Lontano 11 milioni di chilometri dalla Terra, con un diametro di «soli» 160 metri, Dimorphos non era un obiettivo facile per la Nasa. E invece la missione Dart – Double asteroid redirection test – a fine settembre è stata un successo. Un esperimento molto atteso, quello dell’agenzia spaziale americana, che lavorava da anni a un protocollo utile per una missione «da niente»: salvare la Terra. Partito quasi un anno fa sul razzo Falcon 9 del colosso spaziale di proprietà di Elon Musk, SpaceX, dalla base militare Vandenberg della Space force americana, in California, il piccolo veicolo spaziale chiamato Dart e costato circa 344 milioni di dollari aveva una missione «senza ritorno»: entrare in collisione con un asteroide e capire come ridirezionarne la traiettoria.
L’eventualità che un asteroide sufficientemente grande colpisca la Terra e faccia danni irreversibili è molto bassa: gli scienziati parlano di un episodio ogni 500mila anni per impatti con asteroidi di circa un chilometro di diametro, mentre le collisioni con asteroidi di grandi dimensioni (con un diametro di oltre 5 chilometri) avvengono più o meno ogni 20 milioni di anni. Gli oggetti di più piccole dimensioni, in realtà, entrano spesso in collisione con la Terra, ma l’energia rilasciata dall’asteroide che colpisce il nostro pianeta dipende dal suo diametro e quindi gli scienziati considerano minacciosi soltanto gli asteroidi di dimensioni medio-grandi, considerata anche la loro velocità e l’inclinazione.
Nella scienza divulgativa si racconta spesso la storia del cosiddetto «evento di Tunguska», che avvenne nel 1908. Allora non disponevamo della tecnologia che abbiamo adesso e quando il frammento di una gigantesca cometa colpì la Terra, distrusse circa 2100 chilometri quadrati in Siberia, con una potenza equivalente a cento volte la bomba atomica sganciata su Hiroshima. La missione Dart serviva proprio a capire se l’umanità disponesse della tecnologia e dei protocolli tempestivi per scongiurare oggi un evento simile.
Al di là dei risultati scientifici, come sempre tutto quel che riguarda lo spazio riguarda anche la politica internazionale. La «minaccia extraterrestre» costringe i Paesi a interrogarsi sulle procedure di cooperazione che verrebbero attuate nel caso di una crisi su scala globale. Serve fiducia per collaborare, capacità comunicative e una certa dose di generosità nel mettere a disposizione le proprie tecnologie. Nel film Arrival del 2016, diretto da Denis Villeneuve e tratto da un racconto dello scrittore di fantascienza Ted Chiang, quando compaiono 12 strane navi extraterrestri in 12 punti diversi sulla Terra, tutti vogliono collaborare per decifrare quello che sembra il loro linguaggio. Ma è un equilibrio che dura poco e che poi lascia il passo alla frustrazione. I primi a mollare sono i cinesi, seguiti dai russi e dai pakistani, che iniziano a bombardarle.
Sei anni fa il Governo americano ha deciso di costituire, all’interno della Nasa, il Planetary Defense Coordination Office, un ufficio con il compito specifico di osservare e studiare strategie, anche internazionali, per difendere la Terra da collisioni con oggetti extraterrestri. Tre anni prima nella regione a sud degli Urali, in Russia, un meteorite di circa 15 metri di diametro era esploso sopra alla città di Celjabinsk, non uccidendo nessuno ma ferendo più di un migliaio di persone e danneggiando interi edifici. Allora i Governi di Mosca e Washington si erano resi conto di una cosa: nessuna delle due potenze aveva sufficienti tecnologie per abbattere oggetti di quel tipo. L’America, con il suo ufficio nella Nasa e con la recentissima missione Dart, ha deciso di diventare leader nel campo, un po’ quel che succede nel celebre film Armageddon del 1998 diretto da Michael Bay, dove Stati Uniti e Russia collaborano alla missione, ma poi a portarla avanti è l’America in una celebrazione del mito eroico statunitense.
Esiste anche un’agenzia dell’Onu che si occupa di creare protocolli di comunicazione e di cooperazione in caso di minacce che vengono dallo spazio. Si chiama Ufficio delle Nazioni unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico, più nota con l’acronimo di Unoosa. È l’ufficio che si occupa di aiutare le Nazioni in via di sviluppo a far partire i loro programmi spaziali e di monitorare tutto ciò che i Paesi membri e le aziende private mandano in orbita. Il problema è che negli ultimi anni, più che di meteoriti, asteroidi e comete, l’Unoosa ha dovuto farsi carico dei protocolli per evitare che i rifiuti spaziali diventino una minaccia per la Terra. A fine luglio i rottami del primo stadio del razzo cinese Lunga marcia 5B sono rientrati nell’atmosfera terrestre in modo incontrollato, cadendo senza danni nell’Oceano indiano. Nel 2018 era accaduta una cosa simile con parti della vecchia stazione spaziale cinese e poi di nuovo, due anni fa, i rottami di un razzo cinese sono precipitati su alcuni villaggi in Costa d’Avorio, creando danni leggeri alla popolazione.
La Cina sta investendo tantissimo nel suo programma spaziale, ma secondo quanto riportato dalla stampa specializzata occidentale, molto meno nella protezione della Terra dai suoi detriti. È un problema politico, perché si tratta di far applicare a Pechino le regole imposte dall’Unoosa. La nuova corsa allo spazio, quella tra potenze occidentali e Paesi non allineati come Russia e Cina, riguarda anche lo sviluppo economico. Nel film del 2021 Don’t look up, scritto e diretto da Adam McKay, l’Ufficio per la difesa planetaria della Nasa compare alla notizia di un asteroide che sta per colpire la Terra, con conseguenze potenzialmente letali. Andrebbe applicato il protocollo dell’agenzia, ma s’intromette il leader carismatico di un’azienda tecnologica, un’allegoria di Elon Musk, che preferisce farne un business. È la realtà, non la fantasia degli sceneggiatori: l’estrazione di minerali dagli asteroidi, infatti, potrebbe rivoluzionare l’economia terrestre. Gli oggetti che ci minacciano sono potenzialmente anche gli oggetti che potrebbero arricchirci, perché al loro interno c’è oro, nikel, ferro, platino e tutte quelle materie prime fondamentali per la tecnologia contemporanea. È uno dei motivi per cui la cooperazione spaziale sta diventando sempre di più una competizione. Il successo della missione Dart ci ricorda che mentre la Russia impegna uomini e risorse nella sua guerra terrestre in Ucraina, l’America e la Cina si contendono il primato nello spazio.