Sorpresa: Mosca potrebbe trattare

La partita in corso fra Putin e Zelensky è uno scontro fra Russia e Stati Uniti
/ 14.11.2022
di Lucio Caracciolo

Come in quasi ogni guerra, mentre sul campo si combatte, in luoghi e tempi imprecisati, opportunamente nascosti, si negozia la pace. O meglio il cessate-il-fuoco. A questa legge non sfugge il conflitto fra Russia e Ucraina. Ovvero fra russi e ucraini con il sostegno della Nato, cioè anzitutto dell’America. Perché se non si considerasse che la partita in corso fra Putin e Zelensky è sul piano strategico uno scontro fra Russia e America, poco se ne capirebbe. Negoziati russo-americani sono stati imbastiti già prima dell’inizio delle ostilità, quando Putin ha proposto a Biden alcune garanzie sul non allargamento ulteriore della Nato che erano evidentemente inaccettabili da qualsiasi amministrazione americana. E tuttavia il filo non si è mai completamente spezzato, malgrado gli insulti e le minacce reciproche, anche dopo il 24 febbraio. Ad almeno due livelli. Il primo è quello militare. Prima, durante e dopo l’invasione russa dell’Ucraina i capi delle due forze armate e i loro uomini di fiducia hanno mantenuto un costante contatto. In uno scontro indiretto fra potenze nucleari, è il minimo sindacale. Nessuno vuole rischiare di interpretare male una mossa altrui, scatenando l’apocalisse per errore.

Il secondo è quello politico. Per mesi Putin e Biden hanno interrotto ogni contatto diretto, almeno ufficialmente. Ma a livelli non troppo inferiori esponenti dei due Governi hanno esplorato, con molta cautela, le intenzioni reciproche. Allo stesso tempo sono stati attivati canali secondari, i cosiddetti back channels o second track diplomatic contacts, di cui alcuni perfino ostentati. Così l’estate scorsa l’ambasciatore Antonov, rappresentante ufficiale di Putin a Washington, si è fatto fotografare mentre discuteva con alcuni messi di Biden al Café Paris, noto ristorante alla moda di Georgetown, dove si va per farsi notare. Incontri di diverso grado e tipo si sono svolti negli Emirati Arabi Uniti e in altri paesi capaci di serbare simili segreti, fino a un certo punto.

Incontri largamente improduttivi ma necessari a evitare derapate involontarie fra atlantici e russi. Viste con un certo grado di sospetto da Kiev, che non vorrebbe trovarsi improvvisamente di fronte a decisioni prese dietro le sue spalle da russi e americani. Non sarà affatto così, assicurano gli americani. Tuttavia forme di pressione su Zelensky sono state esercitate da Washington nei mesi appena trascorsi. La più clamorosa è stata la denuncia dell’attentato compiuto dai servizi segreti ucraini presso Mosca, che è costato la vita a Darja Dugina, figlia di uno dei più cupi teorici dell’anti-occidentalismo russo, Aleksandr Dugin. Un atto di terrorismo apertamente disapprovato dai servizi americani, del quale tuttavia Kiev non si assume ufficialmente la responsabilità. Nelle ultime settimane, la pressione indiretta è avvenuta via stampa. «Washington Post» e «Wall Street Journal» hanno pubblicato articoli, chiaro frutto di veline dell’intelligence Usa, nei quali si comunica che la Casa Bianca ha chiesto a Zelensky di aprirsi al negoziato con Putin. La risposta pubblica del leader kievano è stata secca: negozio con i russi non con Putin; in ogni caso non cederemo nemmeno un centimetro quadrato del nostro territorio.

I russi hanno invece colto la palla al balzo. Prima dichiarandosi pronti a un negoziato senza condizioni. Poi annunciando il ritiro del proprio esercito da Kherson, città chiave dell’Ucraina meridionale, annessa formalmente da Putin. Uno smacco militare gravissimo. Segno di fatica e debolezza sul campo. Ma anche un segnale a Biden che la Russia è disposta a trattare un cessate-il-fuoco e per questo si attesta su una linea difendibile. A confermarlo, l’avanzata costruzione di un vallo attraverso il Donbass, al di qua dei confini delle regioni annesse, a dimostrazione che il Cremlino è pronto a sacrificare parte delle conquiste territoriali, anche perché pressato dalla controffensiva ucraina. Fonti americane lasciano filtrare i termini di una possibile sospensione delle attività militari, favorita dal generale inverno. George Friedman, uno dei più autorevoli analisti geopolitici americani, la riassume in quattro punti. Primo: i russi si ritirano nei limiti del 23 febbraio. Secondo: gli americani cessano ogni aiuto militare a Kiev. Terzo: la Nato garantisce che non accetterà l’Ucraina come socio. Quarto: viene istituito presso le Nazioni unite un fondo per la ricostruzione, con il contributo degli atlantici e della Russia.

Non è ben chiaro chi dovrebbe subentrare ai russi che si ritirano, ma sembrerebbe logico pensare a una forza internazionale con mandato delle Nazioni unite. Di sicuro è una proposta che non piace né a Mosca né a Kiev, ma nessun compromesso può sfuggire alla regola di non contentare tutti. Le probabilità che il conflitto possa essere sedato durevolmente restano comunque basse. Salvo miracoli, dovremo convivere a tempo indeterminato con le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma già ridurre l’intensità del conflitto, forse «congelarlo» per qualche tempo, sarebbe un enorme passo avanti.