro avvenuto a Bruxelles tra il ministro degli Esteri elvetico Ignazio Cassis e il vicepresidente della Commissione europea Maros Sefcovic ha segnato la riapertura del dialogo bilaterale, che era stato interrotto lo scorso 26 maggio, dopo la decisione del Consiglio federale di interrompere il negoziato sull’accordo istituzionale. Ma al di là del riavvio dei contatti ad alto livello diplomatico, quali sono i risultati concreti emersi dall’incontro? Sono risultati molto fragili e in realtà riconducibili ad uno solo: l’impegno di rivedersi a metà gennaio, a Davos, durante il Forum economico mondiale, per fare un primo bilancio del dialogo politico richiesto dalla Svizzera e dei risultati che si otterranno nei prossimi due mesi.
Sefcovic ha espresso chiaramente la posizione della Commissione europea. L’Ue chiede alla Svizzera di manifestare la sua volontà politica di risolvere i problemi strutturali che ostacolano la via bilaterale, come l’adozione del diritto comunitario o la risoluzione delle controversie, nonché un regolare contributo finanziario alla politica di coesione dell’Unione. Un contributo nel quale Bruxelles vede una sorta di dazio che la Svizzera deve pagare per poter far parte del mercato unico europeo. Il tutto seguendo una tabella di marcia realistica, ossia entro tempi ragionevoli, senza rinviare la discussione a dopo le elezioni federali del 2023, come alcune voci avrebbero già ipotizzato in Svizzera.
Cassis si è presentato a Bruxelles sperando di trovare una certa comprensione per la posizione elvetica. Ha portato con sé due elementi concreti, due segnali che testimoniano la buona volontà della Svizzera. Il primo è il miliardo di coesione che il Parlamento federale ha liberato alla fine di settembre. Sono soldi destinati principalmente a finanziare progetti d’investimento nei Paesi più poveri dell’Unione. Il secondo è la decisione presa dal Consiglio federale nel corso del mese di ottobre, di estendere la libera circolazione completa ai cittadini croati a partire dal primo gennaio 2022. I due segnali non sembrano però aver impressionato la Commissione europea e non hanno mosso niente in quei settori dove la Svizzera ha molti interessi in gioco. Per esempio nella ricerca: la Svizzera chiede di essere associata a Horizon Europe, il programma di ricerca di 96 miliardi di euro, spalmati su sette anni, importante per la ricerca elvetica e per la forza di attrazione dei nostri atenei. Oppure nel settore della formazione, con il programma di mobilità studentesca Erasmus, al quale la Svizzera, per ovvie ragioni, vorrebbe partecipare. Oppure ancora nel settore dell’elettricità, tornato in primo piano con i problemi energetici sorti negli ultimi tempi, un settore nel quale la Svizzera avrebbe molto interesse a concludere un accordo con l’Unione europea. Il vicepresidente della Commissione ha lasciato intendere che le soluzioni a questi problemi potranno essere prese in considerazione soltanto quando saranno stati compiuti progressi nella ricerca di un accordo sui problemi strutturali.
Oltre alla carenza di risultati concreti, ha colpito anche l’atmosfera tiepida, per non dire fredda, che ha caratterizzato l’incontro bilaterale. Di solito simili incontri si concludono con una conferenza stampa comune. Questa volta non è stato così: Cassis e Sefcovic si sono rivolti ai giornalisti separatamente. Ciò dimostra che la ferita causata a Bruxelles dalla decisione del Consiglio federale di rinunciare al progetto di accordo istituzionale, e dal modo in cui questa rinuncia è avvenuta, non si è ancora rimarginata. Una ferita che ha portato i dirigenti dell’Unione europea a diffidare delle autorità elvetiche e a attendere da loro iniziative concrete prima di riallacciare una qualsiasi trattativa.
Il Consiglio federale ha ora a disposizione due mesi per preparare alcune proposte. Quali? È difficile fare previsioni. In un discorso tenuto lo scorso primo agosto l’ex consigliera federale Doris Leuthard ha dichiarato: «Si possono interrompere i negoziati ma soltanto quando si sa come si continuerà». La frase confermò allora quanto già si sapeva, ossia l’assenza di una vera strategia da parte del Consiglio federale. Oggi la situazione non è cambiata. Per questo numerose sono le proposte sorte dal mondo politico e dalla società civile negli ultimi mesi. Dalla ricerca di accordi separati nei singoli settori a un accordo bilaterale III, dall’adesione allo Spazio economico europeo all’adesione all’Ue, al lancio di un’iniziativa costituzionale per costringere il Consiglio federale a trovare un compromesso con l’Unione. Sono singole proposte che insieme, però, non costituiscono una strategia.
La via bilaterale ha portato molti vantaggi alla nostra economia e al nostro Paese. È la via che molti difendono e che vorrebbero proseguire per caratterizzare i nostri rapporti con l’Ue. L’obiettivo, però, può essere raggiunto soltanto se si accetterà di fare le concessioni necessarie per raggiungere un compromesso accettabile dalle due parti, e se si riuscirà rapidamente a costituire un fronte interno compatto e maggioritario.
Svizzera-Ue, ancora nessuna strategia
L’unico risultato dell’incontro tra Cassis e il vicepresidente della Commissione europea è la promessa di rivedersi
/ 22.11.2021
di Marzio Rigonalli
di Marzio Rigonalli