Si apre la presidenza Biden

Trump è il primo presidente sottoposto per due volte al procedimento di impeachment. Ora dovrà passare al Senato, quando The Donald avrà già lasciato (suo malgrado) la Casa Bianca
/ 18.01.2021
di Federico Rampini

Donald Trump è entrato nella storia come il primo presidente degli Stati Uniti sottoposto per due volte al procedimento di impeachment. L’articolo di legge dell’interdizione lo accusa di «incitamento all’insurrezione». La Camera lo ha votato dopo che la presidente Nancy Pelosi, democratica, ha definito Trump «un pericolo tuttora presente». Ci sono state poche defezioni a destra, solo 10 deputati repubblicani hanno votato a favore dell’impeachment, tra questi la figura più autorevole è Liz Cheney, figlia dell’ex vicepresidente di George W. Bush. Il capogruppo della destra alla Camera, Kevin McCarthy, ha denunciato «le responsabilità di Trump nell’assalto», però ha respinto l’impeachment come «fonte di divisioni». 197 repubblicani hanno votato no.

Anche il secondo impeachment però rischia di fare la stessa fine del primo, che risale a un anno fa. Per arrivare a conclusione, e tradursi nell’interdizione del presidente, il procedimento deve passare al Senato dove occorrono due terzi dei voti. Quando il Senato comincerà a discutere e a votare, Trump avrà già lasciato la Casa Bianca. Alcuni repubblicani sostengono che questo renderebbe anti-costituzionale l’impeachment stesso; molti democratici al contrario sostengono che il procedimento può e deve continuare. Una condanna «postuma» avrebbe tra i suoi effetti collaterali con ogni probabilità l’interdizione dai pubblici uffici e quindi renderebbe impossibile un’eventuale ricandidatura di Trump nel 2024.

Nei giorni precedenti l’Inauguration Day il Congresso degli Stati Uniti sembrava diventato un caserma: invaso da soldati in divisa accampati nei corridoi attorno alle aule parlamentari, con pile di fucili automatici accatastati lungo i muri. Tutto il centro di Washington si è trasformato in una zona di occupazione militare, con autoblindo ovunque, barriere di cemento, transenne sempre più alte e insormontabili a difesa di un perimetro allargato: non solo il Campidoglio e la Casa Bianca ma tutta l’area detta The National Mall, l’enorme spianata verde dominata dall’obelisco, è diventata off-limits per chi non faccia parte dell’imponente apparato di sicurezza.

L’arrivo di ventimila soldati della Guardia Nazionale, la militarizzazione della capitale in stato d’assedio, i divieti sempre più invasivi che si aggiungono al coprifuoco: tutto è stato pianificato per blindare e desertificare Washington. Inauguration Day è il giorno che l’Fbi e il Secret Service considerano di massimo pericolo per la sicurezza nazionale e per l’incolumità dei leader. Diverse milizie e organizzazioni di estrema destra hanno chiamato a nuove insurrezioni, nuovi attacchi armati per impedire l’insediamento di Biden alla Casa Bianca. La cerimonia solenne dell’insediamento è stata ridotta ai minimi termini, con restrizioni sempre più severe per escludere ogni pubblico: che siano potenziali bersagli o potenziali terroristi. Biden ha rinunciato a viaggiare in treno dalla sua Wilmington – com’è solito fare – per il timore di attentati contro la linea ferroviaria Amtrak. Bombe e cariche esplosive potrebbero essere la prossima arma delle milizie. La sindaca di Washington, Muriel Bowser, fa la sua parte rendendo quasi impossibile circolare: ampie zone della città vengono proibite al traffico, 13 stazioni della metropolitana sono chiuse, i parking sono inaccessibili.

Le misure di sicurezza sono così estreme che si configura un altro rischio: i gruppi estremisti possono dirottare la violenza altrove, verso bersagli meno protetti. Tutte le Capitol Hill dei 50 Stati sono a rischio. Il 6 gennaio in simultanea con l’attacco al Congresso della capitale federale, delle aggressioni armate avvennero contro le sedi parlamentari e di governo negli Stati del Minnesota e di Washington (che è sulla costa settentrionale del Pacifico, all’estremo opposto rispetto all’omonima città). Non rassicurano le ultime rivelazioni sull’assalto del 6 gennaio, secondo cui alcuni parlamentari repubblicani avrebbero potuto fare da «talpa per gli assalitori».
Ma la ricostruzione della tragica giornata del 6 gennaio non può limitarsi alla dinamica «militare» di quell’assalto dalla scenografia golpista; né chiamare in causa soltanto le dietrologie sulla mancata protezione del Congresso da parte delle varie polizie e corpi militari che avrebbero potuto fare la differenza. Oltre ad aver schierato pochi uomini e male organizzati, è intervenuto un fattore «ambientale» che ora appare ancora più grave. Gli stessi poliziotti di guardia al Campidoglio non avevano la sensazione di avere a che fare con una manifestazione ostile. Anzi, qualcuno è stato visto mentre si faceva dei «selfie» con i manifestanti.

Nella folla trumpiana c’erano magliette con lo slogan Blue Lives Matter: è la risposta a Black Lives Matter, che sostiene la difesa delle vite dei poliziotti (divise blu). La rivelazione sugli agenti venuti da altri Stati non per garantire l’ordine, ma per partecipare al raduno, conferma che «l’insurrezione» godeva di appoggi e complicità proprio tra chi avrebbe dovuto impedire la violenza. Le immagini degli scontri dicono che la collusione si è dissolta di fronte all’aggressione: tra le cinque vittime di quella tragica giornata c’è anche un ufficiale di polizia del Campidoglio, morto dopo essere stato colpito alla testa con un estintore.

Ma le omertà e i silenzi sull’insurrezione del 6 gennaio non sono solo a destra. È evidente che non ci sono state vaste manifestazioni a favore del Congresso violato. In seguito a quell’attacco la reazione è stata fortissima tra i politici (democratici) e i media (progressisti). Quasi niente nelle piazze d’America. La sinistra che le aveva riempite dopo l’uccisione di George Floyd l’estate scorsa, non ha sentito il bisogno di manifestare solidarietà con le istituzioni aggredite. Nulla che assomigli a una mobilitazione in difesa della democrazia.
Una chiave di lettura la prendo da Michael Lind, docente alla University of Texas. In un’analisi uscita sul sito Tablet, Lind ricorda che l’assalto alla collina del Campidoglio di Washington ha avuto un precedente otto mesi prima, un’insurrezione di sinistra sull’altra costa degli Stati Uniti.

Fu l’8 giugno 2020: quel giorno la polizia di Seattle evacuò nel panico il Commissariato East sulla collina del Campidoglio di quella città. «Milizie radicali dell’estrema sinistra – ricorda Lind – assaltarono, saccheggiarono e devastarono la sede della polizia. Da quel momento e per i successivi 24 giorni il governo dello Stato di Washington permise che degli aspiranti rivoluzionari creassero una Comune anarchica, realizzando il loro sogno di “abolire la polizia”, con l’appoggio di gran parte della sinistra… La Comune anarchica fu creata sull’onda delle proteste nazionali contro l’uccisione avvenuta il 25 maggio di un afroamericano del Minnesota, George Floyd, da parte della polizia. Nella Comune anarchica ci furono sparatorie, in cui due afroamericani persero la vita, prima che la polizia la chiudesse il primo luglio». Lo slogan «tagliare fondi alla polizia» nel frattempo era diventato nazionale, adottato dai sindaci democratici di New York e Los Angeles, con il risultato di spostare ancora più a destra i sindacati degli agenti.

La transizione più turbolenta nella storia contemporanea degli Stati Uniti crea altri problemi per la sicurezza nazionale: una delle ragioni per cui Biden è cauto sull’impeachment, è il timore che ritardi ulteriormente l’approvazione da parte del Senato del suo futuro Esecutivo. Il presidente eletto ha fretta di incassare la conferma dei suoi ministri più importanti, a cominciare da quello della Difesa: il finale raccapricciante dell’Amministrazione Trump è un regalo insperato a tutti i nemici dell’America e il pericolo di attacchi da parte di potenze straniere in questa «finestra di opportunità» non viene sottovalutato.

Biden teme che l’impeachment distragga l’attenzione dall’agenda di governo dei suoi primi 100 giorni, oltre a ritardare la conferma dei suoi membri di gabinetto. Per non mettersi di traverso e non inaugurare la sua presidenza all’insegna di una divergenza col suo stesso partito, Biden chiede ai leader democratici del Senato di «biforcare» l’agenda dei lavoratori parlamentari per consentire che impeachment e nomine possano procedere di pari passo. «L’impeachment non deve distrarre o ritardare il compito prioritario di offrire aiuto economico ai lavoratori»: lo dice il capo del sindacato Afl-Cio, Richard Trumka, e riflette il pensiero di Biden.
L’impeachment al Senato può interferire con due agende di lavori: la ratifica delle nomine, senza la quale Biden non ha un governo; e l’avvio della prossima manovra di spesa pubblica. Il nuovo presidente non vuole iniziare il suo mandato con lo sguardo rivolto all’indietro, impigliato negli strascichi velenosi dell’assalto al Congresso. Vuole subito affrontare le due sfide, collegate tra loro, della vaccinazione e della ripresa economica. Per farlo deve mettere in cantiere una manovra in tempi rapidi.

All’interno del provvedimento – nei desideri di Biden – deve esserci un trasferimento di duemila dollari alle famiglie sotto una certa soglia di reddito (quello che peraltro avrebbe voluto Trump e non riuscì a ottenere dai suoi senatori repubblicani alla vigilia di Natale); più un nuovo prolungamento delle indennità di disoccupazione; più una robusta iniezione di fondi per la campagna di vaccinazione; e trasferimenti dal centro alla periferia per alleviare il disastro della finanza locale, peraltro impegnata in prima linea nell’operazione vaccini (sono i singoli Stati il perno dell’organizzazione logistica). Biden ha scelto come primo approccio di cercare un consenso bipartisan per questa manovra.