Sturgeon rilancia la sfida secessionistica

La priorità di Liz Truss non è la questione scozzese, ma la sopravvivenza politica, sua e dei conservatori britannici
/ 17.10.2022
di Barbara Gallino

«Ci sono voluti tre anni ai Tory per capire che Boris Johnson era un disastro. Per Liz Truss sono bastate tre settimane». Ha colto la palla al balzo Nicola Sturgeon al Congresso annuale dello Scottish National Party (SNP) ad Aberdeen. La prima ministra scozzese ha approfittato della debolezza politica della già agonizzante neo-premier inglese, per sferrarle un durissimo attacco e rilanciare la sfida secessionistica. Sturgeon ha accusato Truss di «causare un danno reale e duraturo al tessuto della società britannica» con la sua scellerata politica fiscale che ha provocato nel Regno Unito una tempesta finanziaria, con il crollo della sterlina e la Banca d’Inghilterra costretta a intervenire per proteggere i fondi pensionistici. In attesa del verdetto della Corte suprema sulla questione se Edimburgo abbia legalmente il potere o meno di indire un secondo referendum sull’indipendenza senza il consenso di Westminster, la leader del partito nazionalista scozzese ha ribadito che il distacco è essenziale per sottrarsi al malgoverno di Londra, costruire una partnership di eguali con le altre nazioni del Regno Unito e rientrare nell’Unione europea.

La leader politica più longeva del regno – dal 2014 alla guida dello SNP – ha dimostrato durante il Congresso di avere ancora presa sul suo elettorato, inanellando una sfilza di standing ovation con la sua visione della Scozia come Nazione indipendente schierata al fianco dell’Ucraina contro l’aggressione di Putin, del popolo iraniano che si ribella alla tirannia degli ayatollah e delle ragazze afgane che aspirano semplicemente all’istruzione. Sul fronte domestico, ha annunciato un’agenda marcatamente progressista e distante da quella Tory, oltre all’intenzione di creare un fondo per finanziare l’indipendenza della Scozia, con i profitti del petrolio del Mare del Nord e l’emissione di debito pubblico «non per tagliare le tasse ai ricchi» come fa il governo Truss, ma per fronteggiare le iniziali difficoltà economiche che insorgerebbero dopo la secessione. Intanto a sud del vallo di Adriano, Liz Truss fa orecchie da mercante.

Dal suo insediamento a Downing Street, la premier non ha avuto contatti ufficiali né con l’Esecutivo locale di Edimburgo guidato da Sturgeon né con quello di Cardiff, guidato dal laburista Mark Drakeford, come invece dovrebbe essere prassi. «Non so se si tratti di arroganza, mancanza di rispetto o insicurezza, ma certamente non è un modo di governare da persone adulte», ha commentato Sturgeon, puntualizzando di avere invece parlato con i predecessori David Cameron, Theresa May e Boris Johnson poco dopo la loro nomina. I rapporti fra le due prime ministre sono stati tesi fin dall’inizio: se da un lato Sturgeon ha dichiarato di detestare i conservatori e tutto quello che rappresentano, dall’altro Truss ha bollato la leader scozzese come un personaggio a «caccia di attenzione» che dovrebbe essere «ignorato». E così fa: la ignora. D’altronde in questo momento la priorità della premier britannica non è la questione scozzese, ma la sopravvivenza politica, sua e dei conservatori.

Continua a montare infatti la rivolta contro la leader Tory, dentro e fuori il partito. Nella bufera, ancora una volta, il vituperato Piano per la crescita per riportare il Pil del Regno Unito ai livelli antecedenti la pandemia di Covid. La mini-manovra finanziaria da 43 miliardi di sterline per rilanciare l’economia annunciata dal cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng, lo scorso 23 settembre, senza un’indicazione chiara delle coperture, e la successiva inversione sulla controversa eliminazione dell’aliquota del 45 per cento sui redditi più alti, hanno minato gravemente la fiducia dei mercati finanziari nel Governo. Tuttavia Truss non sarebbe più disposta a fare dietro-front sui provvedimenti messi in campo per tornare a una fantomatica crescita del 2,5 per cento: il piano energia con il tetto al prezzo delle bollette di elettricità e gas, e il pacchetto di aiuti del valore di 40 miliardi di sterline alle imprese energetiche, non si toccano. Anche la cancellazione degli aumenti di Corporation Tax e National Insurance annunciati dal Governo precedente sarà implementata, così come la riduzione di un punto percentuale dell’aliquota base dell’imposta sul reddito delle persone meno abbienti. Senza tagliare la spesa pubblica. Ma com’è possibile? In attesa che il cancelliere dello Scacchiere dia delucidazioni in merito quando il prossimo 31 ottobre presenterà il piano fiscale di medio termine con le coperture finanziarie delle costose misure economiche del Governo, la Banca d’Inghilterra ha già annunciato che non intende prolungare il piano di acquisti di emergenza messo in campo per placare il caos scatenato nei mercati dalla mini-manovra, provocando così un’ondata di vendite di titoli di Stato britannici e un’ulteriore svalutazione della sterlina.

I rendimenti sui Gilt (titoli di Stato) a 30 anni sono aumentati di 24 punti al 5,01 per cento, i titoli con scadenza a 20 anni sono saliti di 27 punti al 5,19 per cento, il massimo dal 2002. Truss è in un vicolo cieco. Per uscire dall’impasse o deve fare retromarcia sul taglio delle tasse oppure deve toccare il piano energia. Ormai la sua autorevolezza e credibilità sono a pezzi. Anche i suoi sostenitori sembrano voltarle le spalle. Secondo l’ex cancelliere Sajid Javid, che aveva appoggiato la sua candidatura a leader Tory, i piani fiscali e di spesa del Governo sono andati «decisamente oltre» le aspettative dei mercati, ora in cerca di rassicurazioni che il debito possa tornare sotto controllo. Intanto il Partito conservatore continua a crollare nei sondaggi. Secondo le ultime rilevazioni, se si andasse al voto oggi, il 52 per cento degli elettori britannici voterebbe per i laburisti e solo il 22 per cento per i Tories. Uno scarto che non si vedeva dagli anni Novanta.