In ossequio alle regole della democrazia, il 28 novembre prossimo, il popolo svizzero dovrà tornare a pronunciarsi sulla legge COVID-19, già approvata lo scorso 13 giugno con il 60,2% dei voti. Ma come giustificare questo ritorno alle urne a così breve distanza? Semplicemente perché la legge COVID-19 evolve al ritmo del coronavirus. Di conseguenza, in giugno è stata accettata la versione del 25 settembre 2020 della legge federale in questione, combattuta dal referendum, mentre alla fine di novembre dovremo pronunciarci sugli adeguamenti della legge apportati dalle Camere federali il 19 marzo 2021, essendo a loro volta combattuti dal referendum. Al centro di questa nuova votazione vi sono vari aspetti legati alla gestione della pandemia, in particolare l’utilizzo del certificato COVID. Il Consiglio federale non dovrebbe comunque trovarsi confrontato a un voto di sfiducia il 28 novembre. Infatti, almeno stando ai sondaggi, vi sarebbe un chiaro sostegno alla linea governativa: i favorevoli si attestano al 61% e i contrari al 36%.
L’obiettivo iniziale della legge era di aiutare finanziariamente le imprese e le persone duramente colpite dalle misure di lotta alla pandemia. Nel corso dei vari passaggi in parlamento, la legge è stata rimpolpata: i settori sostenuti sono più numerosi e il suo campo d’applicazione più vasto. Il secondo referendum prende ora dunque di mira gli emendamenti alla legge adottati dal parlamento durante la sessione primaverile di marzo. Gli oppositori alla legge COVID-19 contestano in particolare l’introduzione del certificato sanitario e il sostegno federale al tracciamento dei contatti. A loro parere, la normativa attribuisce troppo potere al Consiglio federale e discriminerebbe le persone non immunizzate.
Va sottolineato che con questa seconda votazione sono presi di mira unicamente i citati adeguamenti legislativi dello scorso marzo, mentre le disposizioni della legge COVID-19 approvate in giugno restano in vigore, indipendentemente dall’esito dello scrutinio. Se dalle urne dovesse emergere un «no», le modifiche in questione cesserebbero di applicarsi un anno dopo l’adozione da parte del parlamento, ossia il 19 marzo 2022, conformemente all’art. 165 della Costituzione federale. Tra i provvedimenti che verrebbero a cadere figurano l’aumento del numero delle indennità giornaliere per le persone disoccupate, l’estensione a 24 mesi delle indennità per lavoro ridotto o l’indennizzo per gli organizzatori di eventi. Inoltre, in caso di bocciatura, non sarà più possibile rilasciare certificati COVID, nemmeno per i viaggi e i soggiorni all’estero, né organizzare programmi per la promozione dell’approvvigionamento di materiale medico importante.
Difendendo la necessità di approvare gli adeguamenti, il ministro della sanità Alain Berset ha sottolineato che «è il certificato COVID a permetterci di ritrovare una vita sociale quasi normale». Grazie al certificato è possibile organizzare manifestazioni ed eventi che altrimenti sarebbero chiusi o bloccati. Questo strumento «ci consente di ritornare al ristorante, al museo, al cinema o alle sedute d’allenamento». Il suo obiettivo è di «limitare i rischi d’infezione e l’esplosione dei casi». Secondo il Consigliere federale, «bocciare il certificato significa mettere a repentaglio il comprovato sistema di gestione della crisi».
Per gli oppositori, ossia gli Amici della Costituzione, la Rete scelta vaccinale (Réseau choix vaccinal), l’Alleanza d’azione dei cantoni primitivi, il certificato introduce una «apartheid sanitaria». Discrimina le persone non immunizzate da quelle vaccinate, guarite o testate negativamente. I non vaccinati sono esclusi dalla vita sociale, dalla formazione e dal mondo del lavoro e sono quindi costretti a farsi vaccinare. Secondo gli avversari degli adeguamenti dello scorso marzo, far dipendere la partecipazione alla società dall’avvenuta vaccinazione è «anticostituzionale». Inoltre, non vi sono minacce tali da richiedere di compiere un passo del genere.
Per taluni oppositori, la Svizzera è addirittura diventata un «regime autoritario» o una «dittatura fascista». Altri sono preoccupati da una «sorveglianza elettronica di massa», come si può riscontrare in Cina. Dando vita a numerose manifestazioni di protesta in molte località della Svizzera, gli oppositori, denunciando il modo di agire di Berna, chiedono soprattutto la fine delle restrizioni, sebbene gran parte di quest’ultime, come l’obbligo di indossare la mascherina sui trasporti pubblici, la chiusura di determinate strutture o il divieto di organizzare eventi, siano regolate da un’altra legge, quella sulle epidemie, approvata dal 60% dei votanti nel 2013.
Dunque, un no il 28 novembre non si tradurrebbe nella fine di queste misure di lotta sanitaria che potranno essere mantenute, prorogate, reintrodotte, estese a nuovi settori o soppresse. Il porto della mascherina sarebbe sempre obbligatorio nei trasporti pubblici, nei negozi e nelle aree chiuse dei ristoranti. Continuerebbe anche il tracciamento dei contatti, già oggi di competenza dei Cantoni, dato che tutti questi provvedimenti dipendono dalla citata legge sulle epidemie.
Comunque sia, per i comitati referendari, le leggi vigenti sono sufficienti per proteggersi dal coronavirus e da altre malattie. La modifica legislativa in votazione creerebbe una frattura della Svizzera. Le loro argomentazioni sembrano convincere una crescente fetta della popolazione. Le manifestazioni «anti-pass» si moltiplicano in tutta la Svizzera, anche con risvolti violenti. Gli Amici della Costituzione annunciano di disporre di 17’000 membri e godono dell’appoggio dell’UDC. Questa formazione politica aveva lasciato libertà di voto in occasione del primo referendum contro la legge COVID.
I sostenitori degli emendamenti approvati dalle Camere potrebbero invece trovarsi in affanno a causa di una collegialità governativa talvolta a «geometria variabile». In merito, basti ricordare che il consigliere federale Ueli Maurer ha preso parte a un evento dell’UDC, indossando una t-shirt dei Freiheitstrychler, un gruppo svittese di suonatori di campanacci, fortemente contrario alle misure contro il coronavirus, gruppo che ha partecipato a diverse manifestazioni, alcune delle quali non autorizzate. Le immagini del ministro delle finanze hanno provocato forti critiche sulle reti sociali e Ueli Maurer è stato accusato di aver violato il principio della collegialità.
Perdono smalto anche le argomentazioni governative concernenti gli aiuti finanziari, previsti dalla legge COVID-19 per far fronte alle conseguenze socio-economiche della pandemia. Infatti, con la normalizzazione della situazione, si è attenuato anche il numero delle persone che richiedono questi aiuti finanziari. Va tuttavia precisato che la parte economica delle misure decise dal parlamento in marzo è poco contestata. Nello specifico, si tratta, tra l’altro, di aumentare gli aiuti finanziari, di estendere le indennità per perdita di guadagno ai lavoratori indipendenti e le indennità per lavoro ridotto, di concedere indennità giornaliere supplementari all’assicurazione contro la disoccupazione per le persone senza lavoro, nonché di intervenire in altri ambiti.
Nel settore sanitario, grazie alle modifiche della legge COVID-19, il Consiglio federale può acquistare e far produrre materiale medico, come, per esempio, apparecchi respiratori, medicamenti, vaccini, strumenti per i test, disinfettanti, mascherine, guanti e altro materiale protettivo. Gli adeguamenti della legge offrono alcune agevolazioni alle persone vaccinate o guarite, in quanto il pericolo di trasmissione è molto più contenuto. Non sarà quindi necessario che si sottopongano a una quarantena dopo essere entrate in contatto con una persona risultata positiva al test.
A far discutere è l’utilità del certificato sanitario, grazie al quale – ricorda il Consiglio federale con il sostegno di quasi tutti i partiti e i cantoni – la popolazione ha potuto riassaporare i piaceri della vita di tutti i giorni. Orbene, l’introduzione di questo certificato che consente di documentare in modo uniforme e non falsificabile l’avvenuta vaccinazione anti-COVID-19, la guarigione dalla malattia o l’esito negativo di un test, resta l’ostacolo principale tra fautori e contrari.
Mentre si fa sempre più concreta la terza inoculazione di vaccino, il Consiglio federale – come ha annunciato Alain Berset – sta valutando l’opportunità di estendere di 6 mesi la validità del certificato. Attualmente, il pass sanitario ha una durata di 12 mesi. Ciò significa che, per le persone che sono state vaccinate per prime in Svizzera, la validità del certificato COVID scadrà nei prossimi mesi. Si tratta ora di sapere se la proroga sarà accettata anche dagli altri Paesi.
Riconosciuto a livello internazionale, volontario e accessibile a tutti, questo pass sanitario, è sicuramente uno strumento importante nella lotta al coronavirus, nonostante le critiche e le manifestazioni di piazza di coloro che chiedono «più libertà». Eppure, è proprio il certificato a offrire maggiore libertà: facilita non soltanto i viaggi all’estero, ma anche le attività sul posto. Nel nostro Paese, il pass riduce il rischio epidemiologico di determinati eventi, permettendone lo svolgimento. L’utilizzo del certificato, nel caso in cui la situazione sanitaria dovesse nuovamente peggiorare, potrebbe evitare di dover imporre nuove chiusure, sostengono ancora i suoi fautori.
Oltre il 70% degli adulti è completamente vaccinato. Stando al Consiglio federale, fino all’estate scorsa erano stati rilasciati circa 7,5 milioni di certificati. Come detto, se in votazione una maggioranza popolare dovesse bocciare la modifica della legge, a partire dal 19 marzo prossimo non verrebbe più rilasciato alcun certificato, che sarà però utilizzato al di là di questa data nel resto del mondo. Si tratterebbe di una situazione problematica per i viaggi all’estero, ciò che potrebbe convincere i cittadini ad accettare il testo in votazione, anche perché il popolo sembra condividere l’attuale gestione della crisi da parte del governo federale.