Sembra un romanzo di spionaggio ambientato durante la Guerra fredda più che una storia d’attualità. Una strana malattia colpisce funzionari dell’amministrazione americana all’estero: diplomatici, membri delle forze armate, dell’intelligence e a volte anche le loro famiglie. Tutte le vittime danno delle descrizioni piuttosto diverse dei sintomi: un forte ronzio, dolore alla testa, senso di vertigini, nausea, problemi motori, perfino sanguinamento nasale e danni cerebrali. Sono quelli che finora la Casa bianca ha definito «problemi di salute inspiegati».
È nel 2016, nella capitale cubana, che per la prima volta si verifica la cosiddetta Sindrome dell’Avana. Diversi funzionari dell’ambasciata americana e di quella canadese lamentano problemi fisici che hanno a che fare con il sistema nervoso. La prima risposta che circola, nei corridoi del Dipartimento di Stato, è anche la più spaventosa: è un attacco con armi sonore o energetiche. L’ipotesi viene confermata da alcuni studi preliminari, ma soprattutto da un pregiudizio legato al controspionaggio: a studiare armi di questo tipo sono potenze nemiche come Russia e Cina, e non può essere un caso che per la prima volta l’incidente si sia verificato a Cuba, tradizionalmente alleata della Russia e con un rapporto molto difficile con le ambasciate occidentali. E poi c’è un precedente: tra il 1953 e il 1976 l’ambasciata degli Stati Uniti a Mosca fu l’obiettivo di quello che è passato alla storia come il Moscow signal. Per decenni i sovietici hanno infatti trasmesso microonde all’interno della sede diplomatica statunitense. La teoria più accreditata è che il Moscow signal servisse ad attivare dei sistemi di spionaggio, ma all’epoca dei fatti diversi scienziati americani, tra cui Allan Frey, rifiutarono la versione delle microonde non dannose per l’uomo. Si diffuse l’idea che i diplomatici americani fossero in realtà le cavie sovietiche per studiare armi non convenzionali basate su onde elettromagnetiche.
Verità o fantasia? Guerra fredda o psicosi di massa? Mentre la Russia nega di essere responsabile delle strane malattie che colpiscono i funzionari americani e canadesi, la Sindrome dell’Avana si espande, come un’epidemia, e inizia a colpire in luoghi lontani e apparentemente casuali: l’America registra casi in Cina, a Taiwan, in Germania, in Austria, in Colombia, in Australia. Nel novembre del 2020 perfino a Washington DC almeno due persone – un funzionario del Consiglio nazionale di sicurezza e un dipendente della Casa Bianca – vengono colpite dalla sindrome. Nell’agosto del 2021 un viaggio ad Hanoi della vicepresidente Kamala Harris è ritardato di qualche ora per un possibile caso nell’ambasciata statunitense. Qualche tempo dopo, durante un viaggio top secret del direttore della Cia, William Burns, in India, un membro dello staff dell’agenzia di intelligence si ammala, e sembra molto strano a tutti, considerata la segretezza della missione. A oggi sarebbero diverse centinaia le persone che hanno sofferto o che ancora subiscono le conseguenze della Sindrome dell’Avana. Il Canada ha chiesto ai suoi diplomatici di evitare di portare con sé le proprie famiglie, soprattutto a Cuba. Che cosa sia però questa strana malattia ancora non si sa.
E questo è un problema, soprattutto per le vittime. Perché se si trattasse di un «attacco di una potenza straniera» allora sarebbe un affare di sicurezza nazionale e le vittime sarebbero protette. Ma finché i casi non vengono catalogati secondo un ordine preciso, con una diagnosi precisa, allora le vittime restano soltanto dei dipendenti pubblici con problemi di salute. È soprattutto questo il problema «politico» della Sindrome dell’Avana. Nell’ottobre scorso il presidente americano Joe Biden ha firmato una legge che prevede dei rimborsi finanziari per chi è stato colpito dalla malattia, che in America significa soprattutto: cure mediche gratuite. Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca, ha detto: «Prendiamo sul serio ogni incidente segnalato e ciò che vogliamo fare è assicurarci che il nostro team di sicurezza nazionale utilizzi ogni risorsa a nostra disposizione per farlo». Ma senza una certezza sulle cause della patologia è difficile.
Il primo report della Cia sulla Sindrome dell’Avana, reso noto il mese scorso, considera improbabile che dietro al disturbo ci sia un «attore esterno», cioè una potenza con un’arma non convenzionale che colpisce selettivamente i funzionari americani. L’agenzia di intelligence più famosa del mondo ha spiegato ai media di aver trovato, nella maggior parte degli oltre mille pazienti esaminati, cause mediche verificabili: a volte si tratta di malattie non precedentemente diagnosticate, a volte di cause ambientali, altre volte semplicemente di stress. La Cia ha detto di avere individuato soltanto una ventina di casi effettivamente «inspiegabili», sui quali continuerà a investigare. Il dossier della Cia smentisce in parte quello indipendente della National Academies of Sciences americana, che pochi mesi prima aveva dato la colpa a diversi fattori, tra cui le famose microonde. Il prossimo report sulla Sindrome dell’Avana è quello commissionato a un team di esperti dal Dipartimento di Stato, ma nel frattempo i media e l’opinione pubblica hanno paura che l’Amministrazione americana decida di archiviare il dossier.
Un recente editoriale non firmato sul «Washington Post» scriveva che il report della Cia non esclude la possibilità che attori minori – magari contractor – siano responsabili degli attacchi, né esclude che la colpa sia di più attori. «Questo potrebbe spiegare i diversi luoghi in cui le vittime riferiscono di essere state colpite, anche se un gruppo così numeroso di aggressori aumenterebbe pure le possibilità che i colpevoli non vengano incriminati. Finora non lo è stato nessuno. La comunità dell’intelligence deve continuare a scavare nella questione e speriamo che un rapporto di esperti che ha esaminato il materiale classificato sarà presto disponibile». Una sfida inquietante, su cui anche i giornali più liberal chiedono a Biden delle risposte.