Thomas Cottier, professore emerito di diritto economico europeo e internazionale.


Sovranità, ostaggi del mito

Intervista - Secondo Thomas Cottier il Consiglio federale si rifà ad un concetto nazional-conservatore di sovranità, in realtà la Svizzera dovrebbe impegnarsi per una sovranità cooperativa in Europa, da cui dipende il suo benessere
/ 14.06.2021
di Peter Schiesser

Alla base della decisione del Consiglio federale di interrompere i negoziati con l’Unione europea per un accordo istituzionale, che desse un assetto stabile agli accordi bilaterali, c’è il timore di una perdita di sovranità nazionale, quindi di indipendenza. Un concetto che determina e condiziona la politica svizzera fin dalla votazione per l’adesione allo Spazio economico europeo, bocciata il 6 dicembre del 1992. Ma che cosa significa oggi questo concetto? Quanto, in un mondo globalizzato, i singoli Stati e la singola Svizzera possono dirsi davvero sovrani? Di questo e del particolare momento in cui si trovano le relazioni con l’UE abbiamo parlato con Thomas Cottier, professore emerito di diritto economico europeo ed internazionale, che dal 1986 al 1993 è stato anche membro della delegazione svizzera al cosiddetto Uruguay-Round nell’ambito del Gatt, precursore dell’Organizzazione mondiale del commercio. Cottier è senz’altro una delle personalità più profilate e qualificate in Svizzera nel dibattito sull’integrazione del nostro Paese in Europa. Assieme allo storico André Holenstein ha da poco dato alle stampe un libro (Die Souveränität der Schweiz in Europa: Mythen, Realitäten und Wandel, Schultess Verlag) in cui viene affrontato proprio il tema della sovranità.

Professor Cottier, nel dibattito sui negoziati sull’Accordo istituzionale, nel frattempo falliti, il concetto di sovranità era centrale: ma cosa significa oggi «sovranità» o, in altre parole, quanto può essere sovrana la Svizzera nel mondo di oggi, nell’Europa di oggi?
La sovranità fu un problema centrale dei moderni Stati costituzionali. Chi ha l’ultima parola? La questione è stata risolta anche in Svizzera con l’introduzione della separazione dei poteri, dei diritti fondamentali e del federalismo. Nessuno è sovrano di per sé, ma si tratta di un gioco di svariati poteri e livelli. Questo principio oggi si è affermato anche in Europa. Solo la Svizzera non l’ha compreso nelle sue relazioni con l’UE. Prevale una concezione nazionale conservatrice, che enfatizza l’autodeterminazione, l’autonomia e perfino l’autarchia. La Svizzera non fa distinzioni tra Europa e altre parti del mondo. Da qui l’assenza di un linguaggio comune tra il Consiglio federale, la Commissione europea e gli Stati membri. Manca una base comune per capirsi.

Tuttavia, anche da parte del Consiglio federale si è giunti alla conclusione che si possa essere autonomi, che si possa determinare da soli la nostra posizione nel mondo, in Europa: un’autoillusione?

La maggioranza del Consiglio federale si rifà in modo ideologico a una concezione nazional-conservatrice della sovranità. Alla fine è stato questo ad essere decisivo per il rifiuto dell’accordo quadro, non gli ultimi tre problemi rimasti, che sono assolutamente risolvibili.

Dove ha origine questa visione autarchica della sovranità? La Svizzera è mai stata davvero completamente sovrana, ha davvero determinato da sé la propria Storia?

È un mito, che le esperienze della prima e seconda guerra mondiale hanno amplificato. In realtà la Svizzera è sempre vissuta, e sopravvissuta, con innumerevoli alleanze, come ha dimostrato con grande chiarezza lo storico André Holenstein. Si trova in mezzo all’Europa e per il suo benessere dipende dall’Europa. Di conseguenza, dovrebbe impegnarsi per una sovranità cooperativa.

Nel 1992, una risicata maggioranza popolare ha bocciato l’adesione allo Spazio economico europeo (SEE), dopodiché è stata scelta la via bilaterale, nella speranza di poter conservare una sufficiente sovranità. Oggi vediamo che questo calcolo non funziona. Un’altra illusione?

La via bilaterale ha funzionato, ma manca di una base istituzionale per la collaborazione. Nel 2018 e 2020, il popolo ha confermato molto chiaramente la via bilaterale respingendo le due iniziative UDC. È la classe politica, traumatizzata dopo il no al SEE, che vuole persuaderci che l’accordo quadro non abbia alcuna possibilità di essere approvato dal popolo. I sondaggi dicono il contrario: oltre il 60% si è ripetutamente espresso a favore dell’accordo con la UE. La maggior parte della gente vuole proseguire sulla via bilaterale e chiede al governo di fare quanto necessario.

In merito all’Accordo istituzionale: il Consiglio federale, così come ampie cerchie politiche e sociali, non accettano di doversi allineare automaticamente al diritto comunitario, ma intendono decidere in proprio quali futuri aggiornamenti del diritto europeo debbano essere ripresi e quali no. Ma oggi è ancora possibile?

Su questo punto sussistono molti malintesi e la mancanza di conoscenza dell’accordo è palese. L’accordo quadro rispetta la democrazia diretta. La Svizzera mantiene l’ultima parola sulla propria legislazione. L’accordo prevede che, se necessario, possano entrare in gioco misure compensative commisurate, al fine di garantire parità di condizioni nel caso in cui le leggi siano in conflitto con l’accordo. L’Unione europea è venuta molto incontro alla Svizzera, molto di più che nel caso del SEE o dell’adesione all’UE.

Spesso si sente dire che si debba, e si possa, negoziare su un piano di parità con la UE, poiché quest’ultima avrebbe lo stesso grande interesse ad accordarsi con la Svizzera. Forse in questo caso si sopravvaluta la forza della piccola Svizzera?

La trattativa avviene con 27 Stati. La Svizzera esporta circa il 50% dei suoi prodotti e servizi nell’UE, mentre in senso inverso ci si aggira sul 7%. Gli ordini di grandezza sono lampanti. A ciò si aggiunge il fatto che la Svizzera e i suoi partiti sono terribilmente divisi. In politica estera, oggi Berna è di nuovo in posizione di debolezza. Ci autoinganniamo se pensiamo di poter negoziare su un piano di parità. La Svizzera soffre contemporaneamente di sopravvalutazione di sé e di senso d’inferiorità. Questa miscela problematica si è formata nel corso di una lunga storia. Il Patto federale del 1815 fu imposto alla Svizzera dalle potenze europee senza il suo coinvolgimento e con l’obbligo della neutralità armata. Non fu farina del suo sacco. Proprio perché la Svizzera attualmente sta andando bene economicamente e la posta in gioco è molto alta, non dovremmo perdere di vista i rapporti di forza e negoziare con senso delle proporzioni e senza arroganza.

Nella fase finale delle trattative sull’Accordo istituzionale, il Consiglio federale si è posto di fronte alla Commissione UE con delle pretese. Inoltre, l’UE è stata accusata di non scendere a compromessi, d’altronde però non si è vista neppure una soluzione di compromesso da parte della Svizzera (dove di solito vige la cultura del compromesso). Concorda con questa analisi?

Come detto, con l’accordo quadro l’UE è andata molto incontro alla Svizzera. Le richieste di Berna sono nate da un accumulo di interessi particolari, che sono servite da pretesto al Consiglio federale per respingere l’accordo, poiché esso non corrisponde all’ideologia della sua maggioranza e perché si ha un occhio puntato sulle prossime elezioni federali. Né più né meno. Un esempio: nell’accordo viene ancorata la protezione salariale, che oggi è contestabile poiché secondo il diritto europeo viola gli accordi sulla libera circolazione. La protezione salariale in realtà può ancora essere impugnata dall’UE, come pure davanti ai tribunali svizzeri e dalla politica nazionale nell’ambito di un ipotetico piano B (ossia nel caso di un’alternativa all’accordo istituzionale, ndr). Su questo punto i sindacati disconoscono i loro interessi a lungo termine, il che conviene alla maggioranza conservatrice del Consiglio federale. Saranno i lavoratori dipendenti a farsi carico dei costi.

Dopo sette anni il Consiglio federale ha deciso, unilateralmente e senza coinvolgere il Parlamento e il popolo, di abbandonare il tavolo dei negoziati. Contemporaneamente offre a Bruxelles di proseguire e approfondire il dialogo politico. Ma su quale base di fiducia? Perché la Commissione europea dovrebbe acconsentire?

Il tentativo di riscattarsi con i soldi (il «miliardo di coesione») e con un dialogo è particolarmente pessimo ed è stato definito addirittura sfacciato, dopo che il Consiglio federale ha sbattuto la porta in maniera così poco diplomatica. Per il momento, l’UE ignorerà la Svizzera e negozierà solo laddove è nel suo interesse, ossia al massimo nel campo dell’approvvigionamento elettrico. Al momento non si sa ancora se le università svizzere potranno continuare a collaborare nel campo della ricerca. I passi compiuti dal Consiglio federale hanno davvero frantumato molti piatti inutilmente e distrutto quel po’ di goodwill rimasto. Spetta ora al Parlamento correggere questa decisione nelle prossime settimane. Tra mozioni vincolanti, misure di accompagnamento e uno sguardo puntato alle prossime elezioni federali del 2023, ha in mano tutti gli strumenti di potere e le competenze necessarie.

I costi economici del fallimento dei negoziati e dello svuotamento degli accordi bilaterali sono stati accettati senza che prima fossero quantificati. Forse si spera di poterli minimizzare. C’è il sospetto che siano sottovalutati sia dalla politica che dalla popolazione. O forse siamo davvero in una posizione di forza?

La maggioranza del Consiglio federale ha preso una decisione ideologica e ammette che adesso si tratta di limitare i danni. Come il governo britannico riconosce gli svantaggi economici derivanti dalla Brexit, così fa anche il Consiglio federale. In definitiva, si tratta dell’effetto del populismo a scapito del benessere, che è sempre stato al centro del concetto di sovranità. Il conto viene pagato dalla gente comune, non dai politici.

Sorge spontanea un’ultima domanda: come si proseguirà con il bilateralismo? È ancora una via praticabile?
Come detto, il Parlamento ha la possibilità di costringere il Consiglio federale a tornare sulla decisione e a firmare l’accordo insieme ad alcune misure di accompagnamento. In appoggio ci sarà un’iniziativa popolare. I partiti divisi vogliono evitare una discussione sull’Europa nell’imminenza delle prossime elezioni e quindi vogliono risolvere il problema in anticipo. In caso contrario l’UE proporrà tre opzioni: accordo SEE, adesione all’Unione o uno status simile a quello della Gran Bretagna. Di certo c’è che non verranno più accordati alla Svizzera dei privilegi tramite un accordo quadro su misura. Non sarebbe la prima volta che la Svizzera perde una grande occasione bendandosi gli occhi. Ma non è ancora troppo tardi.