Sostenere la cinematografia elvetica

Bisogna obbligare i servizi di streaming – come Netflix e Amazon Prime – a finanziare la produzione nostrana?
/ 09.05.2022
di Alessandro Carli

Altro tema in votazione il 15 maggio: la modifica della legge sul cinema. Il popolo dovrà decidere se obbligare anche i servizi di streaming video come Netflix, Amazon Prime e Disney ad attribuire alla cinematografia svizzera il 4% dei ricavi ottenuti nella Confederazione (le emittenti televisive private sono già tenute a farlo) e a presentare nei loro cataloghi almeno il 30% di serie o film prodotti in Europa. Il provvedimento, se approvato, dovrebbe permettere di versare ogni anno 18 milioni di franchi supplementari all’industria cinematografica svizzera, ciò che le consentirà di rafforzare la creazione indigena e la diversità dell’offerta. Il sostegno attuale dei poteri pubblici e della SSR ai cineasti ammonta a circa 120 milioni di franchi annui.

Attualmente i film e le serie vengono sempre più guardati online. I servizi streaming lasciano tuttavia poco spazio alle produzioni indigene che faticano ad accedere al mercato internazionale. «La nuova legge – ha spiegato il ministro della cultura Alain Berset – eliminerà le disparità di trattamento tra emittenti televisive e servizi di streaming, lasciando in Svizzera una quota dei proventi a favore dell’industria locale». Gran parte dei paesi limitrofi ha già imposto ai servizi streaming di investire nella produzione cinematografica nazionale. In Francia il contributo è stato fissato al 26%, in Italia a circa il 20%. «Ciò dovrebbe far capire quanto sia ragionevole la proposta in votazione», ha aggiunto Berset.

Contro la revisione hanno lanciato il referendum le sezioni giovanili dell’Udc, del Plr, dei Verdi liberali e anche diversi esponenti del Centro, sostenuti dall’Associazione svizzera delle televisioni private e da Suissedigital, l’associazione che riunisce gli operatori via cavo. Essi sono dell’opinione che la produzione audiovisiva elvetica sia già sufficientemente sovvenzionata e che non necessiti di aiuti supplementari. Per i sostenitori del referendum, la modifica della legge è una disposizione illiberale, che non tiene contro dei consumatori e che finirà per pesare sul portamonete dei fruitori delle piattaforme. Temono anche che la revisione possa spingere le piattaforme di streaming ad aumentare i costi degli abbonamenti, che in Svizzera sono già tra i più cari. «Ciò è ingiusto – affermano – soprattutto per le giovani generazioni».

Per governo e parlamento è improbabile che l’obbligo di investire abbia un impatto sui prezzi delle offerte di streaming. La modifica della legge garantisce inoltre pari condizioni alle emittenti televisive e ai servizi streaming, svizzeri e stranieri. Anche le emittenti televisive straniere che trasmettono finestre pubblicitarie rivolte al pubblico svizzero dovranno contribuire alla pluralità dell’offerta cinematografica. I fautori del referendum ritengono ingiusto obbligare i servizi di streaming – come chiede la legge – a proporre il 30% di film europei. Per loro si tratta di una quota che certi servizi video non potranno mai attuare. Alain Berset replica loro che «le piattaforme hanno già raggiunto questo obiettivo e che le catene televisive arrivano addirittura al 50%».

L’esito della legge sul cinema è incerto. Se il voto fosse avvenuto a inizio aprile, i favorevoli erano solo il 51%, contro il 44% di contrari e il 5% di indecisi. La modifica legislativa è bocciata in particolare dai simpatizzanti di Udc e Plr. È invece molto sostenuta a sinistra (71% Partito socialista e Verdi).