Il 10 maggio 2021 scrivevamo della nomina di un nuovo presidente della direzione del Credit Suisse (CS) nella persona di Antonio Horta-Osorio proveniente dalla Banca Lloyds. Avrebbe dovuto rimediare alla situazione creata dalle perdite e anche dalle multe che andavano accumulandosi. Si valutava allora che queste perdite erano già salite oltre i 13 miliardi di franchi. Non solo, ma si cominciavano a vedere i disastri che erano stati combinati soprattutto dalla Investment Bank (del CS) negli Stati Uniti. Si iniziava allora a fare i conti sulle perdite provocate dal fallimento di due fondi di investimento: l’Archeos e il Greensill, per un totale di perdite che il «Financial Times» valutava già allora in circa 7 miliardi di franchi.
Ma proprio il pesante investimento in questi due fondi aveva sollevato la speranza di porre riparo alle precedenti perdite. Così il CS, presentando il bilancio del primo semestre 2021, dovette dichiarare un calo dell’utile netto del 78%, che si attestava però ancora a 253 milioni di franchi. Nel contempo il CS pubblicava anche il rapporto dello studio legale americano Paul Weiss, che constatava chiare mancanze nella gestione dei rischi, nonché nel controllo del superamento dei limiti e della responsabilità di sorveglianza, accompagnati da mancate misure di attenuazione del rischio.
Già allora ci si chiedeva come mai una banca dalla reputazione e dall’importanza del Credit Suisse potesse essere caduta così in basso e si prevedevano conseguenze pesanti anche nei mesi a venire. Puntualmente, con la pubblicazione dei dati del secondo trimestre 2022, il CS ha dovuto ammettere perdite d’esercizio di 4 miliardi di franchi, dovute ancora una volta alla banca di investimento. Inoltre ha constatato un’importante fuga di clienti, che è proseguita anche all’inizio di ottobre, toccando anche la gestione patrimoniale e la banca svizzera. Evoluzione che ha forse anticipato un po’ i tempi della presentazione di un piano di risanamento, che va molto in profondità e dovrebbe finalmente segnare una svolta netta nell’attività della banca.
Prima di vedere brevemente questo piano di «rinascita» andiamo a vedere come si è giunti a questa situazione. Intanto dobbiamo dire che la crisi finanziaria del 2008 ha colpito pesantemente tutti gli istituti di credito. Nel settembre di quell’anno erano caduti grossi nomi come Lehman Brothers, Bear Stearns, e, in Svizzera, anche la grande UBS era in difficoltà a seguito delle operazioni sui prime rate in America e si salvò anche grazie all’aiuto della Confederazione. Il CS poté invece cavarsela con le proprie forze, nonostante le gravi perdite. L’«Economist» lo definì allora l’istituto che aveva meglio saputo gestire la crisi finanziaria. In realtà beneficiava dei successi della banca d’investimento, che però agiva fuori da ogni controllo, realizzando grossi guadagni, ma anche subendo ingenti perdite.
Ma proprio qui il Credit Suisse compie il primo grande errore: mentre tutte le altre banche riducono le attività rischiose dell’investment banking, si appoggia sempre più su queste attività «all’americana». Alla sua testa vi era allora un americano: Brady Dougan. Chiamato nel 2007 per risolvere alcune situazioni pericolose, vi rimane otto anni. Forte dei guadagni realizzati in America ottiene nel 2009 uno stipendio di 19 milioni e un bonifico di 71 milioni di franchi. Il che suscita preoccupazioni anche a livello politico.
Il CS dovette pagare più tardi le conseguenze di questi atteggiamenti, con assemblee generali turbolente e perdita di consenso popolare. La banca ne soffre ancora oggi, come testimonia la perdita delle sue azioni in borsa, scese da 80 franchi all’inizio del 2008 a meno di 4 franchi oggi. Allora Dougan continuò a far crescere l’«investment» e con lui i guadagni. Tuttavia già nel 2011, con la crisi dell’euro e il franco sempre più forte, si videro le prime crepe nel grande edificio, ma soprattutto non giunsero più i guadagni dagli Stati Uniti. Il CS decise i primi risparmi per 2 miliardi di franchi, sopprimendo anche 2000 posti di lavoro e indirizzando la propria attività soprattutto verso la gestione patrimoniale.
Ma le condizioni erano e stanno tuttora cambiando. Così la quotazione del titolo del CS comincia a scendere. Questo significa una minore capitalizzazione in borsa, il che per una banca «sistemica» diventa pericoloso. Non solo, ma proprio dagli Stati Uniti giungono accuse di aver favorito la sottrazione fiscale, con le relative pesanti multe. Così la banca deve pagare una multa tre volte superiore a quella dell’UBS. Gli accantonamenti fatti per questi casi non sono sufficienti e la gestione della banca deve assumersene l’onere. I suoi dirigenti devono perfino comparire davanti alla Commissione del Senato americano e scusarsi.
La presidenza della banca passa a Urs Rohner, ma la reputazione della banca continua a peggiorare. Solo nel 2015 Dougan viene sostituito da Tidjane Thiam, che adotta una strategia simile a quella di UBS del 2011. Per il cambiamento la banca ha bisogno di 6 miliardi di franchi, ma le perdite si accumulano. Nel 2017 sembrano nascere nuove speranze, subito però sabotate da un nuovo scandalo: in un clima già sfiduciato, la direzione fa sorvegliare da detective privati il capo del settore della gestione patrimoniale. Più tardi si saprà che questo metodo era stato applicato in almeno sette casi. Thiam lascia la banca all’inizio del 2020. Gli succede Thomas Gottstein, proprio alla vigilia dello scoppio dell’epidemia di Covid, di cui soffrono anche gli istituti finanziari. Comunque: nuova strategia e nuove ristrutturazioni.
Nel marzo 2021 scoppia il caso dei due fondi d’investimento, di cui abbiamo detto, che all’UBS costano 800 milioni di franchi, ma al CS (che ha reagito più tardi) 5 miliardi di franchi. In aprile Rohner lascia la presidenza del CdA e solo al termine dell’ultima assemblea riconosce di aver commesso, con i vari direttori generali, alcuni errori, di cui si scusa.
Si apre così una nuova era, appunto con Horta-Osorio alla presidenza e Gottstein alla direzione. Nuova strategia, drastici risparmi e nuovi cali del titolo in borsa. La coppia dura poco, perché già nell’estate del 2022 alla direzione arriva Ulrich Körner, con alla presidenza Axel Lehman. Körner viene da UBS ed è noto per i suoi tagli decisi, che nell’UBS provocarono una massiccia riduzione dell’Investment Bank. Ma il titolo CS perde ancora quota.
Questa nuova coppia presenta una strategia che, finalmente, scorpora la Investment Bank (si torna alla CS Boston First, che comprende soprattutto la precedente società di consulenza, mentre una «bad bank» si occuperà dei prodotti cartolarizzati del CS), rilancia il settore della gestione patrimoniale e quello della banca svizzera. Tutta l’operazione – dopo i disastri precedenti – abbisogna di ingenti capitali. La ricerca si rivolge ai migliori clienti ed ecco apparire la Saudi National Bank, che garantisce 1,5 miliardi di franchi e il 9,9% delle azioni CS. È di proprietà del fondo statale, gestito dal principe ereditario. Si aggiunge ad altri due fondi di paesi del Golfo (il gruppo Olayan e il fondo statale del Qatar) che raggiungono così il 20% del capitale. L’aumento di 4 miliardi di franchi del capitale azionario verrà proposto a un prezzo di riferimento di 4,07 franchi per azione e dovrà essere approvato dall’Assemblea generale convocata per il 23 novembre.
Il tutto viene accompagnato da riduzione dei costi per 2,5 miliardi di franchi all’anno nei prossimi tre anni. Sono quindi previste anche riduzioni di personale di 9’000 unità sulle attuali 52’000 a livello mondiale. In Svizzera gli attuali 16’000 posti verranno ridotti di 2’000. La banca applica buone condizioni di ricollocamento e pensionamento, ma le riduzioni di personale e l’entrata nel capitale del fondo saudita non sono state accolte bene in Svizzera. Ora una delle cose di cui ha urgentemente bisogno il Credit Suisse è proprio un ricupero di fiducia, non solo negli investitori, ma anche nel pubblico.
Per quanto attiene al fondo saudita, va notato che il CS ha già una licenza bancaria in Arabia Saudita, dove il principe ereditario sta rilanciando l’economia, diversificando le fonti di reddito. Ma proprio il petrolio sta diventando una fonte molto copiosa di denaro e tutte le maggiori banche mondiali stanno accorrendo nella regione. Ovviamente anche il momento politico ed economico in Europa non è dei migliori, ma è proprio in questi momenti che bisogna dare prova di resistenza e resilienza. Difficilissimo fare previsioni, ma ci si può almeno chiedere, viste le premesse, se per il Credit Suisse sarà la volta buona.