Tutto cominciò con un puntiglioso memorandum inviato il 6 aprile del 1960 dal sottosegretario di Stato degli Stati Uniti per le questioni internazionali, Lester Mallory, all’allora presidente Dwight Eisenhower. Titolo: «Il declino e la caduta di Castro». Due anni dopo quel memorandum, nel febbraio del 1962, il presidente John F. Kennedy firmò l’ordine numero 3447 con cui decretò «l’embargo a tutto il commercio con Cuba». Sono passati sessant’anni tondi tondi da allora e, in occasione dell’anniversario della firma di Kennedy, l’Archivio della sicurezza nazionale degli Usa pubblica una dozzina di documenti, finora rimasti segreti, che gettano qualche luce e molte ombre su quel pacchetto di misure nei decenni contestato, a volte in segreto allentato, ma mai revocato, fin dall’origine esplicitamente destinato a minare il regime instaurato da Fidel Castro a Cuba.
In quello storico memorandum Mallory informa che la rivoluzione castrista è «abbastanza popolare» e siccome non c’è «una opposizione effettiva», l’unico modo di sottrarre appoggio a Castro è «attraverso la sfiducia, la disaffezione basata sulle difficoltà economiche». Mallory consiglia sanzioni economiche finalizzate ad «abbassare i salari monetari e il loro potere d’acquisto reale per provocare la fame, la disperazione e la rivolta verso il Governo». Nel plico desecretato di recente si trovano anche i suggerimenti dell’ex segretario di Stato, Henry Kissinger, che nel 1975 chiede di usare l’embargo come moneta di scambio per normalizzare le relazioni con Cuba.
Fine anni Settanta, Amministrazione Carter. Varie lobbies premono affinché l’embargo venga alleggerito; a nessun potere imprenditoriale piace vedersi tagliato fuori dall’allettante business che potrebbe fiorire – e che infatti fiorirà – sulle spiagge cubane. Business che più tardi finirà nelle mani voraci di varie imprese spagnole, entusiasticamente eredi dei vanti e dei privilegi della ex madrepatria coloniale. All’epoca della presidenza Carter l’allora segretario di Stato statunitense suggerì al presidente di «mantenersi neutrale» di fronte al dibattito all’ultimo sangue in corso tra deputati e senatori riguardo alla possibilità di sottrarre prodotti sanitari e alimentari alle norme dell’embargo. «Sottragga articoli mostrando di farlo non per benevolenza ma per scetticismo, mostri una neutralità scettica sulle possibili risposte dell’Avana», consigliava il segretario di Stato a Carter.
Quando più tardi Barack Obama sembrò intenzionato ad addolcire l’embargo per sua personale volontà e convinzione politica, pur avendo l’avallo del Papa, dell’Onu e dell’opinione pubblica internazionale non lo poté fare perché, semplicemente, cancellare l’embargo è illegale. Solo una legge approvata dal Congresso degli Stati Uniti può cancellare gli effetti di un embargo deciso dalla legge Torricelli e confermato dalla Helms Burton nel 1996. Ragione per cui, con i repubblicani contro, si dovette limitare prima a tessere le condizioni per normalizzare le relazioni diplomatiche arrivando a riaprire l’ambasciata, e poi a consentire l’emendamento di alcune norme che regolavano il lavoro dei Dipartimenti del tesoro e del commercio. Di sostanziale cambiamento ci fu solo l’aumento del limite massimo per le rimesse dagli Stati Uniti che mantengono buona parte dei circa 11 milioni di residenti sull’isola: da duemila a cinquemila dollari a trimestre.
Sessant’anni dopo l’ordine firmato da Kennedy l’embargo continua ad essere la politica ufficiale americana verso Cuba e il regime postcastrista continua a usare l’embargo come argomentazione principale di propaganda interna per giustificare ogni promessa mancata e ogni suo fallimento. Regime che ha mantenuto identiche nel tempo le limitazioni alle libertà individuali e di dissenso politico, tanto che chi nel luglio scorso è stato denunciato perché coinvolto in vario modo nelle proteste contro il Governo e bollato come dissidente, viene processato oggi e condannato per reati gravissimi come la sedizione.
Guardare ora quelle pagine desecretate dagli States, leggere l’insistenza dei consiglieri nell’assicurare che l’embargo avrebbe piegato Castro, e vedere come per sessant’anni Cuba ha sempre sbandierato le sanzioni economiche per coprire i tracolli e i fallimenti del regime, fa impressione. Tante domande sorgono spontanee soprattutto seguendo il dibattito in corso in Occidente sull’opportunità offerta da sanzioni economiche contro la Russia per dissuaderla da azioni aggressive in Ucraina. La storia recente ci insegna che i regimi risultano quasi inscalfibili dalle sanzioni economiche, anche pesanti, perché sul lungo periodo riescono ad aggirarle o comunque a neutralizzarle (appoggiandosi agli alleati), di certo a usarle egregiamente come arma di politica interna contro il «nemico». Ci è riuscita per sessant’anni la poverissima Cuba, perché non dovrebbe farcela il gigante guidato dallo zar Putin?