Scenari del dopo Trump

Stati Uniti - I dossier caldi internazionali che riguardano la superpotenza americana cambieranno orientamento dopo la nuova elezione presidenziale? Non necessariamente
/ 16.11.2020
di Alfredo Venturi

Il presidente Joe Biden, dice Henry Kissinger in un’intervista di Mathias Döpfner del gruppo editoriale Axel Springer, farà una politica estera moderata e consapevole. Tuttavia, avverte il novantatreenne ex segretario di Stato che ebbe il premio Nobel per la pace dopo avere faticosamente ricomposto il pasticcio vietnamita, gli europei dovrebbero frenare il loro entusiasmo per la sconfitta di Donald Trump, perché sono tanti i problemi che restano sul tappeto nelle relazioni euro-americane. Tanti e complessi. Eppure basterebbero gli impegni del successore di Trump in materia di politiche ambientali a giustificare quell’entusiasmo.

Biden non ha forse assicurato che fra i primi atti della sua nuova amministrazione ci sarà il ritorno degli Stati Uniti nel gruppo di paesi, in pratica l’intera comunità internazionale, che hanno aderito all’accordo di Parigi sul clima? Non ha inoltre promesso il ripristino delle misure di protezione ambientale a suo tempo promosse da Barack Obama e successivamente annullate da Trump? Infine non ha prospettato un massiccio piano di investimenti nelle energie alternative, si parla addirittura di duemila miliardi di dollari, che porti gli USA al mitico obiettivo delle zero emissioni di carbonio nel 2050?

E poi il successo di Biden significa che l’America esce finalmente dal neo-isolazionismo voluto dal suo controverso predecessore, per esempio rilanciando le alleanze tradizionali a cominciare dalla Nato. È vero, ma proprio qui si annida uno dei contenziosi ai quali alludeva Kissinger: gli Stati Uniti vogliono certamente un’alleanza atlantica rilanciata e rinnovata, in grado di affrontare le nuove sfide che si prospettano, ma intendono anche ridiscuterne l’onere finanziario, che vorrebbero più equamente diviso fra gli alleati. Washington continuerà a premere per una più articolata suddivisione delle spese per la difesa. Premerà anche per frenare la propensione europea a non contrastare un attivismo cinese sulla scena mondiale che giudica sempre più pericoloso.

C’è poi la complessa questione dei dazi. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha auspicato che l’avvento di Biden riapra le frontiere ai commerci transatlantici, abbattendo le barriere doganali volute da Trump, e certamente questo accadrà: ma fino a che punto? Bisogna considerare che il nuovo presidente dovrà necessariamente fare i conti con un’agguerrita resistenza interna da parte repubblicana. Infatti la stessa giornata elettorale che lo ha proiettato alla Casa Bianca ha confermato un sostanziale equilibrio parlamentare. I democratici hanno perduto qualche voto alla Camera dei rappresentanti ma potrebbero pareggiare la partita al Senato, dove quattro seggi restano da assegnare. In questo caso diverrà decisivo il voto della vicepresidente Kamala Harris, che a norma di Costituzione guida la Camera alta. La nuova amministrazione sarà in ogni caso condizionata da stretti vincoli politici.

Del resto gli ostacoli non vengono soltanto dall’opposizione repubblicana. Le grandi imprese tecnologiche della Silicon Valley, al centro della pressione europea perché onorino con un maggior carico fiscale le loro posizioni egemoniche, sono notoriamente amiche del partito democratico. È dunque prevedibile che almeno per lo specifico comparto dei colossi digitali Biden sarà indotto a non cedere alle richieste dell’Europa, o quanto meno a negoziare soluzioni di compromesso. Altro contenzioso difficilmente solubile, chiunque sieda alla Casa Bianca, quello che contrappone Airbus e Boeing. In poche parole, certamente l’America di Biden sarà meno ostile all’Europa dell’America di Trump, e in qualche misura l’interscambio commerciale sarà destinato a riavvicinarsi alle dimensioni che aveva prima della discesa in campo dell’amministrazione uscente, ma altrettanto certamente il discorso degli interessi continuerà a prevalere su quello dei valori. L’Europa non si faccia dunque troppe illusioni.

C’è un aspetto sul quale sicuramente la nuova presidenza americana avrà un’influenza visibile. Si tratta della Brexit, a proposito della quale il primo ministro britannico Boris Johnson dovrà rinunciare al supporto degli Stati Uniti, che gli era stato calorosamente offerto dal presidente Trump in chiave anti-europea, all’eventualità di un’uscita dall’Unione senza accordo. Con Biden alla presidenza degli Stati Uniti Johnson sarà dunque più motivato, praticamente obbligato, a cercare la difficile intesa con Bruxelles. Il problema è di strettissima urgenza e dunque la sua soluzione dovrebbe precedere l’insediamento di Biden alla Casa Bianca: stiamo lavorando sodo, dice la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. E ancora: raddoppiamo gli sforzi per raggiungere l’intesa. I tempi sono strettissimi, l’intesa dovrebbe essere raggiunta al più tardi entro il mese. Basterà ad accelerarla l’imminenza del cambio della guardia a Washington?

Ci si chiede infine, da questa parte dell’Atlantico, quale effetto potrà avere la transizione alla Casa Bianca su quei movimenti e correnti di pensiero che avevano nel presidente Trump il loro principale punto di riferimento. Per esempio il sovranismo, che nel nome delle autonomie nazionali batteva in breccia lo slancio sovranazionale dell’Unione. O i vari complottismi, che ispirandosi a vaghe visioni predicano l’avvento imminente, anche grazie a una pandemia ostinatamente negata, di un distopico «nuovo ordine mondiale». Come potranno costoro fare a meno di Trump, l’uomo idolatrato dai seguaci di QAnon, complottisti per eccellenza? Per ora si limitano a fare il tifo per la sua manovra improbabile e disperata, volta a ribaltare il risultato del voto.