Sardine, dalla rete alle piazze

Fenomeno nuovo – Questa volta i social hanno funzionato come passaparola, non più solo come canale di comunicazione di Salvini
/ 02.12.2019
di Alfredo Venturi

Chi lo avrebbe mai detto? Fra quei quattro giovani riuniti a Bologna l’idea era scaturita quasi per caso, dal desiderio non ancora ben definito di «fare qualcosa». Il 14 novembre il capo leghista Matteo Salvini avrebbe inaugurato la campagna elettorale per il voto del 26 gennaio in Emilia-Romagna riempiendo il Palazzo dello sport, una struttura che può ospitare seimila persone. E se provassimo a radunarne altrettante in Piazza Maggiore, tanto per far sapere a Salvini che «Bologna non abbocca», anzi che «Bologna non si lega»? Ecco trovati gli slogan, ora Giulia, Andrea, Roberto e Mattia cominciano a lanciare in rete il loro messaggio. Venite in piazza, riempiamola, stipiamoci come sardine. Proprio così, sardine, questo sarà il nome del movimento

Perché proprio di un movimento si tratta, il flash mob ha superato il carattere istantaneo implicito nell’espressione. Dopo l’esordio spettacolare, diecimila manifestanti e forse anche di più, ben oltre l’obiettivo di pareggiare la platea salviniana, nuove folle compatte accorrono al richiamo via rete e riempiono altre piazze: a Modena, a Firenze, a Parma, a Rimini, a Napoli. Ci sono giovani ma anche anziani, donne e uomini, famiglie al completo. Il fenomeno incalza e la valanga rotolando s’ingrossa, ora si prepara il grande botto. E dove, se non nella piazza romana di San Giovanni un tempo sacra ai riti di massa della sinistra sindacale, occupata lo scorso ottobre dal centro-destra disceso in campo contro il governo? L’appuntamento è per sabato 14 dicembre, si parla di grandi cifre, grazie al formidabile traino della rete più di centomila hanno già risposto all’appello.

Questa irruzione sulla scena politica ha colto alla sprovvista i partiti. Non soltanto la Lega che vede ridimensionata la prospettiva inebriante di conquistare l’Emilia, regione rossa per eccellenza. Lo stesso Partito democratico, impegnato nella faticosa difesa della roccaforte emiliana, balbetta frastornato di fronte alla nuova realtà. È chiaro che proprio il Pd è il potenziale destinatario di quel consenso anti-Lega, ma i nuovi attori ci tengono a tenersi alla larga dai partiti, nessuno escluso. Nelle piazze stipate non sventolano bandiere né si danno suggerimenti di voto. Su questo le sardine sono mute come pesci, appunto.

Non gridano slogan che si possano ricondurre a una specifica formazione politica. Molti di loro cantano Bella Ciao, che ormai è diventato l’inno internazionale delle piazze ribelli e si intona perfino a Hong Kong. A Parma hanno cantato l’inno nazionale, tanto per segnalare alla Lega e al resto della destra che non possono arrogarsi il monopolio del sentimento patriottico e che non c’è bisogno di derive sovraniste per difendere l’identità e gli interessi del Paese.

Tutto questo scorre in forma casuale e indeterminata, il fenomeno è fluido, magmatico, non propone certezze né spunti programmatici. Ma se una cosa esprime con chiarezza è una radicale insofferenza per la demagogia. «Cari populisti, lo avrete capito. La festa è finita», si legge nel sito realizzato subito dopo il successo bolognese. Eppure «crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola». La destra reagisce e attacca con la stessa durezza che destina agli ecologisti dei fridays di Greta Thunberg. Si accusano le sardine di non avere proposte né programmi, di essere semplicemente «contro», per di più contro l’opposizione, dettaglio effettivamente singolare per una protesta di piazza.

Infine di non essere una spontanea germinazione popolare ma una creatura, se non proprio del Pd, dell’ex presidente Romano Prodi. Sono di sinistra, segnalano i conservatori, senza riflettere sul fatto che soltanto loro considerano un difetto questa condizione. Intanto parte il rituale sondaggio, ne viene fuori che se le sardine si presentassero alle elezioni prenderebbero il 15 per cento dei voti. Sarebbero, a due settimane dalla nascita, il quarto partito: non molto distanti dalle posizioni attuali del terzo, e dal secondo, il Movimento 5Se il Pd.

Tutto questo conferma il ruolo sempre più coinvolgente della rete non solo nella comunicazione ma anche nella gestione del consenso. E se finora a servirsi degli strumenti informatici sono stati prevalentemente i leader, come Salvini in Italia o in America il presidente Donald Trump che sembra addirittura governare via twitter, stavolta l’uso della rete sgorga dal basso, i social funzionano come passaparola, moltiplicatori del consenso e dell’azione. Siamo di fronte a un salto di qualità rispetto a certe esperienze del passato, come i girotondi che accerchiavano i palazzi del potere per contestare Silvio Berlusconi. La rete ha rilanciato le folle, in Italia e altrove, come soggetti di sollecitazione politica. I quattro ragazzi di Bologna stentavano a crederci, quando hanno visto quella marea inondare la piazza. Tutta gente desiderosa di «esserci», di dire basta alle banalità della politica politicante, ai suoi desolanti luoghi comuni. «È stata energia pura», hanno scritto entusiasti e stupefatti nel loro sito.