«L’India ha votato contro il privilegio. La maggior parte del Paese è fatta di gente che lavora sodo, di gente che ha votato per uno di loro. Penso che il popolo indiano rispetti quelli che si sono fatti da soli, come si dice, e che voglia dei politici capaci finalmente di rispondere del loro operato. E Modi ne ha risposto ogni giorno per i passati cinque anni. L’India, i giovani soprattutto, ha superato ogni tentativo di divisione su base etnica, religiosa o di casta e ha votato per lo sviluppo, con l’affluenza più alta degli ultimi decenni. Mi sembra segno di una democrazia sana e vivace». Parla Smriti Irani, per Twitter «la sterminatrice di re».
La donna che ha sconfitto Rahul Gandhi ad Amethi, una delle roccaforti di famiglia, facendo perdere al Congress il seggio dopo quaranta anni. Irani ha vinto sul candidato a premier dell’opposizione con una maggioranza schiacciante, lasciando increduli perfino i sostenitori del suo partito. La signora, che è stata ministro anche nel precedente governo Modi, è stata appena eletta ministro del Welfare e dell’Infanzia e transitoriamente funge anche da ministro per il Settore Tessile.
La sua storia è una classica storia da sogno americano in versione indiana. La storia di una ragazza di provincia della classe media con molti sogni nella testa e molte ambizioni. Ha cominciato partecipando al concorso di Miss India, senza arrivare in posizioni di rilievo in classifica, ed è diventata in seguito un’attrice celebre partecipando a serie televisive molto popolari: diventando un volto notissimo e vincendo anche per cinque volte di seguito il Television Academy Award come miglior attrice. In seguito ha lavorato in televisione sia come produttrice che come autrice e «quando ero al culmine della carriera di scrittrice e produttrice» ha deciso di entrare in politica. «Sono sempre stata impegnata nel sociale, fin da ragazzina» racconta «e ho deciso di entrare in politica perché credo che l’unico vero modo di cambiare le cose sia cambiarle dall’interno, stare dalla parte in cui le politiche si fanno e non si subiscono. La mia carriera politica non è stata un ripiego, ho lasciato i media quando ero all’apice della carriera».
Dopo aver scalato i ranghi del Bjp, come presidente delle organizzazioni giovanili del partito in Maharashtra e poi come presidente nazionale delle sezioni femminili, è entrata in Parlamento nel 2011. Era stata candidata ad Amethi anche nel 2014, sempre contro Rahul Gandhi, ed era stata sconfitta: «Avevo avuto soltanto 23 giorni per fare campagna elettorale e prepararmi, ma sono stata sconfitta soltanto per qualche migliaio di voti. Così, ho realizzato che c’erano evidentemente delle aspettative che potevano e dovevano essere soddisfatte e mi sono rimboccata le maniche». Detto fatto, tra lo stupore di colleghi e oppositori, ha affittato una casa in città, si è trasferita e, come riconoscono anche i suoi più accesi detrattori, ha cominciato a lavorare misurandosi giorno per giorno con i problemi della gente, viaggiando per tutto il collegio elettorale e rispondendo a bisogni e richieste sia delle comunità che degli individui. E la strategia ha pagato eccome, visti i risultati.
L’unico scheletro nell’armadio che l’opposizione è riuscita a tirare fuori è stata la presunta falsificazione del suo curriculum scolastico. Troppo poco, evidentemente, per metterla fuori gioco. «L’India è cambiata» sostiene Irani «E credo che la mia vittoria ad Amethi sia un segno lampante di quel cambiamento. Un segno del fatto che per un politico, per un rappresentante del popolo, non è più sufficiente visitare la propria circoscrizione elettorale una volta l’anno: sorridere, agitare la mano in segno benedicente e andare via. Se rappresenti il popolo, devi essere al suo servizio ogni giorno per ventiquattro ore al giorno e, soprattutto, devi essere disponibile e accessibile. Essere disponibili, aperti alle richieste della gente è indispensabile. Bisogna essere presenti e lavorare in ogni villaggio, in ogni città.
Per ogni comunità, per ogni credo e per ogni genere. Credo sia questa la ragione del risultato che ho ottenuto. Ma, e parlo da donna, secondo me quello che ha fatto davvero la differenza è stata la costruzione, da parte del governo, di servizi igienici gratuiti. Andare a fare i propri bisogni all’aperto era, per le donne di villaggi e quartieri disagiati, un’umiliazione quotidiana e costante. Questo problema, reale, concreto e quotidiano, non era mai stato una priorità sociale né politica fino all’insediamento del governo Modi. Da donna, e per le donne, penso che i servizi igienici e le bombole a gas gratuite che per molte hanno sostituito il carbone, abbiano avuto un peso fondamentale».
Come un peso fondamentale ha avuto senz’altro il suo modo di proporsi e di rapportarsi sia alla stampa che alla gente comune. La signora è difatti un politico quantomeno anomalo che si fa fatica a inquadrare nella categoria: una che telefona di persona a un giornalista per concordare la data di un’intervista e annunciare la chiamata di un membro dello staff per fissare i dettagli. Una che si rapporta al prossimo senza formalità e senza prosopopea, che sorride spesso e ancora più spesso ride e che regala alla nazione l’immagine di una perfetta signora middle-class, una in cui i tre quarti della nazione trova semplice identificarsi.
Una donna che del suo background «misto» bengali-punjabi e del fatto di essere sposata a un uomo di religione Parsi, una delle minoranze religiose più piccole del mondo, ha fatto un punto di forza e della cordialità nei rapporti umani una bandiera: «Di cognome faccio Irani e appartengo per matrimonio a una minoranza, quella Parsi: forse la minoranza più piccola del mondo. La questione delle minoranze, del rispetto delle minoranze, così come viene posta dall’opposizione, è mal posta e posta in mala fede. La nostra è una società inclusiva: io ho studiato in una scuola cattolica, molti indiani lo fanno, e, come ho già detto, sono sposata a un Parsi.
Questo fa di me che cosa? La gente, in una nazione, deve essere giudicata soltanto sulla base del contributo dato alla società, non per le sue convinzioni religiose. Le leggi devono essere promulgate per i cittadini nel loro insieme, e non su base religiosa o etnica. Per me l’ideologia, alla fine dei conti, importa poco» dice, «l’unica ideologia che davvero conta è quella costruita attorno ai bisogni delle persone: se prendi in considerazione questi, non c’è più differenza, non c’è più distanza fra te e la gente, non c’è più divario. E partendo da questo, dai bisogni delle persone, riesci a costruire anche una nazione. Il mio partito crede nel concetto di “servizio” e ci credo anche io. Sei al servizio della gente, e devi raggiungere anche l’ultimo della fila». Con questa ricetta, a quanto pare, un Davide paffuto in sari e bindi è riuscito a sconfiggere un Golia intellettuale con tutto il peso di una dinastia alle spalle. E questa, a quanto pare, è l’India di domani.