Se manca la lattuga

Nei supermercati britannici scarseggiano frutta e verdura, ecco perché
/ 06.03.2023
di Barbara Gallino

Se i sudditi di Sua Maestà mangiassero rape e cibi di stagione non ci sarebbero problemi di approvvigionamento alimentare. Così Thérèse Coffey, ministra dell’Ambiente britannica, ha commentato la carenza di frutta e verdura che affligge i supermercati del Regno, dove ormai ci si azzanna per un cavolfiore o una lattuga. E ha scatenato, come immaginabile, un putiferio. Fare la spesa nei supermercati britannici negli ultimi tempi è effettivamente un’esperienza desolante: insalata, pomodori, cetrioli, broccoli, peperoni o lamponi sono diventati beni rari. Per far fronte alla scarsità dell’offerta, diverse tra le catene di distribuzione più importanti e meno dispendiose hanno iniziato a razionare alcuni prodotti, imponendo un limite di acquisto di massimo due o tre confezioni a cliente per visita. Molti scaffali, però, restano vuoti e sono destinati a rimanere tali per diverse settimane. C’è chi sostiene addirittura fino a maggio.

Come mai? Il Governo Tory nega ogni responsabilità, imputando la situazione a cause che esulano dalla sua sfera di controllo, come il maltempo nei Paesi del Sud d’Europa e del Nord Africa, da cui la Gran Bretagna importa larga parte dei prodotti agricoli. Basti pensare che durante l’inverno il Regno Unito importa addirittura circa il 90% delle lattughe e il 95% dei pomodori. Quest’anno, tuttavia, temperature particolarmente rigide in Spagna e inondazioni in Marocco hanno avuto pesanti ricadute sui raccolti e conseguentemente sulle importazioni. «Non possiamo controllare il tempo in Spagna», ha chiosato la Coffey. Però le foto circolanti nei social media di supermercati spagnoli con banchi traboccanti di frutta e verdura sembrano contraddire la linea difensiva del Governo e raccontare una storia diversa.

Le condizioni climatiche avverse sicuramente hanno avuto un impatto non solo sulle importazioni, ma anche sulla limitata produzione agricola interna. L’East Anglia, ad esempio – zona agricola chiave della Gran Bretagna – continua a essere affetta da siccità: le prime tre settimane di febbraio sono state le meno piovose degli ultimi 30 anni, con inevitabili conseguenze sui raccolti. Anche il costo dell’energia schizzato alle stelle per effetto della guerra in Ucraina ha giocato un ruolo: i produttori britannici devono necessariamente coltivare insalata e determinati tipi di verdura in serra, e poiché le bollette di elettricità e riscaldamento sono quadruplicate, hanno dovuto ritardare la semina. Secondo i dati della National Farmer Union (NFU), sindacato degli agricoltori britannici, l’inflazione energetica ha fatto salire il costo della coltivazione del pomodoro del 27% fra il 2021 e il 2022.

A questi fattori si aggiungono varie complicazioni nella catena di approvvigionamento dovute alla carenza di forza lavoro a seguito della pandemia e, indirettamente, anche a Brexit che ha introdotto una politica immigratoria molto più restrittiva, aumentando notevolmente la burocrazia alla frontiera. Le autorità negano con fermezza che l’uscita della Gran Bretagna dall’UE abbia avuto ripercussioni in questo senso, tuttavia si riscontrano diversi cambiamenti rispetto a prima: ad esempio, molti prodotti sugli scaffali sembrano provenire da Paesi sempre più lontani come il Marocco, ma anche l’Egitto, la Turchia o persino il Messico, mentre prima di Brexit frutta e verdura erano prevalentemente di provenienza europea.

Non c’è da stupirsi. «È molto più facile per i produttori del Sud Europa vendere i loro prodotti nel Continente invece che affrontare quattro giorni di viaggio per andare nel Regno Unito, rimanere bloccati in coda, tornare con il camion vuoto e avere ancora a che fare con una serie di scartoffie aggiuntive e dazi doganali», ha commentato Lee Stiles della Lea Valley Growers Association, associazione che riunisce larga parte dei produttori domestici di pomodori, cetrioli e peperoni. Eppure il Governo era stato ammonito: lo scorso dicembre, l’NFU aveva lanciato l’allarme che il Paese si stava avviando silenziosamente verso una crisi delle forniture e aveva chiesto un intervento urgente per proteggere i produttori locali, assicurando ad esempio che i rivenditori li pagassero in maniera equa. In autunno, infatti, era emerso che durante le negoziazioni le più grosse catene di supermercati avrebbero acquistato all’estero i prodotti agricoli piuttosto che pagare a prezzo più alto i prodotti locali.

Ma la strategia si è rivelata fallimentare. I fornitori britannici sono vincolati a prezzi fissi pattuiti da contratti a lungo termine con i supermercati. Pertanto, se il costo dei pomodori spagnoli all’improvviso aumenta, non hanno margini per acquistarli senza ridurre i profitti, mentre nel Continente sono più diffusi contratti a breve scadenza e dunque in caso di incremento dei prezzi è più facile per i fornitori europei scaricare l’aumento sui rivenditori. Il risultato? Mancano i prodotti e quelli reperibili hanno prezzi sostanzialmente più elevati. Solo nell’ultimo mese i pomodori sono aumentati del 22%, le lattughe del 30%, i cavolfiori del 38%, i porri del 25% e le patate del 20%. Ai britannici non resta che accontentarsi delle rape, il cui prezzo invece è rimasto stazionario.