Il telescopio James Webb è arrivato a destinazione

Ha raggiunto la meta, dopo un viaggio lungo un mese, il più grande telescopio lanciato nello spazio dall’umanità. Lo ha annunciato la settimana scorsa la Nasa che gestisce la missione con l’Agenzia spaziale europea (European space agency) e quella canadese (Canadian space agency). Il James Webb space telescope (Jwst) ha infatti raggiunto il suo punto di osservazione a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Più precisamente si trova nella zona chiamata «Lagrange 2» dove le influenze gravitazionali di Terra, Luna e Sole si equilibrano, permettendo al prezioso strumento scientifico di restare stabile nella sua posizione con poco sforzo. Proprio in quell’orbita negli anni scorsi sono stati posizionati con successo altri telescopi con compiti particolari.

L’astrofisica della Nasa Amber Nicole Straughn, responsabile delle comunicazioni scientifiche, ha dichiarato: «Il primo anno di osservazioni è già stato pianificato. Guarderemo gli oggetti all’interno del nostro sistema solare, fino alla ricerca delle primissime galassie nate dopo il Big bang… Oltre a tutto ciò che si trova nel tempo e nello spazio tra questi estremi». Le prime immagini del nuovo telescopio dovrebbero arrivare per l’estate, tra circa cinque mesi. Il dispositivo – che permette di vedere le lunghezze d’onda dell’infrarosso – andrà ad affiancarsi nelle indagini cosmiche all’Hubble space telescope (Hst), il prestigiosissimo telescopio spaziale americano che ha regalato al mondo immagini di straordinaria bellezza e di grande importanza scientifica. / Red.


Scorie spaziali e responsabilità terrestri

Dopo l’apertura del cielo ai privati e ai loro capitali si intensificano i lanci di satelliti. Una tendenza insidiosa, ecco perché
/ 31.01.2022
di Loris Fedele

Il telescopio James Webb, arrivato a destinazione settimana scorsa (leggi box), si va ad aggiungere alla moltitudine di oggetti che l’umanità ha lanciato nello spazio creando talvolta anche problemi. Pensiamo a quello che è successo nel novembre scorso. Un missile russo, scagliato da una base vicino a Mosca, ha distrutto un satellite militare di sua proprietà. Era in disuso e da circa 40 anni girava indisturbato a qualche centinaio di km di quota. Era roba loro, si potrebbe pensare, ma perché lo hanno fatto? Ci riguarda? Purtroppo sì. Ciò che è avvenuto è un atto irresponsabile, un atto di «incoscienza spaziale», che proprio i russi – con la loro lunga storia astronautica – non avrebbero mai dovuto compiere. Il satellite militare russo colpito dal missile amico è andato in mille pezzi, per la precisione in 1500 frammenti, più decine e forse centinaia di migliaia di piccolissimi detriti spaziali. L’operazione ha messo in temporaneo pericolo persino la Stazione spaziale internazionale Iss (che tra l’altro è anche russa) e quella cinese Tiangong: gli equipaggi hanno dovuto mettere in atto le procedure di urgenza previste in caso di minaccia diretta all’integrità delle stazioni stesse. Le dure rimostranze degli Usa sono state immediate. La Russia ha dichiarato che si trattava di un test per un’arma antisatellite e che non aveva messo in pericolo nessuno.

Per la verità l’esplosione provocata è avvenuta in una fascia orbitale che da molti è giudicata pericolosa per la presenza di numerosi satelliti. Sta proprio qui il punto: non si è trattato del primo test di questo genere, in passato lo avevano fatto anche altri Paesi: gli Usa, la Cina, l’India e la stessa Russia, che volevano dimostrare la propria potenza militare. Forse anche quello di novembre è stato un segnale lanciato ai propri avversari, ma c’è un risvolto scientifico inquietante che non si esaurisce con le schermaglie politiche. Le scorie spaziali (pezzi di razzi, satelliti fuori uso, frammenti di oggetti vari), che orbitano per decine e centinaia di anni prima di ricadere sulla terra e bruciare nell’atmosfera, sono un pericolo costante per i satelliti che operano per noi. Dal lancio del primo satellite, lo Sputnik sovietico nel 1957, non abbiamo più smesso di portare oggetti nello spazio e di compiere missioni spaziali con uomini e robot. Il risultato è che oggi i satelliti sono diventati numerosissimi.

Ci sono satelliti scientifici che osservano la Terra e ne registrano le modificazioni ambientali, come per esempio lo scioglimento dei ghiacci, l’inquinamento dei mari o la deforestazione; oppure satelliti che hanno scopi commerciali e servono per la meteorologia, le telecomunicazioni e altre applicazioni pratiche. Gli specialisti li conoscono bene, mentre il grande pubblico si gode i loro risultati pratici quasi senza accorgersene. Diamo spesso per scontati i cellulari, il Gps, le dirette tv che ci collegano col mondo: sono alcuni usi pratici dei cosiddetti satelliti civili. Poi ci sono quelli militari, che percorrono orbite basse per osservare punti strategici o sensibili in un’ottica di guerra. Quanti ne partono ogni anno? Impossibile saperlo, anche se pure questi entrano nel conteggio degli oggetti orbitanti che le agenzie spaziali tengono sotto continua osservazione. Infatti la problematica dei satelliti e soprattutto dei detriti spaziali preoccupa da tempo gli addetti ai lavori.

I satelliti vivono parecchi anni nelle loro corsie fisse intorno alla Terra, poi si spengono e muoiono, ma restano lassù per tempi più o meno lunghi a dipendenza della loro quota e sono un pericolo potenziale per i nuovi satelliti che arrivano in orbita. L’ufficio americano dello spazio esterno e l’Esa nel 2020 catalogavano circa 2700 satelliti operativi e 8800 tonnellate di detriti spaziali. Di questi 1950 erano gli ultimi stadi dei razzi, 2850 i satelliti morti, 34mila i frammenti di 10 cm, 900mila quelli da 1 a 10 cm, 128milioni quelli da 1 mm fino a 1 cm. Gli oggetti più piccoli non possono essere monitorati. Ma negli ultimi anni l’apertura dello spazio ai privati e ai loro capitali sta intensificando i lanci. Il miliardario Elon Musk, con la sua SpaceX, sta lanciando in orbite basse una nuova costellazione di satelliti chiamata Starlink, che permetterà di portare Internet in tutto il mondo, anche nelle zone più isolate. In due anni ha piazzato in orbita più di 1100 satelliti e ha già ottenuto dalla Fcc, la Commissione americana responsabile delle licenze, l’autorizzazione a lanciare 12mila satelliti di questo tipo. Il trenino luminoso di Starlink, nel 2021, minacciò per 2 volte la Stazione spaziale Tiangong, suscitando una protesta ufficiale della Cina presso l’Onu. Il Trattato sullo Spazio extra-atmosferico, sottoscritto dalle potenze interessate, ha sancito i fondamenti del diritto spaziale internazionale per le Nazioni, ma non prevedeva l’ingresso dei privati. Oggi ci si muove in una zona grigia ancora da definire con ulteriori accordi internazionali. Starlink ha subito pure la protesta degli astronomi, danneggiati nelle loro osservazioni dalla luminosità dei satelliti di Musk. Infine, oltre a SpaceX, altre società private come Amazon e OneWeb hanno fatto richieste per futuri lanci di satelliti. Di sicuro lo spazio sarà sempre più inquinato da detriti spaziali, per cui si cerca di correre ai ripari.

L’unica strada percorribile è la rimozione dei corpi di importanti dimensioni che orbitano obsoleti sopra le nostre teste (se ne discuterà anche il 16 febbraio prossimo a Tolosa durante il summit dell’Ue sulla strategia spaziale). L’Europa spaziale è all’avanguardia in questo senso e già nel 2012 aveva lanciato l’iniziativa «Spazio pulito» che incitava tutti gli addetti ai lavori a sviluppare tecnologie innovative riguardanti i satelliti, con l’obiettivo di salvaguardare gli ambienti spaziale e terrestre. Si va dal design ecologico per i nuovi manufatti alle restrizioni nell’uso di particolari materiali e carburanti inquinanti, dalla riduzione dei consumi durante la vita attiva del satellite alla gestione della scoria. La Svizzera si è distinta e l’Esa nel novembre 2020 ha firmato un contratto da 86 milioni di euro con la start-up Clear space Sa, uno spin-off del Politecnico federale di Losanna, per acquistare il servizio di un drone in grado di catturare i detriti per rallentarli, farli cadere e consumare nell’atmosfera. La prima missione di recupero partirà nel 2025.