Senza acqua, senza benzina, senza energia elettrica. La routine del Venezuela è ormai da tempo un’emergenza senza fine, un girovagare di singole persone alla ricerca dei servizi basici funzionanti, difficili da trovare perché quasi tutti sospesi per assenza di elettricità. Scuole chiuse, trasporti paralizzati. Massima allerta negli ospedali, impossibilitati a dare assistenza in assenza di acqua e luce. I malati cronici migrano da una clinica all’altra sentendosi rispondere sempre «scusate, non abbiamo le condizioni minime per accogliervi».
Questa settimana Caracas è tornata al buio. Il black out riguarda la maggioranza degli stati del Paese. Difficoltà anche nelle comunicazioni: non funziona internet, non si possono ricaricare le batterie dei telefoni.
Il regime di Nicolás Maduro nega il collasso del sistema e si difende con la propaganda. «Il black out è stato causato da gruppi di delinquenti al servizio della destra» dice il ministro delle comunicazioni Jorge Rodríguez. Gli risponde una serie di tecnici del settore elettrico, quelli rimasti, quelli che non sono ancora espatriati. Sostengono che la ragione dei frequenti blackout dipenda dall’assenza di mantenimento degli impianti, da incuria e dal sovraccarico di alcune centrali che per questo prendono fuoco, incendiate non da malintenzionati ma da un carico di lavoro che non sono in grado di sostenere.
«Quel che sta succendendo non è prodotto da sabotaggio» dice Alexis Rodríguez, dirigente della federazione nazionale dei lavoratori del sistema elettrico. Fetraelec. «I trasformatori hanno una durata di vita, non sono eterni e non sono stati cambiati in tempo».
A Caracas c’è di nuovo una processione constante di persone che sale lungo le pendici del Aquìla, la montagna che domina la capitale dall’alto, per andare a rifornirsi di acqua con le taniche in cima al monte. Dagli stati periferici arrivano notizie di continui assalti, di ondate di saccheggi propiziati dall’oscurità. Si teme che possano nei prossimi giorni ripetersi gli episodi successi a Maracaibo durante il lungo black out iniziato il 7 marzo, il primo di questa serie. Lì gruppi di persone hanno assaltato non solo negozi, ma interi alberghi, devasatandoli. «Sembra che un aspiratore umano sia passato per queste stanze – ha raccontato un testimone – stucchi, specchi, pannelli di compensato, hanno portato via tutto. Non è stato un assalto per fame, è stato un saccheggio per sfregio».
Mentre da Mosca il governo Putin ammette che militari russi sono stati inviati a Caracas, come rivelato giorni fa da un giornalista venezuelano che aveva rilevato strani movimenti attorno a due aerei russi atterrati all’aeroporto internazionale di Maquetìa, dalla Colombia arriva la denuncia dei militari venezuelani abbandonati a se stessi oltre frontiera. Musica per le orecchie di Maduro, che infatti fa rilanciare in continuazione in televisione la notizia usandola come arma di dissuasione e di propaganda.
Almeno un centinaio di militari venezuelani lo scorso 23 febbraio, nel mezzo della grande kermesse avvenuta sul lato colombiano della frontiera con il Venezuela per accompagnare l’entrata di camion con cibo e medicine inviate dagli Stati uniti (operazione non riuscita, impedita da regime che l’ha considerata un’operazione ostile), hanno risposto all’invito dell’autoproclamatosi presidente ad interim Juan Guaidò ad abbandonare Maduro e a schierarsi con l’opposizione. Salutati come esempi di coraggio, nell’arco di 24 ore questi militari hanno ricevuto il plauso di mezzo mondo e sono stati ringraziati da almeno tre presidenti della repubblica stranieri. Si aspettavano chissà cosa in cambio del loro gesto.
Ora schiumano rabbia perché, passato più di un mese da allora, si ritrovano sbattuti fuori dagli ostelli colombiani in cui erano stati ospitati come primo alloggio e non sanno dove sbattere la testa. Si lamentano perché, dicono, l’Acnur, l’organizzazione delle Nazioni unite che si occupa di rifugiati, avrebbe messo in mano a ciascuno di loro cento dollari, una mappa della Colombia e l’invito a rimboccarsi le maniche e a mantenersi da soli in attesa che le pratiche per il riconoscimento del loro status di profughi siano smaltite. Sono oltre tre milioni i venezuelani scappati oltre frontiera.
Un milione duecentomila dei quali in attesa di asilio in Colombia. È inevitabile che i tempi siano lunghi. I militari disertori dicono d’essere stati illusi, hanno problemi pratici davvero grandi perché la base dell’esercito venezuelano è di origine molto umile, nessuno di loro ha i soldi da parte per mantenersi in attesa di un lavoro. D’altra parte la situazione è difficilmente risolvibile, dar loro la precedenza rispetto a civili in attesa da mesi sarebbe impensabile.
Guaidò continua a formulare costanti appelli alle forze armate perché abbandonino il regime. Una rottura nel sostegno militare che tiene in piedi Maduro è necessaria all’opposizione per uscire dalla pericolosissima fase di stallo nella quale è entrata dopo i primi giorni di effervescenza seguiti alla mossa a sorpresa dell’autoproclamazione alla presidenza ad interim del presidente del Parlamento. Le laconiche dichiarazione dei soldati disertori, opportunamente trasmesse con ossessiva ripetizione da tutte le tv del regime, piovono ora come pietre sugli appelli di Guaidò.