Sud Africa, crisi nera

Massacro ministeriale – Con una mossa a sorpresa che ha avuto quasi le modalità di un colpo di stato, il presidente Zuma ha operato un mega rimpasto di governo. Facendo una vittima eccellente, il ministro delle Finanze Gordhan
/ 18.04.2017
di Pietro Veronese

Qualcuno ricorderà ancora la scena, trasmessa dalle tv di tutto il mondo. Era l’11 luglio 2010, allo FNB Stadium di Johannesburg era in programma la finale dei Mondiali di calcio: Paesi Bassi-Spagna. Shakira cantò per l’ultima volta il suo Waka Waka, che comunque aveva avuto tutto il tempo, nelle settimane precedenti, di diventare un tormentone universale. Poi, fuori programma e nel delirio dello stadio colmo di spettatori, un’auto elettrica avanzò verso il centro del campo. Sul sedile posteriore, accanto alla moglie seduta alla sua sinistra, l’anziano Nelson Mandela, 92 anni meno una settimana. In testa un colbacco per ripararlo dal freddo, sulla bocca il leggendario sorriso. Stretto, in quel momento, in un abbraccio planetario che avvolgeva il Paese passato da regno dell’ingiustizia a faro di una società globale più equa, inclusiva, proiettata verso l’avvenire.

Sono passati meno di 7 anni. Quel Sudafrica non esiste più. Non è più il Paese di Nelson Mandela, scomparso tre anni e mezzo dopo la sua ultima apparizione in pubblico, allo FNB Stadium. Non è più un membro del club dei «Brics», i cinque Paesi emergenti sulla scena economica mondiale. Certo, neanche il club c’è più; ma mentre India e Cina e in una certa misura anche la Russia proseguono la loro marcia sia pure rallentata, il Brasile e soprattutto il Sud Africa hanno perso contatto, quest’ultimo fino al punto di invertire tendenza ed entrare in recessione. L’economia ristagna, gli investitori stranieri si ritirano, il malgoverno impera, la società è percorsa da un malessere crescente, la maggioranza politica si sgretola e già alle amministrative il partito di governo, l’ANC, ha perso le maggiori città. Crescono i consensi alla campagna #Zumamustfall, che chiede a gran voce le dimissioni del presidente della Repubblica, implicato in una sequela di scandali.

Questa era già da mesi la cupa situazione nella quale il Sud Africa si è andato cacciando. Poi, nel giro di dieci giorni, tra il 28 di marzo e il 7 di aprile, la situazione è precipitata. Le prospettive da grigie si sono fatte nere. In questo breve tempo tutte le contraddizioni sudafricane sono deflagrate contemporaneamente: l’ultimo assalto della vecchia guardia rivoluzionaria che lottò insieme a Mandela; la brama di potere di un capo dello Stato ridotto a un arroccamento disperato; il cinismo dei mercati internazionali indifferenti alla sorte dei poveri; il fuggi fuggi degli alleati politici che cercano di salvare il salvabile; il partito-regime che finisce per fare quadrato contro lo scontento di massa.

Nelle prime ore del 28 marzo se n’è andato a 87 anni Ahmed Kathrada, una delle figure più rispettate della recente storia sudafricana. Militante anti-apartheid quasi fin dall’infanzia, Kathrada era stato condannato all’ergastolo insieme a Nelson Mandela nel famoso processo di Rivonia del 1963-64 e aveva condiviso con lui oltre un quarto di secolo di prigionia. Ma in tempi recentissimi lo «zio Kathy», come era affettuosamente chiamato, aveva fatto di nuovo qualcosa che lo aveva portato alla ribalta della scena politica. Quando nel 2016 la Corte suprema sudafricana aveva riconosciuto il presidente Zuma colpevole di gravi malversazioni (centinaia di milioni di rand di denaro pubblico spesi per ristrutturare la sua proprietà di campagna), Ahmed Kathrada aveva preso carta e penna e gli aveva scritto una lettera aperta. Fatto inusitato da parte di un uomo elegante, discreto, che si era sempre definito leale e disciplinato membro del partito. Non più. Con parole misurate e definitive lo zio Kathy invitò Zuma a dimettersi.

Kathrada era musulmano e secondo i dettami della sua religione è stato seppellito il giorno dopo il decesso. La famiglia aveva fatto sapere al capo dello Stato che la sua presenza non era gradita. C’erano invece molti esponenti della vecchia guardia e tra questi l’ex presidente Kgalema Motlanthe il quale, pronunciando il discorso funebre, ha pensato bene di rileggere la lettera aperta a Zuma dell’anno prima, tra lo scrosciare degli applausi. Il funerale del vecchio combattente anti-apartheid è diventato una manifestazione politica.

Questo era il clima nel Paese quando, alla mezzanotte dell’indomani, con una mossa inattesa che ha avuto quasi i modi di un colpo di Stato, Zuma ha operato un mega-rimpasto di governo. Il «massacro ministeriale» ha visto ca-dere le teste di nove titolari di dicastero e sei vice. Nessuno era stato avvisato, consultato, coinvolto nella decisione. E soprattutto, tra i nove, c’era una vittima eccellente: il ministro delle Finanze Pravin Gordhan. Un nome intoccabile. L’uomo che garantiva l’affidabilità del Sud Africa sui mercati internazionali.

Nel giro di ore il rand, la valuta nazionale da tempo in declino, ha perso un ulteriore 5 per cento del suo valore. Tutte le massime cariche del Paese, a cominciare dal vicepresidente Cyril Ramaphosa, hanno preso le distanze. Non è la prima volta che Zuma cerca di liberarsi di Gordhan e della sua severa politica fiscale: già un’altra volta l’aveva licenziato, salvo essere costretto a riaffidargli il ministero poco tempo dopo.

La settimana che è seguita è stata una valanga. Due delle tre maggiori agenzie di rating, prima Standard & Poors e poi Fitch, hanno ribassato la loro valutazione. Il credito sudafricano è sceso a BB+. Il ribasso di Moody’s, annunciato, è questione di ore. L’«alleanza tripartita» che da 25 anni regge le sorti politiche del Paese è morta: la confederazione sindacale Cosatu e il South African Communist Party hanno abbandonato l’African National Congress, il partito che fu di Mandela e oggi è di Zuma. Le opposizioni sono scese in piazza, mobilitando decine di migliaia di persone con lo slogan #Zumamustfall. Le commemorazioni di Ahmed Kathrada si sono trasformate in manifestazioni di protesta. Il presidente ha ancora il controllo degli organi direttivi dell’ANC, ma il partito è spaccato, alcune tra le più importanti federazioni hanno votato contro di lui e ne chiedono l’allontanamento. La passione del Sud Africa non fa che cominciare.