Sanità, un settore in cure intense

I conti in rosso degli istituti di cura elvetici preoccupano non poco. L’unica via praticabile rimane la pianificazione ospedaliera
/ 01.05.2023
di Roberto Porta

C’è un paziente piuttosto mal ridotto nelle corsie degli ospedali svizzeri. Non si tratta di una persona in carne e ossa, a soffrire non è la qualità delle cure. Messi male sono invece i bilanci degli ospedali, che chiudono sempre più spesso nelle cifre rosse. Conti tribolati che mettono a rischio la capacità di poter investire e mantenere elevata la qualità delle prestazioni. Già nel 2021 uno studio della società di consulenza finanziaria Pwc metteva in evidenza che soltanto il 25% degli ospedali svizzeri era in grado di auto-finanziarsi grazie agli utili realizzati. Un altro 25% si trovava in una situazione precaria, mentre ben la metà dei nostri istituti di cura era confrontata con gravi difficoltà finanziarie. E qui val la pena di ricordare che dal 2012 il finanziamento ospedaliero si basa su una nuova legge che obbliga gli ospedali a finanziare autonomamente i propri investimenti. In altri termini i bilanci devono chiudere con un utile. Ma oggi la realtà è un po' diversa e bastano alcuni dati per farsene un’idea.

A San Gallo, per esempio, l’ospedale cantonale ha chiuso il 2022 con una perdita di 52 milioni di franchi; a Friburgo il deficit si attesta a 28 milioni; molto peggio va invece nel Canton Argovia, dove l’ospedale pubblico ha chiesto alle autorità un salvagente da 240 milioni di franchi per poter restare a galla. Nel Canton Berna l’Inselspital, che ha pure il ruolo di ospedale universitario, ha subito l’anno scorso una perdita di 80 milioni e si è visto costretto ad annunciare nel marzo scorso la chiusura di due sue cliniche regionali, dai bilanci ormai stracotti. In Ticino i conti dell’Ente Ospedaliero si erano chiusi con una perdita di 55 milioni nel 2020 e con un utile di 2 milioni e 700mila franchi nel 2021, ultimo dato disponibile. Diverse le cause di questi conti in affanno su scala nazionale, a cominciare ovviamente dai costi giganteschi causati dalla pandemia. Non vanno però dimenticati altri fattori, come l’invecchiamento della popolazione, i farmaci sempre più cari e la sfida della digitalizzazione. E poi, come se non bastasse, è arrivata anche l’inflazione a complicare ulteriormente le cose. Un esempio su tutti: i costi dell’energia in alcune strutture hanno registrato l’anno scorso un aumento del 300% rispetto al 2021. E così la diagnosi è di quelle che portano dritti dritti alle cure intense.

Non per nulla l’associazione mantello degli ospedali, H+, si è vista costretta a lanciare l’allarme. Per la sua direttrice, Anne Geneviève Bütikofer, la situazione finanziaria dei nostri ospedali è decisamente preoccupante e il sistema sanitario svizzero è ormai arrivato al limite delle sue capacità di resilienza. A suo dire gli ospedali svizzeri soffrono mediamente di un sottofinanziamento del 10% nel settore stazionario e addirittura del 30% in quello ambulatoriale. Da qui i conti in rosso sempre più frequenti dei nostri nosocomi, perdite che aprono, o meglio riaprono, un altro fronte colmo di insidie: quello delle tariffe, gli importi versati agli ospedali per coprire i costi delle loro cure. L’associazione H+ ha chiesto con urgenza un aumento del 5%, tenendo conto anche dell’inflazione. Dagli assicuratori malattia è però giunto un netto rifiuto, a loro dire un incremento delle tariffe ospedaliere porterebbe a premi ancora più cari a carico dei cittadini, già messi a dura prova da decenni di estenuanti rincari. Con prospettive non certo incoraggianti per il prossimo futuro. Santésuisse ha già annunciato una possibile impennata del 7,5% per il 2024. In un contesto del genere, dicono le casse malati, gli ospedali se la devono cavare con quello che già ricevono, una posizione difesa anche dal Consiglio federale.

E così gli ospedali si ritrovano con armi spuntate a dover affrontare il maremoto finanziario che li ha colpiti. Visto che le tariffe non aumenteranno nelle loro mani rimane solo la leva dei risparmi. E qui, tra le mosse possibili, ci sarebbe quella sul personale. Ma tagliare in questo ambito appare oggi decisamente improponibile, visto che in alcune strutture il personale è già ridotto all’osso e che si fa spesso fatica a sostituire chi lascia la professione perché non ce la fa più. Su questo punto occorre anche ricordare che nel 2021 la popolazione ha approvato con oltre il 60% di voti favorevoli l’iniziativa chiamata «Per cure infermieristiche forti» che mira a rafforzare e a rendere più attrattiva questa professione. Intervenire su questi costi significherebbe anche andare contro la volontà popolare.

Rimane così solo un’altra carta da giocare ed è quella della pianificazione ospedaliera. E qui a metà aprile c’è stata una brusca frenata. Dal 2020 nella Svizzera orientale ben sei Cantoni si erano messi al lavoro per unire le forze e cercare di tagliare possibili doppioni della loro offerta. L’obiettivo di questa pianificazione ospedaliera su scala nazionale era quello di creare un’unica grande area sanitaria, più efficiente dal punto di vista operativo ed economico. Turgovia, San Gallo, Glarona, i Grigioni ed entrambi i Cantoni di Appenzello avevano dato vita a un progetto pionieristico a livello nazionale chiamato Modello di assistenza ospedaliera Est. Ebbene poche settimane fa questi sei Cantoni si sono visti costretti ad annunciare il fallimento della loro iniziativa. Il Canton Grigioni ha gettato la spugna per primo perché con questo modello temeva di dover rinunciare a una parte delle proprie prestazioni sanitarie nelle zone periferiche e vedeva l’ospedale cantonale di Coira messo in diretta concorrenza con quello di San Gallo. L’abbandono dei Grigioni ha spinto Glarona e Turgovia a fare la stessa cosa. E così la morale della storia è presto detta: hanno prevalso gli interessi dei singoli Cantoni. Il progetto resta comunque in vita anche se non ha più la valenza nazionale che gli era stata accordata tre anni fa, con San Gallo sono rimasti infatti solo Appenzello interno ed esterno.

In conclusione non resta che constatare un fatto: se non saranno i Cantoni a varare una pianificazione ospedaliera capace di contenere i costi, prima o poi ci penserà la Confederazione. Questo perché nel nostro Paese ci sono al momento 276 ospedali, numero considerato da più parti troppo elevato. In sostanza c’è un ospedale ogni 32 mila abitanti, per un costo totale di 22 miliardi di franchi all’anno a carico delle casse malati e dei cantoni. E in definitiva dei cittadini. Con perdipiù l’ombra sempre più cupa delle cifre rosse nei conti ospedalieri. Sì, il settore, dal punto di vista strutturale, è davvero in cure intense.