L’indice calcolato per l’ottava volta dal World Economic Forum pone la Svizzera in testa alla graduatoria mondiale. Il rapporto vede ostacoli nel rinascere del protezionismo nel mondo.
Il «World Economic Forum», cioè l’istituto con sede a Ginevra, ma molto noto anche al grande pubblico perché organizza, all’inizio di ogni anno, il simposio internazionale di Davos, pubblica ogni anno i risultati di uno studio sulla competitività globale di 138 paesi, dal quale deduce il «Global Competitiveness Index». Questo indice si basa su 12 parametri principali, che sono: le istituzioni, l’infrastruttura, il quadro economico generale, la sanità e l’istruzione primaria, altri gradi di istruzione e formazione, l’efficienza del mercato, il mercato del lavoro, quello finanziario, la tecnologia, la grandezza complessiva del mercato, la qualità del «business», l’innovazione. Questi vengono a loro volta suddivisi in tre sottoindici. In totale vengono utilizzati 114 indicatori.
Per l’ottavo anno consecutivo la Svizzera risulta nettamente in testa a questa speciale classifica, ancora una volta davanti a Singapore e agli Stati Uniti. Il nostro paese è infatti risultato al primo posto in ben 11 dei 12 indicatori utilizzati. I settori in cui eccelle in assoluto sono l’innovazione, la qualità del business e la tecnologia. Un vantaggio di peso viene indicato anche nella trasparenza delle istituzioni, nell’efficienza del mercato del lavoro, nelle buone infrastrutture e nel sistema educativo.
Ovviamente non tutto è perfetto anche in Svizzera. L’analisi del WEF rileva alcuni punti deboli: per esempio l’incertezza che domina i negoziati con l’Unione Europea sulla libera circolazione delle persone, i tempi lunghi e le procedure per creare un’azienda, la persistente deflazione, la concorrenza insufficiente in alcuni settori e – ancora una volta – la debole partecipazione femminile al mercato del lavoro. Il saldo complessivo dei fattori esaminati rimane però ampiamente positivo.
Se guardiamo alle classifiche mondiali, dopo i tre paesi citati seguono l’Olanda, che supera la Germania. I due paesi, negli ultimi anni, hanno guadagnato posizioni. Al sesto posto figura la Svezia (che migliora di tre posizioni), mentre al settimo segue il Regno Unito, che guadagna pure tre posizioni. Seguono poi Giappone, Hong Kong e Finlandia.
Si tratta di paesi piuttosto avanzati nello sviluppo post-industriale, che si distaccano da altri, appartenenti di regola al Sud dell’Europa: la Francia è ventunesima, la Spagna 32esima, l’Italia 44esima, il Portogallo 46esimo (in perdita di otto posizioni) e la Grecia 86esima (in perdita di quattro posizioni).
Tra i paesi emergenti, quelli del cosiddetto BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) si nota in particolare il miglioramento dell’India, salita al 39esimo posto, guadagnando 16 posizioni rispetto all’anno precedente. Va detto che nei confronti si deve tener conto che il WEF utilizza cinque categorie di sviluppo economico. In queste categorie gli indicatori vengono ponderati in modo diverso, tenendo anche conto – per esempio nella valutazione del reddito pro capite – di come questo reddito viene prodotto. Importante in questo contesto la valutazione del reddito derivante dall’esportazione di materie prime.
Accanto ai netti progressi dell’India – che però presenta ancora parecchi problemi da risolvere – la posizione migliore nel gruppo dei BRICS rimane quella della Cina, al 28esimo posto, mentre Russia e Sudafrica vengono rispettivamente al 43esimo posto e 47esimo posto. Il Brasile sta invece vivendo un momento difficile, per cui i suoi indici lo collocano all’81esimo posto, in perdita di sei posizioni. Dalla somma delle osservazioni che il WEF aggiunge al calcolo degli indici matematici, si può dedurre una tendenza che caratterizza oggi le varie aree del mondo economico.
Intanto si delinea una tendenza abbastanza netta verso la diminuzione del grado di apertura dei vari paesi per quanto attiene agli scambi commerciali. Una tendenza che può portare pregiudizio anche al grado di competitività delle singole economie. L’osservazione era già stata avanzata anche in altri studi che constatano una crescita del protezionismo, accompagnato da un ritorno del nazionalismo sul piano politico. Anche per quanto concerne la Svizzera, si nota in proposito che le tendenze protezionistiche nel mercato del lavoro potrebbero nuocere alla competitività.
Infine, non poteva mancare un accenno alle politiche eccessivamente largheggianti delle banche nazionali. Da sole non basteranno per un rilancio della crescita, se non saranno accompagnate da riforme strutturali. Ma è proprio grazie al fatto di aver risolto alcuni di questi problemi che la Svizzera ha raggiunto quest’anno il livello massimo in assoluto nell’indice del WEF: 5,81 punti su un totale di 7.