Non si può certo dire che Facebook manchi di fantasia o di faccia tosta. Il gigante di Menlo Park, California, è accusato di qua e di là dell’Atlantico di minare il dibattito pubblico occidentale e di mettere in pericolo i processi democratici del mondo libero, favorendo i movimenti populisti e anti sistema, ma anche di facilitare la diffusione dell’odio etnico e di aiutare i regimi autoritari a reprimere il dissenso, oltre che di violare ripetutamente la privacy degli utenti, di abusare della sua posizione dominante e di evadere le tasse. Eppure, nonostante ciò, il gruppo di Mark Zuckerberg ha deciso di compiere un ulteriore salto di dimensione, ovvero di battere moneta, come se fosse uno Stato sovrano, il più immenso degli Stati sovrani del pianeta.
A partire dal prossimo anno, infatti, Facebook avrà una sua moneta digitale, chiamata Libra e basata sulla tecnologia blockchain, grazie alla quale la sua comunità di quasi due miliardi di amici potrà scambiarsi denaro, acquistare prodotti e, a un certo punto, anche usufruire dei servizi finanziari tradizionalmente offerti dalle banche, come il deposito e i prestiti.
La nuova moneta sarà sostenuta da un fondo istituito ad hoc, cui hanno già aderito 28 grandi aziende versando un minimo di 10 milioni di dollari ma che dovrebbero arrivare a cento soci fondatori entro la fine del 2019. Libra sarà regolamentata da un’istituzione svizzera indipendente da Facebook, la Libra Association, e nominata dalle aziende fondatrici. Ci sarà anche una Banca centrale di Libra, chiamata Libra Reserve.
La sfida di Facebook è quella di far diventare mainstream, popolari e di uso comune, le criptomonete, evitando però i rischi di fluttuazione del valore che subiscono Bitcon e le altre oggi sul mercato. I pagamenti in Libra potranno essere incorporati nel business di chiunque vorrà adottare la nuova valuta digitale, mentre Facebook lancerà una nuova app, Calibra, ovvero un portafoglio digitale integrato nei suoi social, da Facebook a Whatsapp fino a Instagram, per la cui apertura sarà sufficiente fornire un documento di identità.
Le informazioni fornite da Facebook aggiungono poco altro e gli analisti e i politici si chiedono se Libra sia una moneta, un titolo o un fondo. Non è una questione da poco, perché stabilire che cosa sia Libra ha conseguenze notevoli dal punto di vista delle regole cui dovrà sottostare e per capire quale organismo avrà la responsabilità di vigilare sulle sue attività. Zuckerberg sta provando a convincere le autorità di vigilanza internazionali che l’operazione Libra non trasforma Facebook in una banca o in un fondo, esattamente come finora ha rifiutato di essere trattato come un editore o una piattaforma di telecomunicazioni, e per questo chiede regole nuove, diverse da quelle tradizionali e adeguate ai tempi della rivoluzione digitale.
Qui cominciano i problemi, visti i precedenti di Facebook. Sorgono dubbi sull’idea di sostituire il denaro emesso dalle Banche centrali con una moneta made in Facebook e in particolare sul fatto che questa valuta possa essere affidata a una piattaforma digitale che in questi anni ha violato qualsiasi regola possibile, prima negando le malefatte e poi scusandosi ma continuando a tradire la fiducia degli utenti e dei regolatori.
Appare quindi improbabile che il mondo impegnato a limitare lo strapotere di Facebook, non solo in termini di monopolio nel business, ma anche di indebolimento dei corpi intermedi della società e di infiacchimento dell’opinione pubblica con effetti deleteri sulla società aperta, possa consentire al gigante della Silicon Valley di rivoluzionare anche il sistema globale dei pagamenti e di fargli assumere una posizione dominante anche nei servizi finanziari. Il G7 ha deciso di occuparsi della questione, il Senato americano se ne occuperà a metà luglio, mentre la Bank for International Settlements, la banca centrale delle Banche centrali, ha avvertito del potenziale rischio sulla concorrenza, sulla stabilità finanziaria e sul welfare state nel caso Facebook fosse lasciato libero di far partire Libra.
I rischi sono evidenti: attraverso Calibra, Facebook conoscerà la disponibilità finanziaria e le spese degli utenti e potrà offrire ai commercianti un sofisticato algoritmo in grado di massimizzare il prezzo che ogni singolo utente potrà permettersi per un determinato prodotto. Facebook, inoltre, conoscerà anche tutti i segreti delle aziende che movimenteranno denaro attraverso il suo portafoglio digitale, un vantaggio competitivo rispetto a qualsiasi altro operatore commerciale. Non ci saranno commissioni sui pagamenti, ma Facebook e gli altri fondatori potranno contare sugli interessi maturati sui dollari e sugli euro depositati in banca per acquistare Libre, tanto che il rientro dell’investimento iniziale è previsto in poco tempo.
Il G7 e le autorità di vigilanza e antitrust dovranno chiedersi anche che cosa succederebbe in caso di furto digitale della moneta o di hacking del sistema Libra: chi paga, chi garantisce i depositi? È molto pericoloso, dicono gli esperti, consentire il lancio di un sistema privato di pagamenti globali che in caso di problemi sarà troppo grande per fallire e avrà bisogno dei soldi pubblici per ripianare le perdite.
La sfida di Facebook è coerente con l’obiettivo strategico di sempre, che è quello di connettere direttamente il più alto numero di persone possibile senza curarsi delle conseguenze dell’eventuale disintermediazione del rapporto tra cliente e banche, organismi di sorveglianza e sistemi monetari. Qualche mese fa, Zuckerberg aveva lasciato intendere che di fronte alle critiche al suo business model, centrato sulla profilazione degli utenti a fini pubblicitari, Facebook stava cominciando a trasformarsi da piazza pubblica in tinello virtuale dove potersi scambiare denaro e merci in modo facile e sicuro. In termini tecnici si dice «dalla padella alla brace».