A volte val la pena di dare un’occhiata alla storia minuta, quella che a prima vista può sembrare marginale. È un po’ come andare a rovistare nei bauli di famiglia, in solaio, tra la polvere. Non si sa mai cosa ci si ritrova tra le mani. Ed è quello che può capitare se si va a guardare la storia con la «s» minuscola delle relazioni tra il nostro Paese e le Nazioni Unite, ora che la Svizzera ha assunto la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Se torniamo al 3 marzo del 2002 (ri)scopriamo che c’è una relazione molto stretta tra quel ruolo di grande prestigio diplomatico e il Canton Vallese. Quel giorno si votò sull’adesione all’ONU e fu soltanto grazie a 2600 cittadini vallesani se a vincere fu il fronte del «sì», con la Svizzera che diventò il 190esimo Stato membro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. In altri termini quelle cittadine e quei cittadini vallesani furono davvero decisivi.
A livello popolare l’adesione all’ONU fu sostenuta dal 54% dei voti. Ma, visto che si trattava di un’iniziativa, ci voleva la doppia maggioranza. E per raggiungerla, quella domenica di marzo, si vissero ore da brividi, con alla fin dei conti 12 Cantoni a favore dell’adesione e 11 contrari. In Vallese ci fu il risultato più risicato, con quei 2600 voti di scarto che decisero la contesa anche a livello nazionale. Per completare il quadro val la pena ricordare il voto negativo del Canton Ticino, con quasi il 59% di voti contrari, e quello della maggior parte dei Cantoni della Svizzera centrale e orientale. Ma su questo tema si votò anche nel 1986, sul finire della guerra fredda. E il risultato fu netto: ben tre cittadini su quattro non vollero dare il loro via libera all’adesione nell’ONU del nostro Paese. Per le istituzioni fu un vero schiaffo e, per la politica svizzera, fu l’inizio dell’ascesa di un certo Christoph Blocher. Ci vollero poi, nel 1992, le adesioni a due organizzazioni sovranazionali – il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale – per preparare il terreno e per portare al risultato del 2002. E per vedere, a vent’anni di distanza, la Svizzera far parte dei membri non permanenti del Consiglio di sicurezza (gennaio 2023) delle Nazioni Unite e dirigerne, questo mese di maggio, i lavori.
Si tratta di un ruolo amministrativo e protocollare ma di grande rilievo perché nel concreto il nostro Paese ha il compito di gestire nel miglior modo possibile le riunioni di quello che forse con troppa enfasi viene anche chiamato il «Governo del mondo». Non per nulla l’ambasciatrice elvetica presso la sede di New York dell’ONU, Pascale Baeriswyl, ha dichiarato che «per la Svizzera questo è un momento storico» mentre il capo della nostra diplomazia, Ignazio Cassis, ha già voluto fare un primo bilancio di quanto fatto da gennaio ad oggi affermando che il lavoro svolto dal nostro Paese «è molto apprezzato dai vertici delle Nazioni Unite». Insomma una buona pagella, per il momento, quella che ci arriva dal Palazzo di vetro. Per una semplice questione di ordine alfabetico il nostro Paese eredita il ruolo di presidente del Consiglio di sicurezza dalla Russia, che lo ha svolto nel corso del mese di aprile. Oggi dire Russia significa dire anche e soprattutto invasione dell’Ucraina e, a livello di Nazioni Unite, constatare che Mosca da più di un anno calpesta nel sangue i principi alla base del diritto internazionale, che la stessa ONU è chiamata a difendere e a promuovere.
La Svizzera si trova quindi a gestire una situazione davvero tesa e complessa, per di più in contesto di crisi multiple a livello planetario. E lo fa con una priorità: ridare credibilità a questa istituzione nata ormai quasi 80 anni fa, come ha affermato Ignazio Cassis la settimana scorsa a New York aprendo i lavori del Consiglio di sicurezza. Il nostro Paese dovrà però contemporaneamente fare i compiti anche in casa propria, visto che è chiamato a ridefinire il proprio ruolo nel mondo, in un contesto in cui la guerra in Ucraina ha rimescolato le carte della geo-politica internazionale. E qui da sciogliere ci sono due nodi decisamente aggrovigliati: quello della neutralità e quello delle nostre relazioni con l’Unione Europea. Sul tema della neutralità, e in relazione alla guerra in Ucraina, il nostro Paese non riesce più a farsi capire dai suoi vicini, in particolare per quanto riguarda da una parte il suo rifiuto alla riesportazione di materiale bellico e dall’altra la ricerca dei patrimoni di oligarchi russi vicini a Putin, considerata dagli altri Paesi occidentali troppo blanda.
Nell’autunno scorso il ministro degli esteri Ignazio Cassis aveva presentato una riforma del concetto di neutralità, definita cooperativa. Ma il Consiglio federale aveva rispedito tutto al mittente. Sta di fatto che ora ci sarebbe davvero bisogno di capire cosa la Svizzera voglia fare di questo caposaldo della sua presenza nel mondo. In ambito europeo invece dopo una decina di anni di trattative infruttuose, il dossier ha subito un’improvvisa accelerazione. Entro l’estate lo stesso Cassis deve presentare ai suoi colleghi di Governo un mandato negoziale, per riaprire il confronto con Bruxelles per quelli che potrebbero essere chiamati i «Bilaterali tre». Ma le incognite sono ancora parecchie, come pure gli ostacoli da superare, sia con la controparte europea, sia all’interno del nostro Paese. I successi parziali che la Svizzera sta ottenendo in ambito ONU – come per esempio il rinnovo della risoluzione sull’aiuto umanitario alla Siria, colpita dal terremoto – fanno di certo del bene anche all’immagine del nostro Paese a livello internazionale ma non devono portare ad un rallentamento nella ricerca di soluzioni nei due grandi ambiti citati: neutralità e UE.
Il passato ci insegna che il nostro Paese è piuttosto incline a tergiversare quando si tratta di affrontare queste due sfide, come ci dice lo storico Jakob Tanner nel suo volume Storia della Svizzera nel 20esimo secolo: «La Svizzera in questo secolo si è data da fare nell’arte del procrastinare (…) l’arrivare in ritardo viene visto come una virtù, in particolare per quanto riguarda le nostre relazioni con l’Unione Europea». Si tergiversa anche perché il nostro Paese se lo può permettere, economicamente il quadro è tutto sommato positivo, nonostante le incognite legate al tracollo di Credit Suisse. Ma le sfide da affrontare rimangono tali. Con qualche mal di pancia la Svizzera è diventata membro dell’ONU, e ora ne è ai vertici. Ma è stato tra gli ultimi Paesi a farlo a livello mondiale, in nome del Sonderfall elvetico. Ma giocare con il tempo a volte vuol dire anche correre il rischio di giocare con il fuoco.