Se il baseball è speranza

Gran parte della rinascita di Hiroshima, dopo l’atomica, passa attraverso questo sport e la squadra della città, gli Hiroshima Toyo Carp
/ 05.06.2023
di Giulia Pompili

Appena arrivato a Hiroshima, la prima cosa che ha fatto il primo ministro inglese Rishi Sunak è stata mostrare le caviglie. Il padrone di casa, il suo omologo giapponese Fumio Kishida, lo aveva invitato in un ristorante tradizionale, di quelli in cui si tolgono le scarpe prima di entrare, e Sunak ha sfoggiato subito, a favore di fotografi, i suoi calzini rossi: quelli degli Hiroshima Toyo Carp, la squadra di baseball del cuore di Kishida, ma soprattutto un simbolo indelebile dell’identità di Hiroshima (nella foto). Nelle ore successive, passeggiando per Hondori, le vie dello shopping della città giapponese, era praticamente impossibile trovare un negozio che ne avesse qualche paio ancora in giacenza: i calzini rossi degli Hiroshima Carp erano andati a ruba. «Questo genere di cose piacciono molto a noi giapponesi», commenta un diplomatico nipponico, «ed è stata una grande prova di comunicazione per la delegazione inglese». Sunak era a Hiroshima per partecipare al G7, la cui presidenza quest’anno spetta al Giappone. Il Governo centrale di Tokyo ha deciso di svolgere la due giorni di riunioni tra capi di Stato in uno dei luoghi più importanti e simbolici del mondo: il primo a subire un attacco nucleare, a viverne la devastazione, il dramma, la rinascita. Il tema della denuclearizzazione è stato costantemente presente durante il summit, anche perché il Memoriale della pace era lì, a pochi metri, ed è stato ancor più centrale quando il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il leader di un Paese costantemente minacciato dal nucleare russo, ha visitato di persona il luogo del ricordo.

A Hiroshima, l’area dove l’aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica Little Boy alle ore 8 e 15 del 6 agosto 1945, oggi è un parco magnifico pieno di vita, ma anche pieno di ricordi. All’ombra della Cupola della bomba atomica, lo scheletro dell’ex centro di promozione industriale della prefettura rimasto miracolosamente in piedi, si apre una piccola isola circondata dal fiume. Di fronte, un grande spazio verde dove la mattina la gente corre, i bambini giocano nelle fontane, si organizzano spettacoli tradizionali. A un certo punto, sul percorso pedonale, si intravede un monumento poco conosciuto ai turisti: una grande palla da baseball posizionata su una stele di marmo che elenca i successi della squadra della città. Poco più in là, l’effige di Sachio Kinugasa, morto nel 2018, terza base degli Hiroshima Toyo Carp per più di vent’anni, dal 1965 al 1987. Kinugasa è una leggenda da queste parti: lo chiamavano Tetsujin, il nome giapponese di Iron Man, per i suoi fuori campo, per la costanza e l’audacia, per il numero di vittorie consecutive. L’importanza di questo giocatore, e del monumento in questo parco, riguarda però soprattutto la squadra per cui giocava, i Carp. Perché in questa città tutto parla di baseball, lo sport portato in Asia orientale dagli americani, poi adottato e trasformato dal Giappone in una specie di sport nazionale.

Gran parte della rinascita di Hiroshima, dopo l’atomica, passa attraverso il campo da baseball e la squadra della città. Già prima della Bomba questa regione era considerata una fucina di talenti del Paese: lo sport con la pallina bianca cucita e la mazza era popolarissimo tra i giovani e, nonostante lo scoppio della guerra, il baseball continuò a essere una parte essenziale della vita degli studenti. Qualche anno dopo la resa incondizionata del Giappone, la Federazione nazionale di baseball iniziò a espandersi, e diverse personalità di Hiroshima – per esempio Go Kawaguchi, presidente del giornale locale «Chugoku Shimbun», e il politico Naboru Tanigawa, considerato il fondatore della squadra – iniziarono a capire che poteva essere un’opportunità: coinvolgere Hiroshima nel campionato di baseball nazionale avrebbe portato indotto economico e avrebbe dato ai cittadini una distrazione, una speranza, qualcosa in cui credere. Neanche cinque anni dopo lo scoppio dell’atomica, di fronte a una folla di diecimila persone, fu presentata la prima squadra dei neonati Hiroshima Carp. L’operazione però aveva un problema non di poco conto: mancavano i soldi.

L’altra squadra cittadina, quella dei Taiyo Whales, era meno popolare ma più ricca, perché si era assicurata la sponsorizzazione di una azienda di pesca di balene. Si decise per una fusione. Ma quando la notizia trapelò tra i cittadini, iniziò una mobilitazione senza precedenti per evitare la bancarotta della squadra. Ancora oggi al museo di Hiroshima sono conservate le grandi botti di sake – l’alcolico tipico giapponese – poste di fronte all’ingresso dello stadio cittadino che furono riempite di denaro delle donazioni. I giocatori andavano porta a porta nella regione a chiedere contributi. I residenti di Hiroshima, piegati da una guerra e da un bombardamento atomico, erano disposti a qualunque sacrificio per avere ancora la squadra della loro rinascita.

La mobilitazione fu un successo e servì a rendere ancora più popolari gli Hiroshima Carp: ogni abitante della città sentiva di esserne parte, di aver contribuito ai loro successi – anche se ce ne furono pochi, a livello nazionale, almeno nei primi anni di campionati. Ma il mito della squadra si consolidò nel 1957, quando dieci grosse aziende locali investirono 160 milioni di yen per costruire un nuovo, iconico stadio appena fuori dal Parco della Pace di Hiroshima, la casa degli Hiroshima Carp, legando definitivamente la squadra alla ricostruzione della città. Quando il presidente di Mazda, Tsuneji Matsuda, divenne proprietario di maggioranza della società, volle inserire il nome della sua azienda in quello della squadra, che divenne ufficialmente Hiroshima Toyo Carp. Ma oggi quei giocatori tutti li chiamano «i Carp», come le carpe koi, quei pesci che risalgono sulle rapide del castello di Hiroshima incuranti della fatica: il simbolo della ricostruzione e della rinascita.