La settimana che si è conclusa ha confermato una rappresentazione della guerra in Ucraina come «scontro di civiltà». Lo hanno ribadito i due discorsi simmetrici e contrapposti di Joe Biden e Vladimir Putin. Da una parte: l’Ucraina come simbolo di tutti i valori del mondo libero, per cui il nostro destino si gioca nella sua difesa. Dall’altra: la Russia come baluardo dei valori tradizionali, da difendere contro un Occidente perverso e decadente, oltre che aggressivo e deciso a umiliare Mosca.
La notizia su colloqui tra le due parti in corso in Svizzera, che ha avuto poca risonanza negli Stati Uniti, è stata smorzata dalla precisazione che si tratta di colloqui di basso livello. Quindi forse soltanto un modo per mantenere un canale di comunicazione aperto, in attesa di tempi migliori. Ma migliori per chi? Ciascuno è ancora convinto di poter vincere, o comunque non vuole sedersi a un tavolo di vero negoziato se non dopo aver rafforzato la propria posizione.
Il fantomatico «piano cinese di pace» è destinato a sgonfiarsi come il pallone-spia? Le due vicende sono collegate. Se la Cina volesse davvero mediare, cioè spingere Putin a fare concessioni, non avrebbe reagito in modo così duro dopo essere stata colta in flagranza di spionaggio sui cieli americani.
Un anno di guerra dovrebbe indurci a riflettere anche su come l’abbiamo raccontata e analizzata noi. Perché tante previsioni sull’Ucraina si sono rivelate clamorosamente errate negli ultimi dodici mesi? Provo a elencare, per capitoli, le principali smentite che la realtà ha inflitto ai nostri pregiudizi.
1. Ma quale invasione?
«Putin non invaderà, vuole solo garanzie sulla sicurezza della Russia». Questo diceva la maggioranza degli osservatori e dei leader politici europei, alla vigilia dell’attacco. Putin ha distrutto quel capitale di credibilità, ha sprecato una fase in cui l’Occidente lo considerava un genio strategico. Ha costretto l’Europa a emanciparsi dal suo gas, perdendo così la più formidabile arma di pressione nei nostri confronti.
2. Una vittoria lampo
La vittoria sarà facile e veloce per Putin. Questa era una delle ragioni per cui molti leader occidentali erano pronti a concedere di tutto alla Russia: a cominciare da una neutralità ucraina che la consegnava al destino di Stato-satellite di Mosca. Da che cosa nasceva questa previsione, spazzata via dalla resistenza ucraina? Da una sopravvalutazione delle forze armate russe, legata ad alcuni exploit (Cecenia, Georgia, Siria) studiati poco e male. Da una sottovalutazione del nazionalismo ucraino: in molti hanno creduto alla propaganda di Putin secondo cui l’Ucraina non è mai stata una vera nazione bensì soltanto una costola della Russia. E quindi avrebbe dovuto accogliere a braccia aperte l’armata di Putin, almeno in alcune regioni. Ignoranza storica e pregiudizi filo-russi hanno contribuito. Attenzione al rischio opposto. Un anno pieno di sorprese negative per le forze armate russe, non deve indurci a pensare che i generali di Putin non possano imparare dai propri errori.
3. La crisi energetica
Apocalisse energetica. Per mesi dopo l’inizio dell’invasione, molti descrivevano un’Europa sull’orlo di una terrificante penuria energetica, condannata a un inverno di gelo e stenti. I Paesi europei hanno dimostrato flessibilità nel diversificare le proprie fonti, andando a cercare energia altrove. Il sistema delle imprese ha reagito accelerando i risparmi energetici e l’innovazione. Le fasce sociali più deboli sono state aiutate grazie ai bilanci pubblici. Perché tante previsioni allarmiste e catastrofiste? Tendiamo a sottostimare l’elasticità tipica dell’economia di mercato, che reagisce con prontezza agli aumenti di prezzi o alle scarsità. Infine sottovalutiamo la capacità di risposta dei sistemi politici democratici. Un diffuso pregiudizio dice che le dittature sanno reggere meglio gli sforzi bellici prolungati, ma la storia non conferma questo teorema.
4. La mancanza di cibo
Apocalisse alimentare. Idem come sopra. A un certo punto del 2022 sembrava che ci fosse la carestia alle porte. È bene ricordare questo dato: siamo otto miliardi sul pianeta ma la produzione agricola è in grado di sfarmare dieci miliardi di persone. La povertà, non la scarsità, è la ragione per cui esistono ancora centinaia di milioni di denutriti e sottonutriti. Povertà e diseguaglianze esistevano prima di questa guerra.
5. La forza delle sanzioni
Le sanzioni costringeranno la Russia a sedersi al tavolo di negoziato. È dai tempi di Mussolini in Etiopia che le sanzioni internazionali falliscono. Lo stesso dicasi per Cuba, Corea del Nord, Iran. Tutti questi Paesi hanno trovato anche dei sistemi per aggirare almeno in parte l’embargo, figurarsi se la Russia non si era preparata per fare lo stesso. Peraltro il regime di sanzioni contro la Russia oggi vede schierato tutto l’Occidente insieme con alleati importanti come Giappone e Corea del Sud. Ma gran parte del mondo, inclusa una potenza filo-occidentale come l’India, il Golfo Persico, l’Africa e l’America latina, non partecipa.
6. La buona influenza cinese
La guerra finirà con la mediazione cinese. Xi Jinping sta con Putin a tutti gli effetti. Anche se questa guerra ha procurato delusioni e costi a Pechino, la Cina vede la sua utilità in termini di «distrazione» dell’America dall’Estremo Oriente.
7. Il dittatore sta male
Putin sta per sparire: golpe o malattia terminale. Lo abbiamo visto tutti godersi un bagno di folla nel comizio di pochi giorni fa a Mosca. Non sembrava un uomo malato, né assediato dagli oppositori. Gli unici attacchi visibili contro di lui all’interno della Russia, vengono da falchi della destra nazionalista come il capo della Divisione Wagner. Il fatto che lui li tolleri lascia aperta una supposizione: che sia lui stesso a voler far credere all’Occidente che una sua caduta sarebbe seguita da un regime ancora più aggressivo. In ogni caso dietro questa profezia (morte o golpe) c’è anche la convinzione, o la speranza, che Putin sia l’unico vero problema. Questo significa non fare i conti con la dimensione patologica, paranoica, di un imperialismo russo che ha messo radici anche nella cultura popolare. La Germania nazista dovette «rieducare» se stessa dopo il 1945 per purificarsi di una malattia che era nazionale, non era esclusiva di Hitler ed era già ben visibile nel Primo Reich.