«Non intendo abolire la legge 194. Non intendo modificare la legge 194. In che lingua ve lo devo dire? Voglio applicare la legge 194, aggiungere un diritto: se oggi ci sono delle donne che si trovano costrette ad abortire, per esempio perché non hanno soldi per crescere quel bambino, o perché si sentono sole, voglio dare loro la possibilità di fare una scelta diversa, senza nulla togliere a chi vuole fare la scelta dell’aborto». Giorgia Meloni, la prima presidente del Consiglio italiano donna dalla nascita della Repubblica nel 1946, lo ha detto più volte in televisione e durante comizi vari. Aggiungendo: «Sono surreali le ricostruzioni che dicono che come eventuale primo premier donna toglierei un sacco di diritti alle donne. Quali sarebbero i diritti che vogliamo togliere? L’aborto? No, vogliamo dire alle donne che pensano che l’aborto sia l’unica scelta, che hanno il diritto di fare una scelta diversa. Non voglio abolire la 194, non voglio modificarla, ma applicarla integralmente anche nella parte che riguarda la prevenzione. Il che significa aggiungere diritti, non toglierli». E, a dire la verità, le stesse posizioni si ritrovano pari pari anche nel programma elettorale di Fratelli d’Italia, programma che parla di sostegno alla natalità e alla famiglia: proponendo «la piena applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, a partire dalla prevenzione» e «l’istituzione di un fondo per aiutare le donne sole in difficoltà economica a portare a termine una gravidanza».
Non deve essere quindi stata per nulla felice Giorgia quando, a soli due giorni dalla nomina ufficiale a presidente del Consiglio, uno dei suoi alleati ha praticamente lanciato una bomba travestita da proposta di legge. Mentre difatti Meloni, nel tentativo di formare una squadra di Governo quantomeno presentabile, cercava di parare i colpi bassi e di schivare le mine piazzate sul suo cammino dai suoi improbabili quanto egocentrici alleati, il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia – che tra parentesi condivide con la neo presidente del Consiglio storiche radici fasciste – ha presentato un disegno di legge così provocatorio e improbabile da risultare indigesto anche per il Governo più a destra della storia della Repubblica. La proposta di legge non tocca formalmente la legge 194 ma, dall’esterno, praticamente la demolisce. Il disegno di legge si propone difatti di cambiare l’articolo 1 del Codice civile, che prevede che la capacità giuridica di un essere umano inizi al momento della nascita. Gasparri propone invece che la capacità giuridica cominci fin dal momento del concepimento: il che significa, in parole povere, che la donna che abortisce potrebbe essere accusata di omicidio.
Si tratta di un rovesciamento del diritto che metterebbe la donna in secondo piano rispetto al feto e vanificherebbe la struttura stessa della legge che Giorgia Meloni ha giurato e spergiurato di non toccare. Anche perché, è bene ricordarlo, nella sua attuale applicazione, la legge 194 già rende l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza molto difficile e in alcune regioni, specialmente in quelle già governate dai partiti di destra, quasi impossibile. La legge difatti, passata nel 1978 grazie alle lotte dei movimenti femministi, dopo due anni di battaglie parlamentari e un tentativo di referendum abrogativo, è già frutto di pesanti compromessi. Consente alle donne di potersi recare in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari; entro il quinto mese, tuttavia, dà la possibilità di interrompere la gravidanza solo per motivi terapeutici e, secondo la legge, il padre non ha alcun diritto sul feto e può essere presente al consultorio o alla struttura sanitaria solo se la donna è d’accordo. Inoltre, per tutte coloro che decidono di abortire è garantito l’anonimato.
Tuttavia la stessa legge, e qui sta il trucco, prevede il diritto dei medici a una «obiezione di coscienza», tranne quando la donna è in pericolo di vita. Così nel 1978, quasi da un giorno all’altro, l’Italia ha scoperto che la stragrande maggioranza dei ginecologi che lavorano negli ospedali pubblici sono cattolici devoti che hanno problemi con l’aborto. A praticarlo, ma anche a scrivere i certificati necessari a presentarsi nelle strutture apposite o a prescrivere la «pillola del giorno dopo». Gli stessi medici non avevano e non hanno gli stessi problemi di «coscienza» nelle cliniche private, ma questa è un’altra storia. Basta dire che nelle regioni governate dal partito di Meloni ci sono ospedali con un sorprendente 100%, o quasi, di medici che si rifiuta di praticare aborti e che, per legge, non può essere costretto a farlo. E si tratta delle stesse regioni in cui si sta già cercando di seguire la via ungherese e di far ascoltare alle donne che scelgono di abortire il cuore del feto. Spaventoso e disumano. Spaventoso e disumano che nel momento in cui la prima donna varca la soglia di Palazzo Chigi, i diritti delle donne, checché ne dica Meloni, vengano messi in discussione. Dando la presidenza della Camera al deputato della Lega Nord Lorenzo Fontana, ex ministro della Famiglia: un convinto antiabortista, che definisce le famiglie omosessuali «una schifezza» e che prende a modello di società la Russia di Putin. Un maschio, si potrebbe commentare. Maschio come erano maschi i cinque che negli Stati Uniti hanno cassato il diritto all’aborto. Errore. Perché la neo ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, ha più volte dichiarato la stessa cosa: l’aborto non è un diritto.
Giorgia Meloni, la «mamma, cristiana, donna e italiana», dovrebbe essere meno ambigua. E sapere che la maggioranza di noi non è disposta a cedere il controllo del proprio corpo o a vedersi sottrarre, e sottrarre da un’altra donna, i propri diritti. «Le streghe son tornate», si diceva negli anni Settanta, quando alcune ragazze italiane rischiavano di essere cacciate da scuola perché facevano campagna per una legge «innominabile» e molte di quelle ragazze hanno rischiato di morire per un aborto clandestino. Le streghe sono ancora qui – dicono le attiviste oggi – e sono di nuovo pronte a scendere in piazza e a combattere.